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12 maggio Pisa. Corteo contro la repressione in ricordo di Franco Serantini

Il 7 maggio del 1972 moriva in carcere, dopo tre giorni di agonia, l’anarchico Franco Serantini.
40 anni dopo gli anarchici toscani hanno indetto per il 12 maggio un corteo a Pisa.
Leggi qui l’appello per la manifestazione e ascolta un altro approfondimento sulla terribile normalità degli omicidi di Stato.

Anarres ne ha parlato con Tiziano Antonelli.

Ascolta l’intervista

scarica l’audio

L’appuntamento è per le15 in piazza S. Antonio a Pisa. Il corteo si concluderà in piazza “Serantini”, già piazza S. Silvestro.

Per info vai al blog della manifestazione

Per partenze da Torino: 338 6594361 – fai_to@inrete.it

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Il sogno nelle mani. La Torino dell’occupazione delle fabbriche

Martedì 8 Maggio
ore 21
in corso Palermo 46
Marco Revelli, autore dell’intervista da cui è tratto il libro, presenta
IL SOGNO NELLE MANI

Torino 1909-1922. Passioni e lotte rivoluzionarie nei ricordi di Maurizio Garino
a cura di Tobia Imperato e Guido Barroero, edizioni Zero in Condotta

La memoria di Maurizio Garino, uno dei protagonisti della stagione di lotte rivoluzionarie che portarono all’occupazione delle fabbriche, si è salvata grazie alla lunga intervista realizzata nel 1975 da Marco Revelli. Questa memoria non investe solo la figura del protagonista ma abbraccia tutto un periodo di grandi passioni e speranze per l’emancipazione dei lavoratori. Garino, anarchico e dirigente FIOM, ci svela un mondo effervescente fatto di quartieri popolari, fabbriche, piccole officine, Circoli operai e dalla Camera del Lavoro che costituiva il centro di questo universo.
Un’altra Torino, quella del Consigli di Fabbrica: rivoluzionaria, anarchica, socialista, anticapitalista, antimilitarista, anticlericale, operaia. Sono raccontati i due principali momenti insurrezionali: i moti contro la guerra dell’agosto 1917 e l’occupazione delle fabbriche dell’estate 1920.

In un’intervista a radio Blackout Marco Revelli anticipa alcuni dei temi e dei nodi problematici di quest’epoca cruciale per Torino e per l’Italia.

Ascolta l’intervista

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La cacciata del PD dalla piazza del Primo Maggio. Video

Video sulla contestazione al PD, cui viene impedito di entrare in piazza S. Carlo, al grido di “Il Primo Maggio è dei lavoratori: Fassino, PD fuori dai coglioni!

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Torino. Primo Maggio di lotta. Il PD non entra in piazza S. Carlo

Il corteo del Primo Maggio quest’anno è stato segnato da molteplici contestazioni al governo della città ed ai sindacati di Stato.
Vivere a Torino è sempre più difficile: disoccupazione, precarietà, licenziamenti, sfratti, chiusura di ospedali, scuole, asili danno il ritmo di un vivere segnato dall’incertezza per il futuro, da lavori sempre precari, spesso pericolosi, non di rado inutili, dalla scomparsa di tutele conquistate negli anni con le lotte.
La Torino che non ci sta, con le sue tante anime, si è ritrovata nella piazza del Primo Maggio, per dichiarare forte e chiara la propria indisponibilità a vivere questo presente e ad accettare di lasciare ai propri figli un domani peggiore.
La testa del corteo fa i primi passi in via Po, quando un gruppo di studenti contesta il sindaco Fassino. Parte una breve carica di polizia e quattro studenti vengono fermati. Verranno rilasciati alcune ore dopo, con, per tre di loro, una denuncia a piede libero.
Fassino fa il corteo tra due ali di polizia ma questo non impedisce a tanta gente di fischiare e gridare slogan da sotto i portici di via Po e via Roma.
In piazza Castello nuova tappa nella via crucis del sindaco, atteso da un folto gruppo di No Tav, sindacati di base, gente comune che fischia e grida slogan.
A Fassino non va meglio dal palco di Piazza S. Carlo, una piazza S. Carlo surreale, piena di poliziotti. Precari, senza pensione, le maestre dei nidi che il comune vuol liquidare e privatizzare fischiano sonoramente durante il suo intervento.
Ma la giornata non è ancora finita. Lo spezzone aperto dagli autonomi non entra in piazza S. Carlo, devia verso il comune, dove un paio di ragazzi salgono la balconata per affiggervi uno striscione. La polizia carica ancora poi si ritira e lo spezzone, recuperati i due sul balcone, si allontana.
Lo spezzone rosso e nero, aperto dallo striscione “Né Stato né padroni. Azione diretta”, dopo aver aggirato il servizio d’ordine del PD, composto dai soliti picchiatori prezzolati, che lo scorso anno avevano aggredito gli anarchici, danneggiandone il furgone, sfila per via Po, piazza Castello e via Roma. Chiude lo spezzone, dove le bandiere anarchiche si mescolano a quelle dei No Tav, lo striscione dei compagni del comitato autogestito contro il Terzo Valico.
Numerosi interventi scandiscono il percorso dello spezzone, più volte applaudito lungo il percorso dai tanti torinesi ai lati del corteo.
Lo spezzone del PD, che sfila in coda, non riesce ad entrare in piazza, perché viene duramente contestato. I picchiatori del PD si schierano, spruzzano spray al peperoncino in faccia ai tanti che intendono impedire al partito degli affari, della guerra e dei padroni di entrare nella piazza del Primo Maggio. Riescono a portarsi via una bandiera rossa e nera ma è un ben misero trofeo, perché alla fine sono obbligati a retrocedere da una piccola folla che man mano si ingrossa.
I carabinieri in assetto antisommossa arrivano di corsa ma ormai è tardi. Quest’anno, per la prima volta, quelli del PD non entrano nella piazza dove si conclude il corteo del Primo Maggio.
Un Primo Maggio di lotta. Una giornata importante per l’estendersi a macchia d’olio della protesta popolare, una giornata in cui tanti, spontaneamente, hanno espresso il loro rigetto verso un sistema politico e sociale che semina miseria e finalmente raccoglie un po’ della rabbia che ha seminato tra chi fatica a vivere all’ombra della Mole.
Un segnale del vento che cambia? Un auspicio e un impegno per tutti noi.

