L’aula bunker delle Vallette è un’appendice, reale e simbolica, del carcere. Qui si celebrarono i grandi processi alla mafia e alla lotta armata. E’ rimasta chiusa per lunghi anni, finché non è stata riaperta per i No Tav. Qui va avanti a tappe forzate il processo ai resistenti della Maddalena nei giorni dello sgombero della libera Repubblica e del primo assedio alla zona occupata.
Giovedì 22 maggio è stata il teatro perfetto per l’udienza inaugurale del processo ai quattro attivisti No Tav accusati di aver compiuto un sabotaggio al cantiere di Chiomonte il 14 maggio dello scorso anno. In quell’occasione venne danneggiato un compressore, presto riparato e rivenduto. Questo danneggiamento per la Procura di Torino vale un’imputazione di attentato con finalità di terrorismo. Un’imputazione che ha sottratto alle loro vite, ai loro affetti, alle lotte Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, rinchiusi da oltre cinque mesi in regime di alta sorveglianza.
Solo da una settimana erano state cancellate alcune misure particolarmente afflittive nei loro confronti, come il divieto di incontro tra loro, e il blocco delle visite per tutti tranne i familiari più stretti.
Entro il 15 giugno verranno rese note le motivazioni della sentenza della Cassazione, che ha annullato quella del Riesame che aveva confermato l’impianto accusatorio della Procura di Torino.
Una prima crepa nel teorema della premiata coppia Padalino/Rinaudo, che potrebbe, ma il condizionale resta d’obbligo, portare ad un alleggerimento della pressione disciplinare sui quattro No Tav.
Nell’udienza del 22 maggio in corte d’assise il giudice ha concesso che i prigionieri fossero messi insieme nella stessa gabbia, in una zona più vicina ai loro avvocati. Per la prima volta da mesi hanno potuto incontrarsi, parlare, ritrovare un frammento della propria comunità umana e politica.
Fuori dall’aula bunker c’erano centinaia di attivisti No Tav dalla Valle, da Torino, da ogni dove. Musica, interventi, il compressore bruciato in effige hanno accompagnato una mattinata piovosa in questo scampolo di città ai confini del nulla metropolitano.
A turno, con lunghe code ed estenuanti controlli, i No Tav sono entrati in aula. Lo spazio riservato al pubblico è distante un centinaio di metri dalla tribuna dove sono assisi i giudici. La gabbia con i prigionieri è lontana. In mezzo un vetro virato sul verde. Sembra un acquario triste.
Ma non importa. Salendo in piedi sulle sedie si riesce a fare un saluto, che i prigionieri ricambiano arrampicandosi sulla gabbia. Loro, cui spetta la parte più difficile, sembrano più forti di chi sta fuori.
In aula il rito si consuma secondo i propri schemi, con la presentazione delle parti civili. Per mesi i media, echeggiando le carte della Procura, avevano annunciato centinaia di costituzioni. La Commissione Europea, i ministeri, gli operai del cantiere, i poliziotti di guardia non si presentano. Alla fine restano solo il governo, LTF, general contractor per la Torino Lyon, e il sindacato di polizia SAP, quello degli applausi agli assassini di Federico Aldrovandi.
Gli avvocati della difesa hanno presentato numerose questioni di carattere procedurale, compresa l’eccezione di costituzionalità dell’articolo 270 sexies, da cui la Procura di Torino desume la definizione di terrorismo.
E’ stata anche avanzata la richiesta di trasferimento a Torino dei quattro compagni.
Il tribunale si è riservato di rispondere. La prossima udienza si terrà il 6 giugno.
Anarres ne ha parlato con Eugenio Losco, uno degli avvocati che difendono i No Tav.
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