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Una lucida follia. Processo agli antifascisti

Immaginate che sia ottobre e non luglio. Siete appena usciti da una riunione No Tav e percorrete una via pedonale del centro della città dove abitate. Una macchina entra sgommando nella via: ne escono quattro uomini che affiggono manifesti. Incuriositi da tanta esibita arroganza vi fermate e scoprite che si tratta di manifesti fascisti, manifesti che alludono ad un passato di dittatura, violenza, repressione della possibilità stessa di dire la propria, se non a rischio di confino e prigione.
Quel giorno, ve ne rendete conto solo in quel momento, è il 28 ottobre, anniversario della “marcia su Roma”, con la quale presero il potere i fascisti.
Quei manifesti finiscono a terra, strappati.
Un banale gesto di difesa della memoria dei tanti che morirono, dei tanti che patirono persecuzioni, esilio, botte ed umiliazioni. Siamo a Torino. L’antifascismo fa parte del DNA di una città che combatté metro per metro per cacciare fascisti e nazisti.
Dopo un diverbio con i fascisti – tra loro c’é anche il segretario cittadino e all’epoca consigliere comunale de “La Destra” Giuseppe Lonero – ve ne andate a casa.

A due anni da quell’ottobre quattro anarchici sono sotto processo con l’accusa di “furto aggravato”, proprio per aver strappato quei manifesti. Un reato che costa da tre a dieci anni di reclusione.
Una follia giuridica, una delle tante lucide follie che la Procura di Torino, utilizza per chiudere la bocca a all’opposizione politica e sociale.

Giovedì 5 luglio, si è tenuta la seconda udienza del processo, al quale il partito La Destra si è costituito parte civile, perché sostiene che siano stati violati i suoi diritti “democratici”!
Vengono interrogati due degli attacchinatori, Giuseppe Lonero e Riccardo Truncellito. Entrambi negano che il manifesto affisso – di cui non ricordano il contenuto e che si guardano bene dall’esibire – avesse una qualche relazione con la marcia su Roma. Misconoscono persino un manifesto, scaricato dal sito ladestra.info che ritrae Mussolini e altri fascisti con la scritta “28 ottobre. La marcia continua”
Sia Lonero che Truncellitto dichiarano di aver visto un gruppo di persone strappare i loro manifesti dal muro e gettarli a terra.

A questo punto il processo doveva finire, poiché il teorema del PM Rinaudo viene smentito dagli stessi testimoni dell’accusa. L’avvocato Lamacchia che difende i nostri compagni chiede l’immediata assoluzione dall’imputazione di furto.
Il giudice, che a sorpresa è stato cambiato e non è lo stesso della prima udienza, vuole sentire anche gli altri due fascisti, nonostante la Procura non li abbia neppure citati. Addirittura concede all’accusa e alla parte civile la possibilità di chiamare testi non previsti nella lista presentata in apertura di dibattimento. Una scelta che chiaramente soccorre l’ufficio del Procuratore in chiaro affanno nel sostenere un’accusa insensata.
Il giudice vuole prolungare ad ogni costo un processo che fa acqua da tutte le parti.
L’accanimento della magistratura nei confronti di chi lotta contro la diseguaglianza, l’oppressione, la devastazione ambientale è tanto palese da non meritare commenti.
I vari governi e i padroni sono decisi a far piazza pulita a chi si oppone alla normalizzazione forzata dello spazio sociale. La polizia, vera forza occupazione militare del territorio, utilizza armi da guerra contro chi resiste alla macelleria sociale che ha investito il paese, la magistratura si assume il compito di regolare i conti, moltiplicando i procedimenti e attuando una violenta torsione delle norme per aprire e mantenere aperti i processi.

Si torna in aula il 20 dicembre.
Saranno trascorsi solo due giorni dal novantesimo anniversario della strage di Torino, quando le squadracce di Brandimarte torturarono e uccisero 14 antifascisti. Tra loro c’era anche Pietro Ferrero, anarchico e segretario della Fiom.

Nel dopoguerra Brandimarte, divenuto nel frattempo generale, verrà processato per la strage: condannato in primo grado, verrà assolto in appello, nonostante avesse rivendicato apertamente gli omicidi. Nel 1971 ai suoi funerali gli saranno resi gli onori militari.

Lonero e i suoi “colleghi” perdono la loro memoria nelle aule di tribunale.
La nostra invece è ben salda.
Non dimentichiamo. Sappiamo cosa è il fascismo. Sappiamo ancor meglio a cosa servono giudici e tribunali.

 

Federazione Anarchica Torinese – FAI
corso Palermo 46 – riunioni ogni giovedì alle 21

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Bravi Ragazzi per un pogrom. Alle radici del razzismo contro i rom

Riprendiamo, dal sito di Radio Blackout, questo articolo sulle radici profonde del razzismo contro i rom

Nei giorni scorsi la polizia ha arrestato due ultras juventini accusandoli per il pogrom che lo scorso dicembre mandò in fumo le miserabili baracche dove vivevano i rom nel quartiere Le Vallette di Torino.
I due arrestati sono del gruppo “Bravi Ragazzi”, una delle poche formazioni ultas juventine di sinistra.