Guarda in questo video l’attacco di polizia per una banale contestazione. Osserva anche la reazione della gente:

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Primo Maggio. Favole, pietre e ciliegie

Primo Maggio 2012

Appuntamento in piazza Vittorio
alle ore 9
distro libri e stampa
spezzone rosso e nero al corteo
poi… dalle 13
Pranzo e festa del Primo Maggio in corso Palermo 46.
Benefit antirazzisti, antifascisti, no tav sotto processo
Prenotatevi!

Ci raccontano che viviamo nel migliore dei mondi possibili, che liberismo e democrazia sono il cocktail che garantisce pace, libertà, benessere. Intanto piovono pietre.
Ci raccontano le favole e pretendono che ci crediamo, anche se arrivare a fine mese è sempre più difficile, anche se le loro leggi condannano i nostri anziani ad una vecchiaia senza dignità, i nostri giovani alla precarietà a vita. Ci raccontano le favole e intanto spendono per la guerra e le grandi opere i soldi che sottraggono alla sanità, ai trasporti, all’istruzione.

La litania è la solita: c’è la crisi e bisogna rinunciare a qualcosa per non rischiare di perdere tutto. Un ricatto. O fai come ti dico o affondi. Ce lo dice il governo e ce lo dicono i padroni. Peccato che il potere di chi governa diventi ogni giorno più forte, peccato che chi lucra sulle nostre vite diventi ogni giorno più ricco.
Peccato che le stesse ricette anticrisi abbiano ridotto alla miseria i lavoratori e i pensionati in Grecia, dove chi va in ospedale si deve comperare persino gli aghi.
Chi dice no, chi non accetta di chinare la testa, chi si oppone alla libertà di licenziare, chi è stanco di pagare la crisi dei padroni, chi lotta contro la devastazione del territorio, contro l’imposizione di scelte non condivise, viene additato come sovversivo e delinquente.
Contro chi lotta si scatenano la polizia e la magistratura. Non si contano più i procedimenti giudiziari contro lavoratori, immigrati, no tav, oppositori politici, non si contano più cariche e pestaggi di polizia.

Ci vogliono divisi per poterci meglio comandare e sfruttare.
Nei posti di lavoro, nelle periferie, in ogni dove la crisi morde con forza soffiano sul fuoco della guerra tra poveri, per mettere i lavoratori italiani contro quelli immigrati, più ricattabili e quindi più disponibili ad accettare salari e ritmi e condizioni di lavoro peggiori.
La solidarietà di classe tra stranieri e italiani, la lotta comune contro le leggi razziste che trasformano in schiavi gli immigrati, può mettere in difficoltà i padroni, che quando si tratta di guadagnare, non badano al colore della pelle ma a quello dei soldi.

Con la retorica delle grandi opere fomentano lo scontro tra chi difende il territorio e si batte contro le grandi opere inutili a chi non ha lavoro e spera di trovarne uno. Tutela del territorio, ospedali, trasporto pubblico, scuole possono garantire lavoro e qualità della vita. Basta volerlo, basta mandare a casa tutti quanti, e decidere di fare da soli.

Le anime belle della democrazia sempre da “riformare”, sempre da “ripulire” ci raccontano che basta cambiare la legge elettorale e tutto andrà a posto, basta un poco di democrazia “partecipata” e la democrazia manterrà le sue promesse.
La democrazia può decidere di “ascoltare” chi ha abbastanza forza per pretenderlo ma alla fine prevale il principio gerarchico, e si impone la logica dell’interesse generale che coincide con quello di padroni, banche e classe politica.
Il gioco è truccato all’origine. La democrazia garantisce solo l’interscambio delle elite: quale che sia il sistema di rilevamento, è comunque dominio.
E, come tale, mira a rendere inoffensivo chi lotta contro un sistema sociale ingiusto e predatorio. Gli illusi della socialdemocrazia ci raccontano che è possibile un nuovo welfare, un nuovo compromesso tra capitale e lavoro. Sperano di arraffare voti promettendo che qualche briciola in più cada dalla tavola imbandita dei potenti. Promesse vane, quando le decisioni le prendono altrove, quando il “pareggio di bilancio” è entrato a far parte della costituzione.
Oggi i padroni, che la lotta di classe non l’hanno mai abbandonata, si sentono forti e non sono disponibili a concessioni, nemmeno minime.
Ma non è il caso di rimpiangere la socialdemocrazia, poiché altro non era che un sistema di ammortizzamento del conflitto sociale, un sistema per sopire le lotte, garantendo un poco di servizi e tutele.
Ma la partita, quella vera, quella che fa paura a chi ci sfrutta ogni giorno, a chi si mangia le nostre vite, imponendo ritmi e condizioni di lavoro come non conoscevano più, è un’altra.

