Skip to content


Casa per tutti! Rom e gagi in corteo

2015 10 12 casa per tutti (0)In centocinquanta ieri pomeriggio sono usciti dalla baraccopoli di Lungo Stura Lazio minacciata di sgombero dal Comune di Torino, dal social housing di corso Vigevano e da altre “sistemazioni temporanee” da cui vengono minacciati di sfratto. Il corteo di lotta
2015 10 12 casa per tutti (1)per la casa, accompagnato dall’Assemblea Gatto Nero Gatto Rosso e solidali, si è preso le strade del centro per ribadire la verità sul progetto “La città possibile” portato avanti da Comune, Prefettura, associazioni e cooperative complici. 2015 10 12 casa per tutti (16)Un progetto costato circa 5 milioni di euro, presentato come virtuoso esempio di “superamento dei campi nomadi”, che invece altro non è che uno sgombero forzato senza alternativa abitativa per le oltre mille persone che fino al 2013 vivevano nella 2015 10 12 casa per tutti (17)baraccopoli non autorizzata più grande d’Europa. Alla cordata composta da Valdocco, A.I.Z.O., Terra del Fuoco, Croce Rossa, Liberitutti, Stranaidea, il Comune di Torino ha affidato l’appalto milionario per portare a termine uno sgombero “silenzioso”, 2015 10 12 casa per tutti (13)altrimenti impraticabile con il solo uso della forza pubblica.

Le famiglie, per 15 anni etichettate come “nomadi” per giustificarne la ghettizzazione e costrette a vivere in baracca nell’indifferenza delle istituzioni, sono state divise e 2015 10 12 casa per tutti (14)selezionate arbitrariamente. I pochi “meritevoli” nelle case temporanee, gli altri deportati “volontariamente” in Romania o sgomberati. Il campo rappresentato come colpa individuale e non come conseguenza sociale imposta da povertà, sfruttamento e 2015 10 12 casa per tutti (15)discriminazione. Entro la fine dell’anno sarà tutto finito. Baraccopoli demolita, sfratti eseguiti, famiglie in strada, cinque milioni di euro assorbiti da associazioni e cooperative. Chi, come la famiglia di Aramis, ha provato a tornare alle baracche lungo la Stura, si è trovato di fronte 2015 10 12 casa per tutti (12)vigili urbani che non hanno esitato ad estrarre pistole, usare spray urticanti, malmenare ed arrestare.
Ma qualcosa si sta muovendo. In maggio centinaia di abitanti della baraccopoli di via Germagnano hanno bloccato l’ennesimo 2015 10 12 casa per tutti (8)corteo razzista in Barriera di Milano. Ieri, a ritmo di manele, la determinazione delle famiglie sotto sgombero e sotto sfratto ha dimostrato che nessuno crede più alle false promesse di associazioni e cooperative che da anni lucrano sulla pelle dei rom. Il 2015 10 12 casa per tutti (9)patetico tentativo di infiltrazione nel corteo da parte di A.I.Z.O. è stato respinto con forza dalle famiglie sotto sfratto dal social housing di Corso Vigevano, gestito dall’associazione e di proprietà del Ras delle soffitte Giorgio Molino. La piazzata di 2015 10 12 casa per tutti (2)Marrone, invece, poteva solo suscitare risate, visto che il prode consigliere anti-immigrati ha lanciato dal Comune volantini con gli orari dei bus dalla Romania a Torino…

2015 10 12 casa per tutti (10)Davanti a Comune e Prefettura, i numerosi interventi da parte di donne, uomini e bambini, hanno ribadito che la casa è un bisogno di tutti e tutte, così come la salute, la possibilità di frequentare la scuola, la libertà di movimento: i tentativi di sgombero e sfratto senza alternativa abitativa ci troveranno sulle barricate. Se l’unica risposta del Comune sarà la guerra sociale, il corteo di ieri ha 2015 10 12 casa per tutti (11)dimostrato che insieme ci riprenderemo quello che ci spetta e restituiremo dignità alle nostre vite!

Contro lo sgombero della baraccopoli di Lungo Stura, contro gli sfratti del progetto “La città possibile”, contro la violenza poliziesca, contro i campi e le 2015 10 12 casa per tutti (3)speculazioni sulla pelle dei rom.

Casa, salute, libertà di movimento per tutti e tutte!

Abitanti della baraccopoli sotto sgombero
Abitanti dei social housing sotto sfratto
Assemblea gatto nero gatto rosso

Ascolta l’intervista di Cecilia di Gatto Nero Gatto Rosso a Radio Blackout e a Radio Onda Rossa

Qui una galleria di foto

Qui un video

Posted in immigrazione, Inform/Azioni, razzismo, torino.

Tagged with , , , , , , , .