Ricordiamo i fatti.
L’attacco incendiario che il 17 dicembre ha mandato in fumo il campo rom della Continassa a Torino è l’emblema del disprezzo diffuso verso stranieri e immigrati poveri che si allarga ogni giorno di più. Spesso a farne le spese sono i rom.
Siamo alle Vallette. Un quartiere popolare, di quelli dove campare la vita non è mai stato facile. Da un lato il carcere, la discarica sociale dove tanti nati qui finiscono con trascorrere pezzi di vita; dall’altra parte c’è il nuovo stadio della Juve, dove le tensioni sociali si stemperano tra tifo e ginnastica ultrà.
In questo quartiere si è consumato un pogrom.
Una ragazzina racconta un bugia, uno stupro mai avvenuto, punta il dito su due rom, i rom che vivono in baracche fatiscenti tra le rovine della cascina della Continassa.
In questa bugia è il nocciolo di un male profondo. Una famiglia ossessionata dalla verginità della figlia sedicenne, al punto di sottoporla a continue visite ginecologiche, incarna un retaggio patriarcale che stritola la vita di una ragazza. Lei, per timore dei suoi, indica nel rom, brutto, sporco, puzzolente, con una cicatrice sul viso l’inevitabile colpevole.
In pochi giorni nel quartiere cominciano a girare i soliti volantini anonimi dei “cittadini indignati”. Da anni in città i comitati più o meno spontanei animati da fascisti, postfascisti e leghisti, soffiano sul fuoco, promovendo marce per la legalità, contro lo spaccio, contro gli zingari. Tutte manifestazioni dalla cui trama sottile emerge la xenofobia, la voglia di forca .
La segretaria dei Democratici torinesi, Brangantini, ha preso le distanze dal corteo indetto per “ripulire” la Continassa, ma quella sera sfilava in prima fila. Con lei c’era tanta “brava gente” accecata dall’odio razzista.
All’arrivo dei vigili del fuoco la folla inferocita li ha fermati a lungo. Ci hanno impiegato tutta la notte a spegnere le fiamme che hanno distrutto il campo.

Quando si punta il dito su un intero popolo, quando tutti sono colpevoli perché due sono sospettati di aver stuprato una ragazza, il passo successivo sono le deportazioni, i lager, le camere a gas. La pulizia etnica. Se sei diverso e povero la tua vita diventa sempre più difficile.
L’estendersi del razzismo e della xenofobia allarga una frattura sociale sulla quale si incardina il consenso verso leggi che annullano anche nella forma l’assunto liberale dell’eguaglianza.
I media fanno la loro parte nel creare un clima di emergenza permanente, accendendo i riflettori sugli immigrati, cui cuciono addosso lo stereotipo del criminale.
I fascisti sguazzano in questo pantano, consolidando la propria presenza attiva, specie in certe zone del paese, ma sarebbe miope non vedere che il male, nella sua terrificante banalità, è ben più profondo. Investe a fondo il sentire comune di interi quartieri, anche tra la gente di “sinistra”, come i Bravi Ragazzi della Continassa.
Da anni i pogrom incendiano l’Italia. Bruciano le baracche e corrodono la coscienza civile. Qualcuno agisce, troppi plaudono silenti e rancorosi, certi che saranno più sicuri. Al riparo dalla povertà degli ultimi.

Radio Blackout ne ha discusso con Paolo Finzi della redazione di A, curatore del DVD e libretto “A forza di essere vento” dedicato allo sterminio nazista di rom e sinti.

Ascolta l’intervista
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Nostalgia del futuro. Una riflessione su sviluppo e civilizzazione

Il vertice di Rio sullo sviluppo sostenibile è divenuto lo spunto per una riflessione a tutto campo sui concetti di sviluppo, civilizzazione, sostenibilità ambientale.
Il fallimento del vertice di Rio sulla terra era un evento annunciato: chi ancora nutrisse illusioni sulla capacità e volontà dei governi di rimediare ai disastri di cui sono responsabili si metta il cuore in pace.
Parimenti inutili i contro forum, che in maniera sempre più stanca, da Porto Alegre a Rio, tentato di comporre ricette alternative, ma finiscono con il riprodurre un piccolo milieau di specialisti della politica o, se si preferisce, dell’umanitario e del sociale, spesso avulsi da quel radicamento territoriale delle lotte in cui si po’ giocare la scommessa di mettere un po’ di sabbia nell’ingranaggio che stritola il pianeta e, soprattutto, chi ci vive. A stento.

Ne abbiamo parlato con Salvo Vaccaro dell’università di Palermo.
Ascolta la prima parte dell’intervista
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Il filo del ragionamento si è poi dipanato intorno alla critica primitivista della civilizzazione, malata di una malattia culturale che ciclicamente investe l’occidente, la nostalgia di un futuro primitivo, arcadico, archetipico nel suo immaginare un’età dell’oro attingibile solo alla fonte dei desideri.
Frutto di un’etnologia fantastica, che non trova sostegno né nelle ricostruzione storica delle società primitive né nell’analisi comparativa sui primitivi contemporanei.

Ascolta la seconda parte dell’intervista a Salvo Vaccaro
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I fuorilegge

Martedì 3 luglio
ore 17 – via Po 16
punto info contro la repressione in vista dei processi contro antifascisti, No Tav, antimilitaristi

Martedì 3 luglio
ore 21
al campeggio No Tav di Chiomonte
assemblea in vista del processo ai No Tav
Interverranno gli avvocati Losco e Novaro

Siamo contro la guerra, il fascismo, il Tav, il razzismo, il militarismo…
Siamo fuorilegge!
Le leggi le scrive e le difende chi opprime, devasta, sfrutta, deporta, bombarda…
Tu con chi stai?