Questa partita si gioca altrove.
Via dai palazzi del potere, via dalla democrazia, via dalle compatibilità con quello che c’è.
Si tratta di porre al centro la questione sociale. Si tratta di dire, senza timore di anacronismi, che la lotta di classe finisce solo quando finisce lo sfruttamento, e lo sfruttamento finisce se spariscono i padroni.
Possiamo fare a meno di loro. Possiamo fare a meno di chi sfrutta e comanda. Possiamo e dobbiamo fare da noi, costruendo l’autogestione e sviluppando il conflitto che la estende, la moltiplica, la scaglia nell’orizzonte di una storia che non è già scritta.
Una prospettiva inattuale? Non credete alle favole.
I padroni lanciano pietre, ma ogni primavera di lotta è stagione delle ciliegie.
Buon Primo Maggio di lotta a tutti e tutte!

 

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Torino 25 aprile 2012. La resistenza continua


Mercoledì 25 aprile
ore 15
presidio alla lapide al partigiano anarchico Ilio Baroni
in corso Giulio Cesare angolo corso Novara
dove Ilio è morto combattendo i nazifascisti

Ricordo, deposizione di fiori, musica – banchetti informativi antifascisti e antirazzisti – volantinaggio in quartiere – bicchierata in ricordo delle tante vittime del fascismo di ieri e di oggi.
Interverranno Roberto Prato e Tobia Imperato

Sugli anarchici nella resistenza a Torino ascolta l’intervista a Tobia

scarica l’audio

Di seguito la presentazione dell’iniziativa, promossa, come ormai ogni anno, dalla Federazione Anarchica Torinese

“Baroni sa di rischiare tutto, ma come nel passato mette a repentaglio la sua vita per proteggere quella degli altri.
Ecco Baritono che cerca di recuperare l’automezzo del suo distaccamento; Baroni è ora completamente allo scoperto e lo protegge, ma una raffica colpisce in pieno Baritono; Baroni continua a sparare, poi, d’un tratto, tutto tace; la sua arma non canta più; Baroni è morto; si è accasciato sulla sua arma; è caduto da eroe.” (Fabbri).

Ilio Baroni (1902-1945), nome di battaglia “il Moro”, era un anarchico di Massa Marittima (Gr) che come tanti era giunto a Torino per trovare lavoro come operaio alla Fiat Ferriere. Diviene subito un personaggio di spicco negli ambienti sovversivi e antifascisti ed organizza attorno a sé un nutrito gruppo di compagni. Sfumato il tentativo di raggiungere la Spagna rivoluzionaria nel ’36, si dedica in tutto e per tutto alla resistenza antifascista a Torino.
Condannato per attività antifascista e propaganda anarchica e trascorsi alcuni anni di carcere e confino, diventa il comandante della VII brigata Sap delle Ferriere.
Il compito delle Squadre di Azione Patriottica (Sap), che vedevano affiancati partigiani provenienti da diverse realtà politiche, era di difendere industrie e macchinari, sabotare la produzione, rafforzare la coscienza antifascista con la propaganda e prepararsi militarmente all’insurrezione.
Il Moro, al comando della squadra di manovra Sap, sarà protagonista di vere e proprie azioni di guerra in stile gappista, fino a quando, nel fatidico aprile del ’45, troverà la morte in battaglia.
Il 25 aprile a Torino la città è paralizzata dallo sciopero generale, scoppia l’insurrezione, e la città diventa a breve un campo di battaglia. Baroni e i suoi attaccano la stazione Dora e si guadagnano un successo, ma giunge una richiesta d’aiuto dalla Grandi Motori. Il Moro non esita ad aiutare i compagni nel mezzo di una battaglia furiosa, e cade sotto il fuoco tedesco. È il 26 aprile. Il giorno dopo la città sarà completamente liberata dai fascisti, senza dover nemmeno aspettare l’arrivo delle formazioni esterne.
Il 28 aprile i Volontari della libertà di tutte le formazioni percorrono le vie di Torino cantando le loro canzoni.
Ilio Baroni non potrà vedere il momento per cui ha lottato duramente tutta la vita…

Ma il fascismo non è morto il 25 aprile del 1945…

Stiamo scivolando verso un baratro. È il baratro del fascismo che ritorna, che ritorna nelle strade, che ritorna nelle leggi sempre più razziste e liberticide.
Non si contano più le aggressioni di fascisti e polizia contro immigrati e rom. Dal pogrom della Continassa agli omicidi fascisti di Firenze, dal sudamericano ucciso a Milano dalla polizia al ragazzo tunisino ammazzato a Ravenna dai carabinieri.
Un vero bollettino di guerra. Una guerra aperta, una guerra scritta nel nostro stesso ordinamento giuridico, che sancisce che qualcuno può essere perseguito per quello che è, non per quello che fa. Come nella Germania nazista, come nell’Italia fascista. Sei rinchiuso, perseguitato, discriminato perché sei ebreo, rom, asociale, omosessuale, oppositore politico.
Sei escluso dai diritti umani, perché non sei davvero umano, sei inferiore e, quindi, pericoloso.
Dal 1988 sono 18.244 gli immigrati morti nel tentativo di attraversare la frontiera con la fortezza Europa.
Una lunga strage, non diversa da quelle delle truppe coloniali di Mussolini in Libia e nel Corno d’Africa.
Anche questo è fascismo.