No Tav liberi! Terrorista è chi devasta e saccheggia

notavcant scrittaIl 15 ottobre comincia il processo d’appello contro Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, condannati in primo grado a tre anni e mezzo per il sabotaggio al cantiere della Maddalena del 14 maggio 2013. Quell’angolo di Val Susa è una fortezza con truppe ed armi da guerra. Quella notte l’imponente apparato di sicurezza venne colto alla sprovvista. Un compressore prese fuoco.
Un piccolo smacco che il governo e la magistratura non erano disposti a tollerare. Il movimento No Tav fece proprio quel sabotaggio, tassello in una lotta popolare nella quale tutti sono protagonisti.
La Procura di Torino si è assunta il compito di regolare i conti con i No Tav. L’accusa di terrorismo contro Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò è stata la punta di un iceberg di processi e condanne ad altissima velocità.
Il processo del “compressore” si basa sull’articolo 280.
Quella notte venne danneggiato un compressore. Nonostante non sia stato ferito nessuno, i No Tav sono stati accusati di aver tentato di colpire gli operai dei cantiere e i militari di guardia. Una follia. una lucida follia.

Come si trasforma un’azione di sabotaggio in un atto terrorista?
L’ordinamento mette a disposizione delle procure l’articolo 270 sexties, l’ultima incarnazione, del 270, l’articolo che descrive i reati associativi di natura politica.

Questa legge potrebbe essere usata contro chiunque provi a contrastare una decisione del governo.
L’accusa di terrorismo potrebbe essere fatta a qualunque movimento di lotta.
Diversi giuristi, non sospettabili di simpatie No Tav, dissentirono pubblicamente con l’allora procuratore capo, Giancarlo Caselli, che chiuse in anticipo la sua carriera.
Lo scorso dicembre la corte d’assise smontò le tesi della Procura torinese, ribadendo il pronunciamento della Cassazione che aveva giudicato incongrua l’accusa di attentato con finalità di terrorismo, dal quale i quattro No Tav sono stati assolti. Francesco, Graziano e Lucio, arrestati qualche mese dopo, sono stati processati e condannati per lo stesso sabotaggio, ma non per terrorismo, perché la Cassazione aveva nuovamente bocciato la Procura di Torino.

Il movimento No Tav si è stretto solidale a chi era stato investito da un’accusa tanto pesante. Migliaia di persone sono scese in piazza, centinaia di iniziative di sostegno, informazione, lotta si sono susseguite sin dal nove dicembre del 2013, quando i quattro vennero arrestati e subirono oltre un anno di carcere duro.

L’ultima zampata della Procura di Torino contro i No Tav arriva dal Procuratore Generale Marcello Maddalena, che sarà in aula per sostenere le ragioni dell’accusa nel processo d’appello. Viene ribadita l’imputazione di attentato con finalità di terrorismo. La Procura di Torino non molla la presa. È raro che il procuratore generale scenda in campo direttamente. Maddalena vuole sparare tutte le cartucce per ottenere una condanna per terrorismo.
Maddalena non si gioca una carriera giunta ormai al termine, ma rischia, se sconfitto, di non chiudere in bellezza.
Cercherà di far sentire ai magistrati tutto il suo peso .
Il processo, inizialmente fissato in tribunale, è stato spostato nell’aula bunker delle Vallette, dove si era già celebrato quello di primo grado. Un ulteriore segnale del carattere speciale dei processi ai No Tav.
Il processo alla ‘ndragheta, in cui sono alla sbarra imprenditori, che hanno lavorato anche nel cantiere Tav, si svolge in contemporanea ma in sordina all’interno delle comode aule del tribunale Caccia, nonostante dalle intercettazioni, diffuse da alcuni organi di stampa, siano emersi i nomi di esponenti del partito democratico, che si sarebbero impegnati a sostenere l’ingresso di ditte fallite e colluse nel cantiere della Maddalena. Questa volta qualche pesce piccolo è rimasto imbrigliato nella rete della magistratura, ma i politici che li avrebbero sostenuti continuano le loro carriere nelle istituzioni e nella società che costruisce il Tav. Niente di cui stupirci. Legge Obiettivo, Sblocca Italia sono state inventate per rendere più agili, veloci le grandi opere, senza l’impiccio di qualche normativa di controllo o tutela.

I processi ai No Tav sono processi contro ciascuno di noi. Con Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò è alla sbarra tutto il movimento.
In questi anni di lotta durissima e di durissima repressione, non abbiamo mai accettato di trasformarci in meri testimoni dello scempio, perché siamo un movimento di resistenza attiva, perché le barricate, i sabotaggi, le occupazioni dell’autostrada, i blocchi alle trivelle, li abbiamo fatti tutti, chi in prima fila, chi impastando la polenta, chi ricostruendo un presidio bruciato.
Siamo tutti colpevoli. Colpevoli di non esserci arresi, colpevoli di continuare la lotta, colpevoli perché costruiamo insieme, giorno dopo giorno, generazione dopo generazione, il mondo che vorremmo.

Conquisteremo il futuro, perché stiamo liberando il nostro presente.

Siamo tutti Chiara, Claudio, Mattia, Nicolò, Lucio, Francesco e Graziano.

Appuntamento per il processo giovedì 15 ottobre alle 9 all’aula bunker delle Vallette.

Movimento No Tav

Per approfondimenti ascolta l’intervista a Eugenio Losco, avvocato del collegio difensivo dei No Tav accusati di terrorismo.