La procura di Torino processa chi lotta per un mondo diverso, un mondo dove non ci sia posto per chi sfrutta, devasta, opprime. Un mondo di libertà ed eguaglianza.
Tu con chi stai?

Noi stiamo con gli anarchici accusati di “furto” per… aver strappato i manifesti fascisti!

Noi stiamo con i No Tav che resistono allo scempio, perché vogliono che nel futuro dei loro figli ci sia più libertà e più giustizia.

Noi stiamo con gli antirazzisti che lottano contro un mondo diviso in uomini e no. Un mondo dove gli immigrati lavorano come schiavi sotto il ricatto della reclusione e della deportazione.

Noi stiamo con gli antimilitaristi che bruciano le bandiere perché vogliono un mondo senza frontiere, senza eserciti, senza guerre. Senza Stati.

Giovedì 5 luglio in aula 55 alle ore 11 processo agli antifascisti

Venerdì 6 luglio processo ai No Tav che si sono opposti all’occupazione militare

Lunedì 10 luglio anarchici sotto processo per una performance antimilitarista. Aula 52 ore 9

Martedì 11 luglio sentenza al processo a due No Tav per una serata di lotta in Clarea

Un vero bollettino di guerra. Guerra a chi resiste alla devastazione del territorio, al fascismo che torna, alla guerra e al militarismo.

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No Tav. Dolce e amaro: filo spinato e resistenza

Mercoledì 27 giugno. È trascorso un anno dallo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena. Un anno lunghissimo. Un anno di lotta tra presidi, assemblee, blocchi stradali, “passeggiate” nelle zone occupate. In quest’anno il movimento No Tav ha dimostrato di non essere disposto a cedere. Abbiamo resistito alle botte ed ai lacrimogeni, abbiamo resistito alle denunce e agli arresti, abbiamo resistito alla tentazione di cedere allo sconforto di fronte alla forza militare dispiegata di fronte a noi. Non abbiamo mai mollato e siamo decisi a non mollare.
Ad un anno di distanza da quella mattina, quando in un’alba tersa e magnifica, sull’autostrada comparvero le prime camionette e la pinza di acciaio, il simbolo della devastazione del Tav, il 27 giugno è stata una giornata come tante. Soltanto con un pizzico di amaro e di dolce in più. L’amaro del ricordo di quel che era e di quel che è diventata la Clarea, un deserto dove bivaccano le truppe di occupazione. Il dolce di sapere che ogni centimetro se lo sono sudato, il dolce di sapere che per spianare tutto hanno impiegato più di un anno. Il dolce di sapere che la Libera Repubblica in esilio vive nei nostri presidi e nei tanti luoghi dove la bandiera con il treno crociato è divenuta simbolo di dignità, resistenza, autogestione. Libertà. La libertà di chi non si piega, la libertà che ogni giorno ci fa scegliere di stare contro la legge, perché la legittimità del nostro agire è altrove rispetto ai codici che ci imprigionano e ai poliziotti che picchiano e gasano in nome dello Stato.
Questa sera qualche centinaio di No Tav ha fatto la propria passeggiata lungo il sentiero No Tav – bolli gialli e arancio – che corre parallelo alla strada dell’Avanà occupata e chiusa da reti e cancelli.
In Clarea qualche metro di rete è stato tagliato. La polizia ha usato idranti e lacrimogeni. Dopo due ore sullo stesso sentiero solcato in quest’anno da migliaia di passi, i No Tav sono tornati alla Centrale, dove un centinaio di persone batteva il guardrail e il cancello. In tanti irridevano i poliziotti dietro alla rete in alto sulla strada, che scrutavano preoccupati il bosco, nonostante gli scudi, i caschi, l’illuminazione da carcere speciale.
Poi tutti a casa, perché domani la sveglia suona presto per chi per vivere è obbligato a far ricco un padrone. Difficile non pensare che in questo stesso giorno il parlamento ha votato la fiducia alla riforma che ci renderà ancora più schiavi e ricattabili di quel che già siamo.
In quest’estate No Tav il lavoro che non c’è – scuole, ospedali, trasporto pubblico, tutela del territorio – dirà le proprie ragioni contro il lavoro che c’è – repressione, guerra, devastazione.
27 giugno. Un anno dopo. Un giorno come tanti di ordinaria resistenza.

Foto della passeggiata

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Gli squali della finanza vaticana

