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Reggio Emilia. No opg, no rems, no psichiatria

2015 03 28 reggio no opg (1)Il 31 marzo chiudono i sei OPG – ospedali psichiatrici giudiziari –e dovrebbero aprire le REMS – residenze per l’applicazione delle misure di sicurezza. Sino al 1975 si chiamavano “manicomi criminali”, il cambiamento di nome non mutò la natura di questi posti, dove finiscono gli uomini e le donne che, pur riconosciuti responsabili di aver infranto le leggi, vengono dichiarati incapaci di intendere e di volere e rinchiusi in queste strutture a metà tra il carcere e il manicomio.

Dopo anni di rinvii questi luoghi, dove sono costrette circa 750 persone, vengono chiusi. Dovrebbero essere sostituiti dalle REMS. Un nuovo nome perché nulla cambi? Difficile dirlo ora con esattezza. Un fatto è certo: gli opg, strutture degradate, fatiscenti, luride, dove i corpi e le menti delle persone sono ingabbiati, hanno suscitato orrore e riprovazione tali che il governo Renzi è stato obbligato a non rinviare più la loro chiusura.
Le REMS, che passeranno sotto il controllo del ministero della Salute, lasciando a quello di Grazia e Giustizia la sorveglianza esterna, saranno più simili a CIE e manicomi classici che a galere.
Ne dovrebbero aprire due per regione, e dovrebbero “ospitare” solo i prigionieri della regione.
Secondo la legge 81 dello scorso maggio non dovrebbero esservi rinchiuse più di 20 persone. Di certo solo alcune Regioni hanno aperto le REMS, le altre, come Piemonte e Liguria, chiedono soldi o si sono rivolte al privato per stringere convenzioni, o hanno taciuto alle richieste dei due ministri. E’ il caso della Regione Veneto.

E’ probabile che le REMS saranno luoghi più puliti e decorosi. Inoltre l’eliminazione del meccanismo della “stecca”, ossia il prolungamento infinito della detenzione su ordine di uno psichiatra che vi dichiara “socialmente pericolosi”, dovrebbe impedire gli ergastoli bianchi. In OPG, diversamente dalle galere, si sa quando si entra, non si sa mai quando si esce. Oggi la nuova norma impone che la reclusione nelle REMS, non dovrebbe andare oltre il massimo della pena edittale.
Difficile dire se e come questa norma verrà davvero applicata. Nell’imminenza del 31 marzo si è scatenata una campagna mediatica che gioca la carta della paura verso il pazzo pericoloso ed assassino. C’è chi li vorrebbe nei repartini delle carceri e chi invoca maggiore sorveglianza.

Sulla carta le REMS non saranno certo un luogo di villeggiatura volontaria. Se spariranno celle e secondini, resteranno le sbarre e la vigilanza armata all’esterno. Come nei CIE. Le REMS si configurano come nuova forma di detenzione amministrativa.
Al termine dell’iter i prigionieri non saranno in ogni caso liberi di andare dove vorranno, perché potrebbero finire in comunità oppure restare in carico ai servizi psichiatrici territoriali, che impongono a chi finisce nel loro mirino bombardamenti chimici e codici di comportamento. Chi rifiuta le gabbie chimiche rischia l’imposizione di un TSO – trattamento sanitario obbligatorio.

Chi esce dall’OPG o da una REMS resta sempre sotto controllo psichiatrico, perché la psichiatria, “scienza” del controllo sugli individui, gode dell’impunità e si sottrae a ogni verifica. Lo status di malato imposto a chi è fuori dalla norma consente ogni arbitrio. Persino la volontà di vivere una vita autonoma, sottraendosi alla schiavitù chimica, è interpretata come “sintomo di malattia”. La parola del “matto” è parola alienata in se, perché il “matto” sfugge all’ordine del discorso e viene sottoposto al discorso dell’ordine, rappresentato dalla psichiatria.
Il venir meno dell’orrore manicomiale nelle sue manifestazioni più crude non prelude ad un attenuazione del controllo psichiatrico. Anzi! La parziale erosione dello stigma apre le porte ad un approccio più invasivo, socialmente diffuso delle pratiche psichiatriche. La estensione dell’uso di psicofarmaci tra le persone “normali”, l’invenzione di nuove malattie, la psichiatria imposta sin dalla più tenera età, la presenza di psicologi sui luoghi di lavoro e nelle scuole, l’imposizione di test che impongono la verifica delle attitudini personali come criterio per l’assunzione o per l’attribuzione di una mansione, ci raccontano di una società che chiude e manicomi e li sparge sul territorio.

La chiusura degli OPG, l’opposizione all’apertura delle REMS, la lotta contro il pregiudizio e la pratica psichiatrica sul territorio sono stati al centro di un corteo – circa 300 i partecipanti – che si è tenuto a Reggio Emilia il 28 marzo. Per la prima volta da decenni la lotta alla psichiatria è scesa in piazza riempiendo le vie del centro cittadino di una delle sei città italiane, oltre ad Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, che ospita(va)no un OPG. L’Emilia è anche una delle prime Regioni d aver aperto una REMS, quella di Bologna.

Nei giorni precedenti i media e la polizia avevano lanciato l’allarme, spingendo i negozianti ad abbassare le saracinesche per paura di scontri e disordini. Nonostante l’allarme dei media e le ronde di polizia nei negozi, il centro era pieno di gente ed il corteo, organizzato dai collettivi antipsichiatrici di numerose località italiane, è stato fortemente comunicativo. La presenza di polizia, normale in una grande città, è parsa fuori dall’ordinario in un piccolo centro come Reggio Emilia.
Dopo il corteo i manifestanti si sono dati appuntamento al Buco del Signore, la periferia dove c’è l’OPG e, accanto, il carcere. Musica, interventi, qualche petardo e un po’ di fumogeni per un veloce saluto ai reclusi dell’OPG. Un breve momento di tensione c’è stato quando dai due lati della strada sono state schierate le truppe antisommossa, ma sono state subito ritirate, perché rischiavano di essere travolte dal ridicolo.

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