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Remi vive nelle lotte. Corteo a Torino

IMG_20141030_190143Il presidio indetto a Torino di fronte al consolato francese in via Roma, dopo un’ora di blocco della circolazione, si è trasformato in corteo. In testa due striscioni “Lo Stato uccide”, “Remi vive. No alla diga di Sivens”. Molti gli slogan per ricordare Remi Fraisse, ucciso da un ordigno lanciato della polizia, durante una notte di lotta alla ZAD du Testet.
Alcune centinaia di persone, molti gli attivisti No Tav, hanno risposto all’appello lanciato dalla Federazione Anarchica Torinese per un’iniziativa contro la violenza degli Stati.  In mattinata era circolato il comunicato del movimento No Tav, che faceva proprio l’appuntamento al consolato.
Il corteo, ha percorso via Roma, attraversando piazza S. Carlo, per concludersi in piazza Castello, con alcuni interventi e Bella Ciao cantata in un sommesso crescendo.

Ascolta la presentazione dell’iniziativa su Radio Onda d’Urto

Di seguito il volantino distribuito alla manifestazione.

Remi, un omicidio di Stato
Si chiamava Remi. Uno studente di Tolosa colpito a morte da una granata assordante durante una notte di assedio al cantiere per la diga di Sivens.
La polizia francese le chiama armi non letali. Ma fanno male. Tanti sono stati feriti, Remi invece è morto. Un omicidio di Stato.
Sabato 25 ottobre era stata indetta una manifestazione al cantiere per la costruzione della diga di Sivens. Quest’opera è contrastata dagli ambientalisti e dai piccoli agricoltori della zona. La diga servirebbe gli interessi di alcune grandi aziende agricole e distruggerebbe l’unica zona umida della zona.
La ditta che ha fatto “l’inchiesta pubblica” per la realizzazione dell’opera, una procedura di consultazione tipica della Francia, è la medesima che si è aggiudicata l’appalto e dovrebbe gestire la diga a lavori ultimati. Una mano lava l’altra e poi si fanno la faccia pulita.
Siamo nel Tarn, nella zona pirenaica a ovest di Tolosa.
Qui è sorta da diversi mesi una ZAD, Zone A Defendre, un’area occupata da accampamenti, casette sugli alberi, tende, per tentare di impedire il disboscamento preliminare all’inizio dei lavori per la diga, che dovrebbe fornire acqua per le coltivazioni intensive di mais.
In questi mesi gli attacchi alla ZAD si sono susseguiti in un crescendo di violenza poliziesca. Tra i resistenti era forte la convinzione che prima o poi ci sarebbe scappato il morto.
Migliaia di manifestanti provenienti da tutta la Francia hanno partecipato all’iniziativa contro la diga e in solidarietà con chi resiste nei boschi. Una grande manifestazione popolare.
Al termine del corteo qualche centinaio di attivisti aveva proseguito per l’area di cantiere vietata e blindata dalla polizia. Le truppe dell’antisommossa hanno usato gas lacrimogeni, pallottole di gomma e granate. Le cariche nel bosco si sono susseguite per ore. Molti manifestanti sono stati feriti. Remi è morto sul colpo. Aveva 21 anni.
Non lo conoscevamo, ma era uno dei tanti che hanno scelto di mettersi di mezzo, di lottare contro l’imposizione di un’opera inutile e costosa. Contro la distruzione di una zona umida, per un’agricoltura misurata sulla qualità, non sul peso, per una vita libera dalla feroce logica del profitto.
La piccola dimensione, l’autogestione dei territori e delle proprie vite, un’idea di relazioni sociali che rifiuta il profitto e sceglie la solidarietà, un’utopia concreta per tanti, in ogni dove, uniti al di là delle frontiere che separano gli uomini e le donne ma non le merci.
Leggendo i racconti di chi era in quei boschi, la mente è corsa ai nostri boschi, alle nostre valli, alla nostra lotta contro il Tav, contro le grandi e piccole opere inutili.
Abbiamo pensato ai malati senza cure, alla gente sfrattata perché non arriva a fine mese, ai bambini stipati in scuole insicure, senza risorse, sempre più costose.
I soldi per una nuova linea di treni, dove già c’è il treno, i soldi per un’opera inutile, costosa e devastante li trovano sempre. Sono l’ossatura di un sistema di drenaggio di soldi pubblici a fini privati, che regge un’intera classe politica.
I soldi per le guerre dell’Italia – 53 milioni al giorno – ci sono sempre. I soldi per i militari nelle strade, per la polizia che picchia chi lotta per la propria vita, per il proprio futuro, ci sono sempre.
Siamo in guerra. La guerra di classe, la guerra per la sopravvivenza di un ceto di politici di professione, di cui possiamo fare a meno. Sempre più persone lo sanno, disertano le urne, costruiscono percorsi di autogestione e autogoverno, aprono spazi di libertà, costruiscono il mondo nuovo che sta crescendo nei nostri cuori.

Remi vive. Vivrà nelle lotte di ogni dove, sarà con noi nei mesi e negli anni a venire.

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