Ettore Gotti-Tedeschi, presidente e membro dello IOR (Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana), è stato prima sospeso dai suoi incarichi, poi definitivamente espulso dallo IOR, per iniziativa del Segretario di Stato Tarcisio Bertone e del management della banca.
Lo scontro tra Gotti-Tedeschi, liberista convinto (ha dichiarato di dedicare il 100% del proprio tempo a Dio e il 100% al denaro!) e Tarcisio Bertone é stato provocato dall’intenzione di Gotti-Tedeschi di mettere a punto una legge (Legge 127) in grado di riformare la finanza vaticana, permettendo allo IOR di entrare nella White List degli stati europei con i più alti standard di trasparenza. Le banche presenti in questa lista si impegnano a monitorare ogni operazione da loro compiuta per impedire il riciclaggio di denaro. Bertone e i consiglieri dello IOR hanno particolarmente avversato la creazione, prevista dalla Legge 127, di una Autorità di Informazione Finanziaria (A.I.F.) avente il compito di controllare ogni movimento di denaro relativo al Vaticano.
Il 30 dicembre 2010 Benedetto XVI, ha istituito con un atto ufficiale, l’AIF, e nell’autunno del 2011 la Segreteria di Stato e il management dello IOR hanno provveduto a modificare la Legge 127, limitando fortemente i poteri dell’AIF.
L’intervento è stato giustificato dicendo che le modifiche apportate avrebbero reso lo IOR ancora più aderente agli standard internazionali di trasparenza, ma in realtà una visita ispettiva della Moneyval, gruppo del Consiglio d’Europa che valuta i sistemi antiriciclaggio dei vari Paesi, ha valutato la Legge modificata da Bertone con otto note negative e due positive, mentre la versione voluta da Gotti-Tedeschi era stata valutata con sei note positive e quattro negative.
La sfiducia e l’allontanamento di Gotti-Tedeschi si spiegano solo con l’interesse del management IOR di conservare quei clienti un po’ “speciali” che farebbero a meno della banca vaticana nel momento in cui questa acquisisse delle modalità etiche e trasparenti.
La posizione di Benedetto XVI è al momento poco chiara: appoggiare la manovra Bertone, rinunciando per sempre a fare pulizia nella curia romana e nella banca vaticana, o far prevalere un minimo di senso etico, cacciare Bertone e far fuori tutti i consiglieri (potentissimi) dello IOR?
Una cosa è sicura: qualsiasi cosa dovesse decidere Ratzinger, lo scontro non è certo tra buoni (il martire Gotti-Tedeschi) e cattivi (Bertone e consiglieri IOR), ma tra potentati della destra liberista cattolica che lottano tra di loro per conquistare maggior potere. Una lotta tra squali della politica e dell’alta finanza che potrebbero essere appoggiati o meno da Benedetto XVI alla luce di ragioni che saranno sempre e comunque ragioni di stato, mai ragioni evangeliche. Benedetto XVI non è certo l’agnello in mezzo ai lupi, come vorrebbero farlo apparire quei vaticanisti che non possono più nascondere lo sbando morale della curia romana e cercano almeno di salvare “il capo”. Ratzinger infatti è stato per anni l’artefice delle scelte politiche dell’ex Sant’Uffizio e in merito a giochi di potere non ha da imparare niente da nessuno.

Ultim’ora
Dopo un periodo di riflessione pare che sia delineata la linea che Benedetto XVI ha intenzione di tenere: sembra che Tarcisio Bertone, nonostante l’antica amicizia con il pontefice, verrà affiancato da una gruppo di cardinali e accompagnato dolcemente alla pensione!  
Molti vaticanisti provano a spiegare questa scelta come conseguenza del Vatileaks, ma dal mio punto di vista il problema della fuga di notizie dovuta al maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, è solo un detournement volto a gettare fumo negli occhi della pubblica opinione. I veri problemi della curia romana sono dati dalle lobby che sgomitano per ottenere maggior potere e dai singoli potenti, anche laici, che spadroneggiano in Vaticano.
Le scelte di Benedetto XVI potranno essere lette come riformatrici ed etiche solo se oltre alla testa di Bertone salteranno i grandi della finanza internazionale che si annidano nel management IOR e nei meandri della corte papale. Se questi resteranno al loro posto, Ratzinger avrà solo sacrificato un vecchio amico per far tacere i giornalisti, lasciando che in Vaticano tutto continui come sempre.

Anarres ne ha parlato con il proprio vaticanista di riferimento, Paolo Iervese.
L’intervista è stata realizzata poco prima della decisione di Ratzinger di “sacrificare” il vecchio compagno di merende Bertone e chiarisce molto bene i meccanismi (e lo scontro di potere) all’interno della chiesa cattolica (anche) in vista della successione dell’anziano Benedetto XVI.

ascolta l’intervista

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Basiano. Lavoratori o schiavi?

A Basiano, nei pressi di Milano, c’è un magazzino dove vengono lavorate le merci per il supermercato il Gigante.
In questo magazzino, gestito dalla Gartico, una delle società che si occupa servizi di magazzinaggio per conto de “il Gigante”, lavorano circa 120 operai, dipendenti da due cooperative, la Sinergy del gruppo Alma per il facchinaggio e la movimentazione merci, e la ItalTrans che gestisce la sezione trasporti attraverso un’altra cooperativa, la Bergamasca del gruppo CISA.
Un intrico di appalti e subappalti dove vige il caporalato del secondo millennio.

Gli operai di Bergamasca – quasi tutti pakistani – grazie ad un balzello che consente alla cooperativa di pretendere 2.500 euro di quote sociali come compenso per le “perdite” della cooperativa – prendono 400 euro al mese in meno dei colleghi di Alma, dove i lavoratori sono quasi tutti egiziani. Il lavoro per gli uni e per gli altri è lo stesso.
A metà maggio i lavoratori della Bergamasca entrano in sciopero per il salario, e quelli di Alma li appoggiano.

A fine mese la coop Alma disdice l’appalto, lasciando a casa 90 lavoratori, che, nonostante lo preveda la legge, non vengono riassorbiti dall’altra cooperativa, che decide di avvalersi di lavoratori sin allora utilizzati a “chiamata” dai “caporali”. Licenziano decine di operai che lavoravano a 9 euro all’ora per sostituirli con altri, più ricattabili, a soli 6 euro l’ora.