Chi ce la fa ad arrivare trova lavoro nero, salari infimi, paura, discriminazione, leggi razziste.
Chi viene pescato senza documenti sale gratis sulla macchina delle espulsioni: reclusione amministrativa sino a diciotto mesi e poi il ritorno con comodo volo di linea. A testa china e in silenzio. Se parli, se gridi che non vuoi andare via, se ti agiti per suscitare l’attenzione ti stringono i polsi con le fascette da elettricista, che fermano il sangue, incidono le carni e ti impacchettano la bocca con lo scotch. Perché questa pratica venisse alla luce c’è voluto un passeggero con un briciolo di umanità, mentre gli altri restavano in silenzio, infastiditi dall’indignazione di quell’unico che non riusciva a tollerare l’intollerabile.
In questo silenzio complice si annida il fascismo.

Il processo di disumanizzazione dell’immigrato, rinchiuso nella gabbia semantica della clandestinità, che lo rende sospetto, probabilmente delinquente, sicuramente pericoloso, equiparabile ad una bestia feroce è parte integrante nella costruzione del consenso alle pratiche più indecenti.
L’immigrato cui serrano le labbra a forza è come il cane cui viene imposta la museruola, come la tigre rinchiusa in gabbia, come il serpente cui viene tolto il veleno.
Museruole, gabbie, psicofarmaci narrano la bestialità di chi li usa.
Una bestialità pervasiva, che rischia di farsi lessico comune, aberrante normalità, giudiziosa condotta. Un anestetico morale, un alibi collettivo.
Anche questo è fascismo.

Stiamo scivolando in un baratro: occorre fare barriera contro la barbarie che avanza, con l’azione diretta, senza deleghe, in prima persona.
In questo 25 aprile vogliamo ricordare le ragioni di tanti di quelli che combatterono e morirono, le ragioni di chi combatteva il fascismo perché portava in se il sogno di un’umanità senza stati né frontiere, solidale, dove l’uguaglianza reale si accompagnasse al rispetto ed alla salvaguardia delle differenze.
Queste ragioni sono state dimenticate o gettate nel fango.
Spetta a noi raccoglierle e farne una bandiera.
Spetta a noi riprendere il cammino dei nostri padri e dei nostri nonni. Spetta a noi conquistare un nuovo aprile.
A Torino la Resistenza continua, ogni giorno.

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Le guerre per l’acqua

Il controllo delle risorse idriche, l’oro blu, è una delle poste in gioco nelle lotte egemoniche del prossimo futuro. Anzi è già storia del nostro presente. Intorno a nodi geopolitici quali le alture del Golan o le sorgenti del Nilo ci sono conflitti che vanno avanti da decenni.
L’acqua – diversamente dal petrolio – potrebbe bastare alle necessità di tutti i sette miliardi di abitanti del pianeta. Non è vero che scarseggi, ma è vero che è mal distribuita, spesso sprecata e soprattutto privatizzata.

La svolta si è avuta nel 2000, quando al II forum dell’acqua svoltosi all’Aja dal 17 al 22 marzo, venne stabilito che l’acqua non era un diritto umano – in quanto tale inalienabile – ma un bisogno umano, quindi smerciabile e privatizzabile.
Un recente rapporto del «National Intelligence Estimate» reso pubblico a Washington dal Dipartimento di Stato ha lanciato l’allarme sulle future minacce alla sicurezza globale.
Secondo l’amministrazione Obama presto la situazione diverrà esplosiva, scatenando vere “water wars”.

Anarres ne ha parlato con Salvo Vaccaro, esperto di questioni geopolitiche e docente all’Università di Palermo.
Ascolta la sua analisi

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Tassa sulla casa. Anche in tre rate, anche all’estero

La tassa sulla casa si potrà pagare anche in tre rate. Quanto pagheremo lo sapremo – forse – a fine anno. E’ certo però che l’IMU non è la vecchia ICI: per una casa anche modesta si pagheranno cifre intorno ai mille euro. Un mese di stipendio, o, per chi ce l’ha, la tredicesima.
I grandi costruttori invece non pagheranno neanche un soldo per gli immobili finiti ma vuoti.
Sull’equità della misura basti pensare che gli anziani negli ospizi pagano l’IMU, mentre le fondazioni bancarie sono esenti.
Una delle novità più interessanti è la tassazione delle case all’estero. Una tassa difficile da esigere ma che potrebbe diventare un ulteriore balzello per gli immigrati, che nel loro paese di origine hanno una casa o la ereditano dai parenti.
Insomma una nuova tassa per i lavoratori immigrati, cui è negato l’accesso a tanti servizi importanti, ma, come mucche da mungere, devono piegarsi a sempre nuovi balzelli.

