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Socialmente pericolosi

La procura di Torino ha chiesto l’applicazione della sorveglianza speciale e il divieto di dimora nella loro città per cinque torinesi. Jack, Eddi, Davide, Jacopo e Paolo hanno fatto la scelta di andare in Siria. Quattro di loro si sono uniti alle unità di difesa del popolo e alle unità di difesa delle donne, uno è stato ad Afrin per raccontare l’assedio, la resistenza, lo sfollamento dopo l’attacco e l’invasione turca della regione, che, con le altre della Siria del nord, dal 19 luglio 2012, sperimentavano relazioni politiche e sociali più eque, libere, femministe ed ecologiste.

In questo primo scorcio del 2019 una minaccia terribile incombe sull’intero Rojava: dopo il ritiro delle truppe statunitensi, l’esercito turco potrebbe sferrare il proprio attacco all’intera regione, per cancellare l’esperienza della rivoluzione democratica e riaprire le porte al Califfato, ormai quasi sconfitto dopo anni di una guerra durissima, nella quale sono morti tanti uomini e donne. Alcuni di loro venivano da molto lontano. Di inizio gennaio la notizia che, nella battaglia di Deir Zor è morto Giovanni, che era partito da Bergamo per combattere l’Isis.
L’Isis che, a cavallo tra la Siria e l’Iraq, aveva costruito uno stato confessionale, dove torture, stupri ed esecuzioni erano mostrate al mondo in segno di forza e di sfida, è stata quasi sconfitta grazie alle unità di autodifesa del Rojava. L’Isis, che in Europa e nel mondo, ha compiuto centinaia di massacri, oggi è in grave difficoltà grazie a chi ha rischiato e perso la vita per bloccare il fascismo islamico, viene usata come pretesto per serrare sempre più le frontiere ai migranti in viaggio.
Chi ha combattuto l’Isis e difeso l’esperienza del confederalismo democratico in Rojava e nelle altre zone liberate della Siria e dell’Iraq, viene considerato “socialmente pericoloso” dalla Procura di Torino.
Un paradosso solo apparente.
L’Isis è un problema quando qualcuno spara, si fa esplodere, assale con un camion gente per le strade, le piazze, gli stadi, i bar, i locali d’Europa. Tutto cambia ad altre latitudini, dove a morire sono altri, specie se pretendono di sovvertire l’ordine politico, sociale, culturale dei paesi in cui vivono. Sono lontani e “pericolosi”, per il rischio di contagio in un’area del mondo, dove la bilancia delle alleanze si misura sulle possibilità di controllo di risorse, vie di comunicazione, delle varie potenze imperiali che si contendono il pianeta. In quest’ottica spesso i vari fondamentalismi islamici sono stati alleati preziosi, che tuttavia, giocando in proprio, talora si sono trasformati in nemici assoluti.
In quest’area il perno del Grande Gioco è la Turchia, membro della NATO, con recenti buoni rapporti con la Russia, che a sua volta ha obiettivi imperialisti nell’area, che la guerra in Siria e l’insurrezione sanguinosamente repressa nelle regioni curdofone interne aveva momentaneamente messo in difficoltà.
Il forte appoggio dato all’Isis è stato un boomerang per la democratura di Erdogan, che tuttavia oggi, dopo la pacificazione violenta delle tante forme di opposizione interna, gli accordi con l’Europa per il blocco dei profughi siriani, l’intesa con la Russia, che ha permesso l’occupazione del cantone curdofono di Afrin, si prepara a chiudere i conti con il Rojava.

Chi ha combattuto o ha realizzato reportage dalla Siria è un testimone prezioso di una vicenda, che trova ben poco spazio sui media nostrani. Cinque voci che raccontano della sperimentazione politica e sociale, dell’autodifesa popolare, se verrà imposta la sorveglianza speciale, verranno obbligate al silenzio.