L’8 giugno scatta lo sciopero: i lavoratori di Alma occupano il magazzino, quelli di Bergamasca lo appoggiano. Arriva la polizia, sgombera, carica, picchia: cinque operai finiscono all’ospedale. Da quel giorno scatta un presidio permanente.

Ma il peggio deve ancora venire.
La mattina dell’11 giugno arrivano i pullman dei crumiri accompagnati dalla polizia, i licenziati fanno picchetto davanti ai cancelli. Poi scatta la mattanza: lacrimogeni sparati direttamente sulle gambe, pestaggi durissimi di persone cadute in terra, teste spaccate, gambe fratturate.
Venti operai finiscono all’ospedale, alcuni feriti in modo grave. Tutti e venti verranno arrestati con l’accusa di resistenza aggravata. Nei giorni successivi alla maggior parte vengono attenuate le misure cautelari: qualcuno va ai domiciliari, altri hanno l’obbligo di firma.
Sabato scorso un migliaio di persone hanno manifestato a Milano in solidarietà ai lavoratori di Basiano, vittime di una legislazione che consente il caporalato. Se i lavoratori sono immigrati la loro sorte è ancora peggiore, perché, quando perdono il lavoro, perdono anche il permesso di soggiorno e rischiano l’espulsione.
La condizione dei lavoratori immigrati è ormai, sempre la più, la condizione di tutti i lavoratori, obbligati a contratti precari, senza alcuna garanzia per il futuro. Il ricatto occupazionale spinge ad accettare orari sempre più lunghi e salari sempre più bassi.
Continued…

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La crisi? La paghino i padroni!

Sabato 16 giugno
Ore 10 / 13 in piazza della Repubblica, nei portici all’angolo con corso Giulio
Punto info su crisi, riforma del lavoro, casa, trasporti, sanità
……………………………………
Sabato 16 giugno a Milano
ore 16 da piazzale Loreto
Partecipiamo al corteo di solidarietà con i lavoratori del “Gigante” di Basiano licenziati, pestati ed arrestati lunedì scorso. Per info sulla vicenda ascolta l’approfondimento su radio Blackout

Mercoledì 20 giugno a Torino
volantinaggio al “Gigante” di via Cigna in solidarietà con i lavoratori di Basiano
Appuntamento alle 18.

Venerdì 22 giugno
sciopero generale indetto dal sindacalismo di base
corteo a Milano – ore 9,30 da largo Cairoli

La crisi morde forte nelle nostre periferie. Nei quartieri dove arrivare a fine mese non è mai stato facile, tanti non ce la fanno a pagare il fitto e il mutuo, rischiando di finire in strada. A Torino si moltiplicano gli sfratti, mentre ci sono 150.000 appartamenti vuoti.
Tra l’IMU, la nuova tassa sulla casa, i fitti alle stelle, i mutui capestro la casa è sempre più un’emergenza sociale. Da molti anni a Torino non si fanno case popolari, poco fruttuose per la potente lobby del cemento e del tondino, che, si è arricchita con le speculazioni di Spina Due e Spina. E presto tre potrebbe essere ai blocchi di partenza un nuovo blocco di cemento e affari tra lo scalo Vanchiglia e la Barriera di Milano.
Però anche a Torino, tra resistenza agli sfratti e occupazioni abitative, sta crescendo la lotta per la casa.

Il governo dice che non ci sono soldi. Mente. I soldi per le guerre, per le armi, per le grandi opere inutili li trovano sempre. Da anni aumenta la spesa bellica e si moltiplicano i tagli per ospedali, trasporti locali, scuole.
La nuova linea tra Torino e Lyon che cercano di imporre con la forza, occupando militarmente il territorio, è un affare da 22 miliardi di euro. Un centimetro di Tav costa 1.200 euro, come lo stipendio di un operaio.
Non vogliono spendere per migliorare le nostre vite, perché preferiscono investire in telecamere e polizia. Sui tram della linea 4 hanno messo le guardie private.
Stanno varando una riforma del lavoro che renderà le nostre vite ancora più difficili e precarie. I padroni potranno licenziare come e quando vorranno.
Alzi la testa, lotti per il salario, la sicurezza sul lavoro, contro il dispotismo di capi e caporali? Di te non c’è più bisogno, vai via!
Si torna indietro e ci dicono che stiamo andando avanti. Continued…

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Fronte del Tav. Tra resistenza e repressione