Ascolta l’intervista all’economista Francesco Carlizza

Sull’IMU a Torino ascolta anche l’intervista a Renato Strumia

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Il cerchio magico si è davvero spezzato?

Vi pare una domanda oziosa di fronte agli scandali che stanno travolgendo la dirigenza leghista? Per non dire delle robuste scope che l’amico/nemico Bobo Maroni usa con innegabile entusiasmo?
Non tanto. L’analisi della costituzione simbolica del leghismo, che, nel leader massimo vede incarnate tutte le virtù della Padania, disegna una relazione di carattere carismatico forte, che contiene e giustifica anche ruberie e malaffare.
Il piccolo Frankenstein politico costruito dal ragazzo di Gemonio, una sapiente miscela di invenzione/tradizione/tradimento di una nazione in salsa populista e razzista, comporta la necessaria investitura regale del capo e dei suoi discendenti.
In virtù di tale investitura la famiglia reale padana attinge alle casse del partito. Il partito non è altro dal suo inventore: creatore e creatura coincidono.
Sarà interessante nelle prossime settimane capire se e in che modo l’epopea leghista sopravvivrà. Ma c’è il fondato timore che il piccolo Frankestein leghista sia duro a morire.

Ne abbiamo discusso con Pietro Stara

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Sulla parabola della Lega Nord ascolta anche l’intervista a Dario Padovan

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La strage delle memoria. Paolo Finzi su piazza Fontana e l’assassinio di Pinelli

Nel dicembre del 1969 Paolo aveva appena compiuto diciottanni.
Dopo la strage alla banca dell’Agricoltura – 17 morti e 88 feriti – fu tra le centinaia di anarchici condotti in questura per l’interrogatorio.
Lui tornò alla sua casa, Pino Pinelli no.

Testimone e protagonista di quegli anni, Paolo ci racconterà una storia che ha lasciato un segno indelebile nella sua vita.

Ascolta la chiacchierata con Paolo a radio Blackout

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Venerdì 20 aprile ore 21
incontro con Paolo Finzi
nella sede della federazione anarchica torinese

in corso Palermo 46

Prima dell’incontro verrà proiettato il breve film di Elio Petri
“Tre ipotesi sulla morte di Pinelli”
con Gian Maria Volonté, Giancarlo Dettori, Renzo Montagnani.

Per un approfondimento sulla vicenda leggi quest’articolo

Sul film di Giordana ascolta anche l’intervista a Massimo Varengo

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Processo agli antirazzisti torinesi primo atto

Torino, 13 aprile. Si è svolta oggi l’udienza preliminare del processo agli antirazzisti torinesi.
Erano presenti solo sette imputati, di cui uno detenuto per antifascismo e un’altra ai domiciliari per la lotta No Tav.
Si sono costituiti parte civile i curatori fallimentari del ristorante il Cambio, il capo dei comitati spontanei razzisti Carlo Verra e la consigliera di circoscrizione del PDL Patrizia Alessi.
Gli avvocati della difesa hanno presentato alcune eccezioni di natura procedurale per mancata notifica, l’accoglimento delle quali ha portato al rinvio al 24 maggio dell’udienza.
Il mega processo che mette insieme alcuni episodi di lotta antirazzista – ma non solo – è stato spezzato in due.
In questa prima tranche sono state messe insieme alcune tra le tante manifestazioni, proteste, azioni, contestazioni che hanno – almeno in parte – attraversato il percorso dell’assemblea antirazzista torinese. Altre iniziative, dello stesso tenore e dello stesso ambito, saranno oggetto di altri procedimenti. Chiaro l’intento di prendere due piccioni con una fava giuridica.
Da un lato proporre, pur senza riproporla formalmente, la chiave associativa negata dalla cassazione, dall’altro investire gli stessi antirazzisti di una miriade di procedimenti separati, negando loro almeno il beneficio della continuità, derivante dell’accorpamento.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese e in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
Non a caso il regista dell’intera operazione è il PM Padalino, noto per le sue simpatie leghiste e per proposte di stampo teneramente nazista come il rilievo delle impronte ai bambini e alle bambine rom.

L’urgenza politica e morale della lotta antirazzista va al di là della repressione che colpisce chi ha tentato di mettere sabbia nel meccanismo feroce che stritola le vite degli immigrati per tenerli sotto costante ricatto.
In questi anni è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, un corpus di leggi che stabilisce che viaggiare è un reato, cercare un futuro migliore un’ambizione criminale.
Di fronte alle nuove leggi razziali ribellarsi e sostenere chi si ribella è un dovere. Ineludibile.

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11A. Blocchi, presidi e marce in Val Susa

Bussoleno, ore 12,46, autostrada A32. Sin dalle 10 del mattino è partito un blocco della A32 a Bussoleno all’imbocco della galleria del Prapuntin. Per primi sono partiti i ragazzi delle superiori, poi si sono uniti tanti altri. Barricate chiudono l’accesso alla galleria nei due sensi di marcia.

