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Rivolte popolari e immaginario sociale

ConflittoL’ultimo mese e mezzo è stato segnato dalle rivolte popolari in Turchia, Brasile, Egitto. Questi grandi sommovimenti, a latitudini e in contesti molto differenti, ci offrono l’occasione per una riflessione a tutto campo sulle possibilità che questi movimenti offrono e, nel contempo, sulla difficoltà di articolare una narrazione che, sia pure per frammenti, sappia rappresentare sia le istanze di partecipazione non delegata all’agire politico, imprimendo anche una forte radicalità di prospettive alla questione sociale. Nascosta, quasi clandestina in un agone politico che la raffigura come una sorta di obsolescenza, la divaricazione di classe è il convitato di pietra delle rivolte che hanno scosso Turchia, Egitto, Brasile.
Ne abbiamo parlato con Massimo Varengo, la cui analisi, pur rilevando la grande distanza tra i movimenti turchi, egiziani, brasiliani, individua nei meccanismi della governance globale gli elementi che accomunano i vari movimenti. Significativo che in ogni dove il simbolo prevalente tra chi scende in piazza siano le bandiere nazionali, una sorta di coperta identitaria che mette insieme, in modo trasversale, un po’ tutti. Paradossalmente in Turchia e, in parte, anche in Egitto, la nazione si contrappone all’universalismo della religione.
L’utilizzo di simboli e termini che ci rimandano alle origini della modernità non ci deve tuttavia trarre in inganno sulle dinamiche nuove che rappresentano. Le religioni oggi sono il collante identitario potente di movimenti di reazione alla modernità e al colonialismo, che la tradizione la reinventano in opposizione ad una laicità che talora ha indossato i panni del nazionalismo. Il kemalismo, che crea la Turchia sulle ceneri dell’impero ottomano, transnazionale e religioso, si da una cornice laica e pesantemente nazionalista. Ne sanno qualcosa i curdi, gli armeni, i greci di Turchia.
D’altra parte la dissoluzione dell’altra grande entità transnazionale dell’epoca, quella austroungarica, ha dato fiato ad istanze e contrapposizioni nazionaliste, che hanno celebrato i loro ultimi fasti tra Croazia, Serbia e Bosnia negli anni Novanta del secolo scorso.
Oggi quelle bandiere diventano anche il simbolo di entità popolari che non sanno più coniugare l’internazionalismo dei movimenti di classe e dei movimenti libertari antistatali. D’altro canto le assemblee di Gezi e Taksim, la fucina di Tahrir sono divenuti i luoghi di un agire politico che si emancipa delle delega e sperimenta pratiche di partecipazione diretta.
Inevitabile un confronto con la situazione nel nostro paese, dove la resistenza alla crisi e, soprattutto, alle ricette anti crisi che hanno consegnato le vite di chi lavora ad una condizione precaria ormai stabile, sinora non sono state in grado di far da argine alla lunga normalizzazione che ha ridefinito a favore dei padroni gli equilibri di classe nella nostra penisola.

Ascolta la diretta con Massimo

Il discorso è proseguito con Salvo Vaccaro dell’Università di Palermo. In particolare abbiamo parlato del modificarsi del ruolo degli stati nazionali e delle forme della governance globale, che trova sempre più refrattari ampi strati di popolazione ai quattro angoli del globo. La tenuta dell’ordine pubblico viene meno di fronte alle rivolte popolari, anche se è dubbio che i grandi movimenti di piazza che caratterizzano i grandi agglomerati urbani, si radichino anche nelle periferie e nelle campagne. L’esito paradossale delle primavere arabe che nelle urne hanno consegnato Tunisia ed Egitto in mano agli islamisti forse è l’indice di una divaricazione tra città e campagne, che crea un’opposizione reale tra centri laicizzati ed aree contadine dove l’influenza confessionale è più forte. Significativo che in due paesi dove il ruolo dell’esercito è sempre stato fortissimo, al punto da condizionarne pesantemente la storia, in Egitto, dove i militari sono la prima e più importante risorsa pubblica, sia scattato il golpe nei confronti di un regime che non ne garantiva la posizione. Al contrario in Turchia, nonostante il forte legame tra esercito e formazioni kemaliste, il governo Erdogan è sinora riuscito a garantirne la posizione assicurandosi la neutralità degli uomini in divisa.
Dal punto di vista delle istanze che si raggrumano nei diversi movimenti che hanno attraversato le piazze di Egitto, Turchia, Brasile, al di là delle tante differenze, un elemento unificante è la pratica concreta di relazioni politiche costruite nella lotta e attraverso la lotta che esprimono una spinta partecipativa che parte dal social network ma approda alla fisicità di piazze agite con gran forza da corpi e intelligenze. Lì si gioca la possibilità che la rottura dell’ordine materiale acceleri quella dell’ordine simbolico, offrendo una chance alla costruzione di relazioni sociali fuori dall’orizzonte capitalista.

Ascolta la diretta con Salvo

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