Era nell’aria. Si era capito da tempo che la procura di Torino aveva intenzione di fare un processo esemplare, per colpire a fondo un movimento che, dopo un anno di lotta durissima, non molla e non si piega.
Giancarlo Caselli, il regista dell’operazione, l’uomo del PD a capo della procura, è confermato nella carica, nonostante il superamento dei limiti di età. Subito dopo viene resa nota l’agenda del processo No Tav. L’udienza preliminare è stata fissata il sei luglio. Poi si procederà a tappe forzate per l’intero mese: un’udienza al giorno, sabati compresi, sino alla fine del mese. Un vero tour de force, una procedura adottata solo per i grandi processi di mafia o per procedimenti di grande rilievo mediatico.
Dei No Tav arrestati il 26 gennaio ne restano in carcere quattro, altri sono ai domiciliari, altri ancora subiscono restrizioni varie.
Il 6 luglio alla sbarra ci saranno 46 No Tav: la procura ha ottenuto dal Gip il rinvio a giudizio per tutti i compagni e le compagne sinora coinvolti nell’inchiesta per la resistenza allo sgombero della Libera Repubblica dello scorso 27 giugno e per la manifestazione nazionale del 3 luglio.
Caselli vuole delle condanne e le vuole in fretta. Nel frattempo con ogni probabilità si prepara a sparare altre frecce dalla sua faretra.
Non sono bastate le botte, il gas, la violenza dell’occupazione militare che sta stringendo in una morsa di ferro il territorio della Maddalena. Non sono bastate le lusinghe e nemmeno i sei milioni di euro elargiti ad un consorzio di imprese valsusine che non poteva non vincere l’appalto per varie forniture per il cantiere della Maddalena. Adesso vogliono mostrare i muscoli il più possibile.
Continued…

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Verso la riapertura dei manicomi

Sono anni che arano il terreno. Oggi paiono pronti a seminare: sono i fautori del ritorno dei manicomi. La proposta del deputato Ciccioli di riforma della legge 180/78, la cosiddetta “legge Basaglia”, approvata in commissione Affari sociali e sanità reintroduce – nei fatti – pesanti elementi di custodia neo-manicomiale.
Una legge che si configura anche come una sorta di sanatoria verso le innumeri violazioni di una norma che aveva eliminato la reclusione obbligatoria delle persone con disagio psichico. Una norma che viene spesso aggirata, specie al sud, dove i manicomi non sono mai spariti del tutto.
Il testo unico approvato in commissione sostituisce il TSO, trattamento sanitario obbligatorio con il TSN, trattamento sanitario “necessario”, che può avere un’appendice nella reclusione obbligatoria in strutture esterne non ospedaliere per sei mesi prorogabili ad un anno.
Se questa legge passasse si riaprirebbe un’enorme discarica sociale per tutti coloro che non stanno nella norma, che danno fastidio, che vanno tenuti lontani dalla scena sociale. Significativa in questo senso l’introduzione degli arresti domiciliari manicomiali, che permettono alle famiglie di rinchiudere in casa il parente “matto”.

Anarres ne ha parlato con Pierluigi del Collettivo Antipsichiatrico “Antonin Artaud” di Pisa.

Ascolta il suo intervento a radio Blackout

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La legge 180, la cosiddetta legge “Basaglia”, dal nome dello psichiatra che aveva ispirato con la sua pratica la fine dell’orrore manicomiale, aveva recepito alcuni principi di libertà che una generazione di psichiatri, rigorosamente nemici dell’internamento e della soppressione dell’identità del sofferente psichiatrico, aveva iniziato a sperimentare un decennio prima.
Continued…

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Tumori di “classe”, il cancro della povertà


Circa due milioni di nuovi casi di cancro
sono provocati ogni anno da infezioni, prevenibili e curabili. Ben l’80% si registrano nelle zone più povere del mondo. È il bilancio contenuto in uno studio pubblicato su The Lancet Oncology dai ricercatori della International Agency for Research on Cancer che ha elaborato i dati statistici sull’incidenza dei tumori per 27 forme di malattia in 184 Paesi nel 2008: 7,5 milioni di decessi, dei quali 1,5 milioni sono stati causati da infezioni. “Le infezioni da virus, batteri e parassiti sono una delle cause maggiori, ma anche prevenibili di cancro in tutto il mondo. Pensiamo al papillomavirus umano (Hpv), all’Helicobacter pylori e ai virus dell’epatite B (Hbv) e C (Hcv) – dicono i ricercatori -, che insieme sono responsabili di oltre 1,9 milioni di nuovi casi di tumore del collo dell’utero, gastrico e del fegato”.

L’analisi statistica globale ha anche permesso di elaborare una vera “mappa” delle infezioni e dei tumori a livello globale, facendo scoprire che se nel 2008 il 16% di tutte le neoplasie era correlato con infezioni, nei Paesi in via di sviluppo questa percentuale è pari al 23%, rispetto al 7,4% della parte del mondo più industrializzata.

Siamo di fronte ad una strage evitabile. Nei paesi più poveri e, in particolare, nell’Africa sub sahariana, il costo dei vaccini è esorbitante, ed è pressoché impossibile produrre in loco.
Le multinazionali del farmaco controllano i brevetti e determinano il prezzo, nonostante contribuiscano in maniera irrisoria alla ricerca.
In Africa l’aspettativa di vita è di 40 anni. La pressione biologica è tra le ragioni non secondarie di movimenti migratori inarrestabili, poiché la posta in gioco è la vita stessa.

Radio Blackout ne ha parlato con Ennio Carbone, immunologo e docente all’Università di Catanzaro.

Ascolta l’intervista

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Della lotta armata e di alcuni imbecilli

Nel nostro paese la situazione politica e sociale mostra chiari segni di un’involuzione autoritaria su scala globale. Il dispiegarsi di politiche disciplinari in risposta alle questioni sociali è segno che il tempo dei compromessi, delle socialdemocrazie sta tramontando. Potremmo dover fare i conti con il rischio che si impongano regimi decisamente autoritari. La criminalizzazione dei movimenti sociali e degli anarchici, prepara il terreno a nuovi dispositivi repressivi: nuove leggi, nuovi procedimenti penali, una sempre più forte torsione delle normative vigenti, un sempre maggior controllo militare del territorio.

