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Ai disertori di tutte le guerre

2014 10 28 maNIF FAT DISERTORISabato 1° novembre
Giornata dei disertori
ore 10 tra Balon e Porta Palazzo

Mostra, letture antimilitariste, esposizione itinerante sull’industria di guerra, autocostruzione collettiva del monumento ai disertori di tutte le guerre.
Nel centesimo anniversario di quell’immane massacro che fu la prima guerra mondiale.

L’Italia è in guerra da molti anni. Ne parlano solo quando un ben pagato professionista ci lascia la pelle: un po’ di retorica su interventi umanitari e democrazia, Napolitano che saluta la salma, una bella pensione a coniugi e figli.
È una guerra su più fronti, che si coniuga nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma parla il lessico feroce dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione.
Gli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. L’armamentario propagandistico è lo stesso. Le questioni sociali vengono narrate nel lessico dell’ordine pubblico.
Hanno applicato nel nostro paese teorie e tattiche sperimentate dalla Somalia all’Afganistan.
La separazione tra guerra e ordine pubblico, tra esercito e polizia è sempre più impalpabile. L’alibi della difesa dei civili è una menzogna mal mascherata di fronte all’evidenza che le principali vittime ed obiettivi delle guerre moderne sono proprio i civili. Civili bombardati, affamati, controllati, inquisiti, stuprati, derubati. Poi arriva la “ricostruzione”, la creazione di uno stato democratico fantoccio delle truppe occupanti, l’organizzazione di esercito, polizia, magistratura leali ai nuovi padroni. È la prosecuzione con altri mezzi della guerra. Se non funziona, come in Afganistan, in Libia, Somalia, Iraq e in Siria, gli Stati Uniti e i loro alleati si ritrovano recalcitranti e far guerra al mostro che hanno partorito, nutrito, fatto crescere.
La guerra diventa filantropia planetaria, le bombe, l’occupazione militare, i rastrellamenti ne sono lo strumento. Il militare diventa poliziotto ed entrambi sono anche operatori umanitari.
Nel centesimo anniversario della prima guerra mondiale, un massacro da 16 milioni di morti, si spreca la retorica. Garrire di tricolori e militari nelle scuole al posto degli insegnanti di storia per reclutare nuovi mercenari per le guerre dell’Italia.
Non una parola sulle esecuzioni sommarie, le decimazioni dei soldati, gli stupri di massa, le migliaia di disertori.
Oggi, chi mette in discussione la sacralità di confini che segnano il limite degli stati, chi irride il militarismo, chi brucia il tricolore, finisce in tribunale. Si concluderà il 19 dicembre il processo a 17 antimilitaristi accusati di vilipendio alle forze armate e al tricolore.
Chi uccide in divisa, chi massacra è considerato un eroe, chi diserta le guerre, chi si fa beffe dei militari, delle frontiere e delle bandiere è, a ragione, trattato da sovversivo.
La testimonianza, la rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza concreta.
Negli ultimi anni l’opposizione alla guerra qualche volta è riuscita a saldarsi con l’opposizione al militarismo: il movimento No F35 a Novara, i No Tav che contrastano l’occupazione militare in Val Susa, i no Muos che si battono contro le antenne assassine a Niscemi. Anche nelle strade delle città, dove controllo militare e repressione delle insorgenze sociali sono la ricetta universale, c’é chi non accetta di vivere da schiavo.
Le radici di tutte le guerre sono nelle industrie che sorgono a pochi passi dalle nostre case. Chi si oppone alla guerra senza opporsi alle produzioni di morte, fa testimonianza ma non impedisce i massacri.
Nella nostra regione ci sono tante fabbriche di morte. La più importante è l’Alenia, uno dei gioielli di Finmeccanica. Alenia costruisce gli Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri made in Europe, e gli AMX. Le ali degli F35, della statunitense Loockeed Martin, sono costruite ed assemblate dall’Alenia. Un business milionario. Un business di morte.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.
Mettiamo sabbia nel motore del militarismo!
Spezziamo la retorica di guerra! Nelle nostre piazze ci sono statue di bronzo e pietra che celebrano assassini in divisa, uomini la cui virtù era ammazzare.
Costruiamo insieme un monumento ai disertori di tutte le guerre!

Posted in antimilitarismo, Inform/Azioni, torino.

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