La Procura di Torino, che non può accusare di alcun reato penale i cinque attivisti torinesi, utilizza gli strumenti che la cassetta degli arresti del codice mette a loro disposizione. Elaborati in epoca fascista per mettere fuori gioco l’opposizione politica e sociale nel nostro paese, non sono mai stati cancellati dall’ordinamento. Anzi. Sono stati più volte riconfermati e, dal 2011, ne è stata estesa l’applicazione. A lungo dimenticati in fondo al cassetto, vengono rispolverati ed utilizzati sempre più di frequente per colpire i compagni e le compagne che non possono essere privati della libertà con accuse previste dal codice penale. E dire che il libro della giustizia non manca certo di leggi che colpiscono in modo duro chi lotta, anche utilizzando strumenti banali. Il recente pacchetto sicurezza approvato il 28 dicembre in parlamento prevede lunghe detenzioni per chi occupa una casa vuota o fa un blocco stradale.

La sorveglianza speciale e il divieto di dimora si inseriscono a pieno titolo in quello che il giurista tedesco Jacobs definì “diritto penale del nemico”. Siamo di fronte ad un binario parallelo e separato del diritto penale. I due binari, sul piano dei diritti, esibiscono due livelli di garanzia diversa, perché si rivolgono a due categorie differenti di soggetti: il primo vale per il cittadino ordinario, il secondo invece è uno dispositivo che si può usare contro chi, di volta in volta, viene identificato come nemico all’interno di una data società.

Nel caso della sorveglianza speciale il nocciolo normativo su cui si incardina la possibilità di limitare drasticamente la libertà personale è la nozione di pericolosità sociale. Una nozione vischiosa, inafferrabile, che rimanda a quello che sei e non a quello che fai. Uno scivolamento secco al di fuori del diritto liberale, che prevede un processo con alcune garanzie per la difesa, e, soprattutto si incardina su norme che prevedono comportamenti devianti, non una generica “pericolosità”. Sebbene le leggi dello stato italiano sanzionino comportamenti che ineriscono direttamente la condizione sociale o la dimensione della lotta politica e siano quindi ben lontane da una qualsivoglia asettica neutralità, le misure come la sorveglianza speciale rimandano direttamente ad uno stato di polizia. Le questure, raccolgono i dati, disegnano i profili, forniscono ai Pubblici ministeri i dossier sui quali vengono costruite le richieste di sorveglianza speciale, e sulla cui base il giudice decide se rappresentano un pericolo per la società.
Chi ne è colpito viene messo in condizione di non nuocere all’assetto sociale e politico del paese con la propria attività, che, in quanto tale, lo Stato non può sanzionare.
Un paradosso per i liberali, la banale conferma che le democrazie tollerano il dissenso solo quando si limita ad essere cortesemente ineffettuale, per gli anarchici.

La sorveglianza speciale unita al divieto di dimora può essere comminata sino a dieci anni e, anche nelle forme meno afflittive, rappresenta una limitazione seria della propria libertà e rende impossibile la partecipazione non solo alle lotte, ma persino ad assemblee e riunioni. Comporta il coprifuoco dalle 22 alle 7 ed impone precise regole di comportamento. A chi vi viene sottoposto vengono tolti la patente e il passaporto. Non si possono fare lavori autonomi che comportino l’iscrizione ad un albo, si può solo lavorare sotto padrone, purché non pregiudicato. Chi viola i divieti viene sottoposto a procedimento penale.

Negli ultimi anni questa misura di prevenzione delle lotte viene applicata sempre più di frequente, per reprimere con strumenti veloci ed efficaci, chi negli anni ha partecipato attivamente ai movimenti sociali. I vari governi, al di là dei diversi orizzonti politici e culturali, sono unanimi nella scelta di erodere le tutele e le libertà ed affinano gli strumenti disciplinari, per provare ad inceppare ogni possibile insorgenza sociale.

Diventare davvero pericolosi per questo assetto politico e sociale sempre più ingiusto ed oppressivo è l’impegno di chiunque lotti per una società di liber* ed eguali.

Libertà per Davide, Eddi, Jacopo, Jack, Paolo!

Contro il fascismo islamico e la repressione democratica!

Sabato 19 gennaio
parteciperemo al corteo contro la sorveglianza speciale e in solidarietà a chi si batte contro l’Isis
ore 14 da piazza Carlo Felice – Porta Nuova Torino

Federazione Anarchica Torinese – FAI
Riunioni ogni giovedì dalle 21 in corso Palermo 46

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