L’immediata gestione mediatica del mostruoso attentato di Brindisi la dice lunga su quali sono le intenzioni dell’oligarchia al potere. Un atto vile, di terrorismo indiscriminato, contro delle giovani donne, antisociale e criminale, viene tranquillamente assimilato ad episodi di lotta armata, magari con origini greche o con contorno mafioso, con l’obiettivo palese della realizzazione dell’unità di tutti gli schieramenti in difesa dello Stato, un’unità che abbiamo visto all’opera negli anni della solidarietà nazionale, delle leggi speciali, dell’arretramento sociale e culturale del paese.

Anche il ferimento dell’AD di Ansaldo nucleare e la rivendicazione inviata al Corsera dal nucleo “Olga” della fai informale dimostrano come azione e comunicazione si intreccino e si confondano in un gioco di specchi infinito e deformante. Occorre osservare con attenzione per coglierne l’intima trama.
I media, gli stessi che minimizzano da sempre la ferocia della guerra che l’esercito italiano combatte in Afganistan, hanno sparato a zero contro il movimento anarchico, quel movimento che non si sottrae alle lotte sociali, che è in prima fila nei movimenti per la difesa ambientale, contro la guerra e il militarismo, contro le leggi razziste e le politiche securitarie nel nostro paese.
Giornali, radio e televisioni, che nell’immediato non avevano alzato i toni, si scatenano dopo la rivendicazione.
Nelle crisi sono sempre ricercati dei capri espiatori, su cui indirizzare l’attenzione della cosiddetta pubblica opinione. Come sono riusciti negli anni ’80 a svuotare di segno e di contenuto la ricchezza dei movimenti del decennio precedente, rovesciandogli addosso, a tutti ed indistintamente, la responsabilità del lottarmatismo, facendo di ogni erba un fascio, comminando carcere a pioggia, provocando divisioni e contrapposizioni, così oggi c’è chi intende rispolverare i vecchi arnesi della criminalizzazione preventiva. D’altronde la situazione per governi e padroni non è facile: devono far digerire misure sempre più indigeste e in loro cresce la paura di una ribellione sociale.
Il ferimento di Adinolfi è stato colto al volo per rilanciare, dopo le varie informative dei servizi segreti sul pericolo “anarco-insurrezionalista”, l’incombenza della minaccia terroristica di matrice anarchica, collegandolo al malcontento sociale crescente, al movimento NoTav e, in generale, contro ogni forma di opposizione sociale. Se l’operazione in corso è questa, è evidente che bisogna aspettarsi sempre nuove operazioni repressive.
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Gli anarchici, i media, il ferimento di Adinolfi


Anarres ha fatto una lunga chiacchierata con Massimo Varengo della FAI milanese sulla campagna antianarchica dei media, sul ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo nucleare Adinolfi, sulla FAI informale, sulla violenza, la lotta armata, l’azione diretta popolare.

Ascolta l’intervista a Massimo

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Nell’articolo che segue Massimo riprende gran parte dei temi affrontati nella chiacchierata con Anarres a radio Blackout.
Il suo articolo è stato pubblicato sul numero di questa settimana di Umanità Nova.

Armi della critica e critica alle armi

“Quando si sta portando una rivoluzione per la liberazione dell’umanità, bisogna avere rispetto della vita di ogni uomo e di ogni donna… Il terrorismo viola la libertà degli individui e perciò non può essere utilizzato per costruire una società anarchica”.

Michail Bakunin

L’immediata gestione mediatica del mostruoso attentato di Brindisi la dice lunga su quali sono le intenzioni dell’oligarchia al potere. Un atto vile, di terrorismo indiscriminato, in stile iracheno, contro delle giovani donne, antisociale e criminale, viene tranquillamente assimilato ad episodi di lotta armata, magari con origini greche, con contorno mafioso, con l’obiettivo palese della realizzazione dell’unità di tutti gli schieramenti in difesa dello Stato, un’unità che abbiamo visto all’opera negli anni della solidarietà nazionale, delle leggi speciali, dell’arretramento sociale e culturale del paese.
Ma segnali di questo modus operandi li avevamo già registrati nei giorni precedenti.
In un ufficio dell’Ansaldo Energia è apparsa una scritta, piccola piccola, dieci centimetri in tutto, a matita pare, con una minaccia di morte al presidente di Finmeccanica, Orsi. Accompagnata da una stella a cinque punte e la sigla B.R. Basta questo evidente sfogo di un impiegato incazzato contro i suoi capi, per alimentare la canea mediatica sul pericolo terrorista.
Se si andasse in qualsiasi cesso a rilevare scritte, per i pennivendoli ce ne sarebbe del materiale da campare per anni.
Vale lo stesso per il volantino fatto recapitare a “Calabria Ora”, una ridicola ed evidente falsificazione, probabilmente opera di un altrettanto incazzato contribuente nei confronti di Equitalia, ma utile per dare fiato alle trombe sul pericolo terrorista.
E che dire del drappo rossonero appeso alla lapide che in piazza Fontana, a Milano, ricorda l’assassinio del compagno Pinelli: secondo l’intrepido giornalista, rappresenterebbe una sfida in quanto sarebbe stato applicato proprio nell’anniversario dell’omicidio del commissario Calabresi. Peccato che quel drappo fosse lì dal Primo maggio, messo da qualche compagno o compagna al termine della manifestazione.
C’è da essere sicuri che ogni scritta, vecchia o nuova che sia, ogni sia pur piccola iniziativa anarchica, nei prossimi giorni godrà della massima attenzione mediatica: è chiaro che c’è chi vuole dimostrare l’esistenza di una forte minaccia anarchica, ovviamente violenta e terroristica, al bengodi che stiamo vivendo. E molti altri gli vanno a ruota.
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Pisa 12 maggio. Con Franco, per l’anarchia