La giornata di lotta ha avuto un anticipo con la fiaccolata da Giaglione alla zona occupata in Clarea. Nonostante l’abbondante nevicata alcune centinaia di No Tav hanno raggiunto le reti, cantando “bella ciao” e scandendo slogan.
Nelle prime ore del mattino un corteo di qualche centinaio di persone è partito da Giaglione ed è tornato alle reti. Nonostante la zona rossa proclamata dalla Prefettura, la polizia non sorvegliava i jersey prima del sottopassaggio dell’autostrada ed è stato facile per i manifestanti raggiungere la zona percorrendo la strada delle gorge.

A Chiomonte altre centinaia di No Tav si sono dati appuntamento al cancello che blocca l’accesso alla strada dell’Avanà. Battiture, slogan, the caldo e la consapevolezza che la giornata sarà ancora molto lunga.

Aggiornamenti ore 13,29, Clarea. Qualche metro di rete tagliata, una manifestante incatenata alla rete. La polizia sta chiudendo dai due lati i manifestanti. Situazione molto tesa. L’unica via d’uscita è verso la montagna.

Aggiornamenti ore 14. La situazione è più tranquilla la polizia si è accontentata di riprendere il totale controllo dell’area senza caricare i manifestanti.

Aggiornamenti ore 15. Parte il blocco della statale 24 a Bussoleno, dove già passano i tir fatti uscire dall’autostrada bloccata al Prapuntin. Un blocco a intermittenza: dieci minuti si apre, dieci minuti si chiude.
L’altra statale viene lasciata aperta per consentire ai compagni che man mano scendono dalla Clarea di raggiungere la zona. I blocchi vanno avanti per circa tre ore.

Aggiornamento ore 18. Sull’autostrada si fa il punto della situazione e si decide di moltiplicare le iniziative per mettere sabbia nella macchina dell’occupazione militare. La notte sarà lunga.

Aggiornamento notturno. Bloccata l’autostrada in alta valle da un gruppo di No Tav, che la chiudono con una barricata.
Intorno alle 13 termina l’occupazione della A32 all’imbocco della galleria del Prapuntin a Bussoleno.

Giovedì 12 viene fissato un appuntamento alle 18 a Giaglione per assemblea, passeggiata in paese contro la decisione del sindaco di dichiarare abusivo il presidio sorto di fronte al campo sportivo del paese.

Giovedì 12 aprile, Giaglione. In Clarea vengono sradicati i castagni secolari intorno alla baita occupata dalla polizia il 27 febbraio. L’età media di quegli alberi era di 268 anni. Quando vennero piantati mancavano ancora cinquant’anni alla rivoluzione francese. Un modo per cercare di spezzare il morale di chi ama questa terra e lotta per difenderla. Non ci riusciranno. Nell’assemblea che si svolge nel tardo pomeriggio i No Tav confermano la propria determinazione alla lotta e si preparano a lunedì, quando è stato annunciato l’arrivo dei primi mezzi della CMC, la cooperativa rossa, cui è stato affidato il compito di realizzare il tunnel geognostico.
Sabato giornata all’insegna della musica con i cori “resistenti” di diverse città italiane che visiteranno con la loro musica tutti i presidi No Tav. Qui trovi il programma di “Valsusa incanta”.

Posted in autogestione, no tav.

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11 aprile. Primavera di resistenza

L’11 aprile è il giorno degli espropri. L’ultimo atto prima dell’avvio dei lavori per il tunnel geognostico della Maddalena. 11 mesi dopo il primo attacco, le truppe di occupazione hanno concluso la recinzione dei terreni.
Sono stati mesi di resistenza pressoché quotidiana, mesi nei quali abbiamo cercato di mettere i bastoni tra le ruote ad una macchina militare costruita con cura e intelligenza per disciplinarci, dividerci, spaventarci. Non ci sono riusciti e ogni volta ne provano una nuova per spezzare un movimento di irriducibili rompiscatole, gente che non si fa dividere, gente che non molla né si spaventa, gente che da il “cattivo” esempio un po’ a tutti.

Domani in tutta Italia vi saranno iniziative di lotta a sostegno dei No Tav ma, soprattutto, a sostegno di un’idea di relazioni politiche e sociali diversa da quella in cui siamo forzati a vivere, dove libertà, uguaglianza, solidarietà siano impegni e obiettivi comuni non parole con cui celebrare la retorica di una democrazia fatta di guerra, sfruttamento, oppressione.
La lotta No Tav è divenuta punto di riferimento per le tante resistenze del nostro paese. Una lotta popolare, dove i processi decisionali provano a costruirsi dal basso, tramite il metodo del consenso, nel confronto diretto nelle assemblee e nei comitati locali. Non sempre ci si riesce, perché l’abitudine alla delega, la forza delle gerarchie che segnano una società autoritaria, sono difficili da sconfiggere. Ma, con pazienza e con fatica, ci proviamo, perché sappiamo che la posta in gioco è molto alta. La possibilità di immaginare costruendolo e di costruire immaginandolo un futuro che dia senso al nostro presente.