[imagebrowser id=3]“Per l’anarchia, con Franco, Per un mondo di liberi e di eguali”: Questo il grande striscione d’apertura della manifestazione nazionale convocata a quarant’anni dall’assassinio di Franco Serantini dagli Anarchici Toscani sabato 12 maggio a Pisa.
Oltre mille partecipanti, per una manifestazione anarchica composita, decisa e comunicativa che ha attraversato il centro della città, da Piazza Sant’Antonio a piazza Franco Serantini – Piazza S. Silvestro.
Il corteo ha iniziato a muoversi poco dopo le 16 attraverso via Crispi, alla testa le realtà toscane promotrici della manifestazione, poi lo striscione della Federazione Anarchica Italiana con molti compagni e compagne che hanno risposto alla convocazione nazionale, seguono numerosi gruppi e realtà, con proprie bandiere, cartelli e striscioni. Lungo la manifestazione sventolano anche le bandiere No Tav e dell’Unicobas. Chiude il corteo lo spezzone dell’Unione Sindacale Italiana, aperto dal furgone dei compagni modenesi di Libera con la musica dal vivo della A-band. Hanno partecipato alla manifestazione anche realtà cittadine come l’Osservatorio Antiproibizionista, il Partito Comunista dei Lavoratori, l’Associazione Italia-Cuba ed il Collettivo Aula R, che nei giorni precedenti aveva posto sulla facoltà di Scienze Politiche lo striscione “Franco Serantini vivo nelle nostre lotte”.
Su Lungarno Gambacorti il corteo si è fermato per alcuni minuti. Un mazzo di garofani è stato deposto vicino al punto in cui Franco fu arrestato dopo essere stato accerchiato e picchiato da una quindicina di agenti di PS, durante le cariche selvagge della sbirraglia che quel 5 maggio 1972 difendeva il comizio fascista organizzato dal MSI. Un intervento al microfono ha ricordato come la lotta antifascista, la lotta contro ogni potere e per la libertà che animava Franco, viva nelle battaglie quotidiane che come anarchici portiamo avanti in ogni situazione di lotta. Il corteo è quindi ripartito, per poi fermarsi, poche centinaia di metri più avanti, nella centralissima piazza XX Settembre, dove ha sede il Comune di Pisa.
Qui un nuovo intervento ha denunciato le politiche razziste e repressive portate avanti dal sindaco di Pisa Marco Filippeschi, che il 25 aprile ha sgomberato il campo rom delle bocchette e che si pone all’avanguardia nell’applicazione dei più rigidi provvedimenti di repressione e controllo sociale sulla città. Un sindaco targato PD che certo odia quella libertà per cui Franco lottava, la libertà che sabato scorso abbiamo portato nelle strade di Pisa.
Il corteo ha poi proseguito per Lungarno Galilei, attraversando il Ponte della Fortezza e giungendo in Piazza Franco Serantini (Piazza S. Silvestro), dove è posto il monumento che lo ricorda: “Anarchico ventenne colpito a morte dalla polizia mentre si opponeva ad un comizio fascista”.

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Politica e antipolitica. Tra ambiguità semantica e gioco delle poltrone

Una riflessione su politica e antipolitica, alla luce della costituzione di ALBA, nuovo soggetto politico che si candida alla rappresentanza – anche istituzionale – dei movimenti sociali. Di seguito un articolo uscito sul numero di maggio di Arivista

Il tema dell’antipolitica attraversa il dibattito pubblico, specie in occasione delle tornate elettorali.
Il termine, che sia assunto con orgoglio o utilizzato con disprezzo, gode delle medesime ambiguità di quello di cui è la negazione.
Si parla di antipolitica sia che si segnali la disaffezione dei cittadini verso la cosa pubblica, sia quando si indica il distacco progressivo dal sistema dei partiti.
Se la politica è il luogo della polis, l’antipolitica diviene indice di qualunquismo, egoismo, esperire di soluzioni individuali alle questioni sociali.
Se la politica è weberianamente l’ambito della conquista e del mantenimento del potere e dell’esercizio legittimo delle forza, l’antipolitica può essere il luogo dove la polis reclama il suo spazio contro il dominio.
Il mescolarsi dei significati è indice della natura squisitamente politica dell’invettiva contro l’antipolitica. Ma non solo. È anche il segno di complessi intrecci semantici che rimandano ad una prassi in cui la spinta alla polis come luogo della partecipazione si esprime e si comprime in modalità populiste che ne ridimensionano la portata . Negli ultimissimi anni l’invettiva contro i partiti – corrotti, corruttibili, irriformabili, casta – la spinta alla “pulizia”, alla riforma democratica, si è spesso incarnata in movimenti segnati dall’emergere di leadership carismatiche che di fatto riproducono le modalità di intercettazione del consenso tipiche della seconda repubblica. Continued…

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