Ieri al merendin di pasquetta in Clarea, assediati da imponenti recinzioni, uomini in armi e mezzi militari dappertutto, alcuni di noi si domandavano quanta strada avessimo fatto in tanti anni, quanti chilometri avessimo macinato, quante iniziative costruito, quante parole spese per tessere la tela robusta della quale è fatto questo nostro movimento. Una tela che è forte anche della capacità costante di re-inventarci spazi e prospettive, di sorprendere i nostri avversari, di allargare nel contempo il consenso popolare intorno alle nostre iniziative.
Ieri c’era chi mangiava, chi arrostiva il cibo sulla brace, chi cantava e chi discuteva.

C’era anche chi saliva alle vasche e di lì alla Maddalena occupata. La scena è desolante: un deserto circondato da muri e reti, coronate di filo spinato. Una enorme ferita. Il 27 giugno, il 16 e il 24 agosto e infine il 27 febbraio si sono presi tutto. Dall’alto si vedono bene le recinzioni concentriche che segnano i progressi degli occupanti.

Ormai da mesi, sin da metà settembre, il movimento si interroga sulle prospettive di lotta, che certo non sono più quelle del 2005. Oggi il governo ha affinato i mezzi, sapendo calibrare propaganda e violenza.
Nel 2005 i check point di polizia che impedivano l’accesso al paese di Mompantero rendevano visibile l’occupazione militare in tutto il suo portato materiale e simbolico, oggi il check point sulla strada dell’Avanà chiude una strada di vigne, senza case, persone, affetti divisi.

Il catino della Clarea è perfetto per una guerra tra eserciti, molto meno per una lotta popolare, che ha i suoi ritmi, fatti di partecipazione diretta di tutti, anziani, ragazzini e malati compresi.

L’8 dicembre con 14 ore di occupazione popolare dell’autostrada, poi in modo più netto con i blocchi prolungati di fine febbraio il movimento ha ri-trovato il suo ritmo, una lotta capace di mettere nuovamente in difficoltà l’avversario. Un avversario che non guarda in faccia nessuno, che pesta, gasa e rompe ossa in ogni dove ma indubbiamente preferisce farlo in una zona appartata e remota come la Clarea piuttosto che nel cuore della valle, a due passi dalle case.
Quando i lacrimogeni centrano i cortili delle abitazioni, quando la guerra attraversa il tuo paese, quando la democrazia reale si mostra senza infingimenti né belletti, la resistenza si rinforza, la gente esce dal lavoro e va alla barricata, il tempo della libertà prende il sopravvento su una quotidianità scandita dal ritmo della merce.

C’è chi si affeziona ai luoghi. Fa bene, perché i luoghi vivono grazie a chi li ama. Vedere la Clarea ridotta a polvere e filo spinato fa male a tutti.

Ma non è lì che si gioca la partita. Il governo lo ha capito tanto bene che ha deciso di far partire l’iter di approvazione di nuove leggi che sanzionino pesantemente i blocchi stradali e ferroviari. Se non gli dessimo fastidio, se volessero tenerci lontani da quelle dannate reti, perché fare una legge per tenerci invece lontani dall’autostrada?

Con la grande manifestazione del 25 febbraio e con i blocchi della settimana successiva abbiamo rotto l’accerchiamento mediatico con il quale hanno giustificato repressione ed arresti.
La scommessa per i prossimi giorni e mesi – l’11 è solo una tappa – è di creare le condizioni perché le truppe siano costrette al ritiro.
Occorre inceppare la macchina dell’occupazione, intralciarla con pazienza giorno dopo giorno, rendendo visibile la gestione militare del territorio. In quest’angolo di nord ovest la situazione può divenire ingovernabile, specie se riusciremo ad unire le resistenze non in un cartello politico ma nella pratica del mutuo appoggio e della solidarietà concreta.

Scegliamo noi i luoghi della resistenza.
Se ci riusciremo, se ogni paese, ogni strada diventerà per loro un problema, saranno costretti ad andarsene da Clarea come se ne andarono da Venaus.

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No Tav. Assemblea popolare: cronache, riflessioni, proposte

Martedì 3 aprile. Folla delle grandi occasioni al Polivalente di Bussoleno. Sul piatto la discussione sull’11 aprile, il giorno in cui l’occupazione di fatto dei terreni di Clarea diventerà legale, perché verranno fatte le procedure per l’occupazione “temporanea”. Un atto formale ma importante, poiché indispensabile all’avvio dei lavori.
L’assemblea si apre con la lettura di una lettera di Luca Abbà, accolta da un fragoroso applauso.
Unanime è la solidarietà ai No Tav ancora in carcere, alcuni dei quali in condizioni di semi isolamento.
Poi si discute del da farsi. Già nei giorni precedenti era girato un appello a tutti i No Tav sparsi per la penisola, perché l’11 attuassero azioni di sostegno alla lotta in Val di Susa.
Il canovaccio da cui si dipana la discussione è comune: mettere i bastoni tra le ruote alle truppe di occupazione. Resta sullo sfondo la questione del terreno di lotta da privilegiare. Le reti del fortino o le azioni per rallentare, inceppare, mettere in difficoltà i movimenti degli occupanti e delle ditte incaricate?
La questione, come ormai da lunghi mesi, resta aperta.
La tensione che attraversa un po’ tutti è la stessa: cercare di essere efficaci, non rassegnarsi ad un ruolo testimoniale, come accaduto ad altri movimenti, che hanno infine subito l’inizio dei lavori, senza riuscire a contrastare la macchina militare che li sostiene.
Nei fatti, fatti più pesanti di qualsiasi retorica assembleare, è innegabile che a dicembre (sull’autostrada) e nella settimana tra il 27 febbraio e i primi di marzo (sempre a fare blocchi) per la prima volta siamo riusciti a mettere in difficoltà l’avversario, a rompere l’accerchiamento mediatico sino ad indurre Regione e Provincia a cercare un confronto istituzionale sulle compensazioni. Se cercano di comperarti vuol dire che le tue azioni sono salite di valore.
Siccome sono criminali ma non stupidi, quelli del governo sanno che la nostra libertà non ha prezzo. Il governo lo ha capito tanto bene che ha deciso di far partire l’iter di approvazione di nuove leggi che sanzionino pesantemente i blocchi stradali e ferroviari. Una legge scritta per tenerci lontani dall’autostrada.
Non siamo più nel 2005: lo scopo principale non è la torta di 22 miliardi di euro, ma il disciplinamento di un movimento di irriducibili rompiscatole, gente che non si fa dividere, gente che non molla né si spaventa, gente che da il “cattivo” esempio un po’ a tutti.
Occorre allargare il fronte di una resistenza, che, anche a bassa intensità, metta i bastoni tra le ruote alle truppe di occupazione: solo così possiamo cominciare a gettare le basi perché poco a poco la situazione divenga per loro ingovernabile.
Andare in Clarea, monitorare quello che accade, può essere utile, ma la partita si gioca altrove.
Non si tratta di lasciare loro Clarea, ma di creare le condizioni per potersela riprendere. Se riusciamo a rendergli la vita difficile un po’ dappertutto prima o poi se ne andranno.

Sull’assemblea di Bussoleno ascolta l’intervista a Blackout di Alberto Perino

Il punto sulla partita che si gioca l’11 aprile nell’analisi di Anarres. Ascolta la breve analisi a radio Blackout

il programma per la settimana dell’11A:

Lunedì 9 aprile pasquetta in Clarea con passeggiata e merenda

Martedì 10 assemblea No Tav a Giaglione ore 20

Mercoledì 11 dall’alba doppio appuntamento contro l’occupazione “temporanea” dei terreni per fare il tunnel :
– al campo sportivo di Giaglione
– ai cancelli della Centrale a Chiomonte (lì verranno fatti entrare i proprietari dei terreni)

Nel pomeriggio appuntamento alle 17 al presidio internazionale di Susa per inceppare la macchina dell’occupazione militare. Si comincia con un’assemblea e poi si va.

Mercoledì 11/domenica 15 settimana di lotta No Tav ovunque

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La strage delle memoria

Sabato 7 aprile
via Po 16 a Torino
punto informativo
i 17 morti di piazza Fontana, l’assassinio di Pinelli nel “film/romanzo” di Giordana, o del revisionismo in salsa PD

Venerdì 20 aprile ore 21
in corso Palermo 46
Incontro con Paolo Finzi

Nel dicembre del 1969 Paolo aveva meno di diciottanni.
Dopo la strage alla banca dell’Agricoltura fu tra le centinaia di anarchici condotti in questura per l’interrogatorio.
Lui tornò alla sua casa, Pino Pinelli no.
Testimone e protagonista di quegli anni, Paolo ci racconterà una storia che ha lasciato un segno indelebile nella sua vita.

Prima dell’incontro verrà proiettato il breve film di Elio Petri
“Tre ipotesi sulla morte di Pinelli”
con Gian Maria Volonté, Giancarlo Dettori, Renzo Montagnani.

Torniamo indietro. A quel dannato 15 dicembre del 1969, il giorno che Giuseppe Pinelli venne ammazzato nella questura di Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica” Luigi Calabresi.
Tre giorni prima una bomba di Stato aveva fatto strage di 17 persone nella banca dell’agricoltura di piazza Fontana. Immediatamente era scattata la caccia all’anarchico: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti.
Uno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.

Il copione venne preparato con cura ed eseguito a puntino. Un sistema politico e sociale che aveva imbalsamato la Resistenza, represso la protesta operaia e contadina, stava traballando sotto la pressione delle lotte a scuola e in fabbrica.
La strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.
Solo la forza di quel movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che gli anarchici venissero condannati per quella strage, la prima delle tante che insanguinarono l’Italia.
Quelle stragi, maturate nel cuore stesso delle istituzioni “democratiche”, miravano ad imporre una svolta autoritaria, a dittature feroci come quelle di Grecia, Argentina, Cile. Basta con la favola dei “servizi segreti deviati”! Gli stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.

Dopo 40 anni lo Stato cerca di assolvere definitivamente se stesso, mettendo sullo stesso piano i carnefici e le vittime. Non è un caso che il protagonista sia Giorgio Napolitano. Napolitano, come il suo collega Violante, che equiparò i partigiani ai fascisti di Salò, riscrive la storia.
Nel 2009 cercò di mettere una pietra tombale sulle vicende di quegli anni invitando alla stessa cerimonia la vedova di Pino e quella del suo assassino.
Poi è arrivato Cucchiarelli con il suo libro di fantasie spacciate per verità. Da quel libro, Giordana, anche lui arruolato nel partito del Presidente, ha tratto un film che non è che un romanzaccio. Continued…

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