Posted in anarchia, Inform/Azioni, no tav, repressione/solidarietà, torino.

Tagged with , , , , , .


12 ottobre. Rom in piazza contro sgomberi e repressione

manifesto coloriSi avvicina lo sgombero del campo rom di lungo Stura Lazio, dove nel 2013 vivevano oltre 1.000 persone senza casa. La cooperativa Valdocco, capofila del progetto la “Città possibile”, portato avanti da Comune di Torino, Prefettura, associazioni e cooperative che si sono spartiti una torta di circa 5 milioni di Euro, ha dichiarato ai giornali che entro fine ottobre la parola passerà alle ruspe.
In realtà le ruspe “a bassa intensità” non hanno mai smesso di lavorare nella baraccopoli, smontata pezzo a pezzo, dopo lo sgombero violento di cento persone dell 26 febbraio.
In estate i vigili urbani, l’esercito e la Croce Rossa hanno monitorato le presenze al campo, accompagnando le ruspe che abbattevano le baracche di chi è stato deportato “volontariamente” in Romania con il miraggio di 300 euro. In quest’ultimo anno tante altre baracche sono state buttate giù, imponendo a chi le abitava di “collaborare” alla distruzione, per dimostrare la propria volontà di “superare” il campo.
Questi hanno ottenuto in cambio un monolocale a 250 euro al mese, come le 13 famiglie spostate nel social housing di corso Vigevano, di proprietà del Ras delle soffitte Giorgio Molino, dal quale saranno sfrattate a fine novembre.
Le famiglie “meritevoli” nelle case, le altre deportate in Romania o sgomberate. Come se il “campo” fosse una scelta naturale per i rom ed i gagi che da anni vivono in baracca, e non una necessità imposta dalla povertà, dallo sfruttamento e dalla discriminazione. Persone senza casa a cui viene applicata arbitrariamente l’etichetta di “nomadi” per giustificarne la ghettizzazione.

Entro la fine dell’anno sarà tutto finito. Baraccopoli demolita, sfratti eseguiti, famiglie in strada, cinque milioni di euro assorbiti dalle associazioni coinvolte nell’operazione “la città possibile”. Oltre a Valdocco, AIZO, Terra del Fuoco, Stranaidea, Liberi Tutti, Croce Rossa.
Due anni dopo l’inizio del progetto, l’obiettivo è ormai chiaro a tutti: sgomberare il campo rom non autorizzato più grande d’Europa, senza offrire nessuna alternativa abitativa.
Chi, come la famiglia di Aramis, ha provato a tornare alle baracche lungo la Stura, si è trovato di fronte vigili urbani, che non hanno esitato ad usare spray urticanti, estrarre pistole, mollare pugni, immobilizzare al suolo e arrestare.
Ma qualcosa si sta muovendo.
In maggio centinaia di abitanti della baraccopoli di via Germagnano hanno bloccato l’ennesimo corteo razzista in Barriera di Milano.
Gli abitanti delle baracche di lungo Stura Lazio e quelli del social housing di corso Vigevano hanno deciso di scendere in strada, di fare un corteo.

Contro lo sgombero
contro gli sfratti
contro la violenza poliziesca
per una casa e la libertà di movimento per tutti e tutte.

Lunedì 12 ottobre ore 17 piazza Palazzo di città

Per approfondimenti ascolta l’intervista all’info di RBO di Cecilia di Gatto Nero Gatto Rosso

Abitanti della baraccopoli di lungo Stura Lazio, abitanti del social housing di corso Vigevano, assemblea Gatto Nero Gatto Rosso e solidali

Posted in immigrazione, Inform/Azioni, razzismo, torino.

Tagged with , , , , , , .


Notte antinucleare in Val Susa

01 no nuke aviglianaDa qualche settimana si moltiplicavano le voci su un nuovo trasporto di scorie nucleari da Saluggia allo stabilimento dell’Areva a La Hague in Francia.
Il tam tam antinucleare ha trovato conferma domenica pomeriggio.
Gli attivisti No Nuke si sono dati appuntamento alla stazione di Avigliana alle 21.
Ad attenderli hanno trovato un imponente schieramento di polizia di fronte all’ingresso della stazione, mentre i blindati impedivano l’accesso ai mezzi. Due attivisti giunti tra i primi sono stati allontanati con il consueto garbo dalla Digos. La polizia è arrivata a scortare sino ai binari un uomo che aspettava la compagna e il figlio neonato. Alcuni ragazzi, per poter prendere il treno hanno dovuto mostrare documenti e biglietto.
02 no nuke bussolenoDopo circa un’ora di fronteggiamento, la maggior parte dei No Nuke si sono allontanati, altri invece sono rimasti ad Avigliana. Le strade della valle erano militarizzate in uno sfarfallio di luci blu nelle stazioni e lungo le statali. Un folto gruppo di attivisti è comunque riuscito ad entrare nella stazione di Bussoleno. I rinforzi di carabinieri arrivati da Susa hanno poi sospinto fuori i No Nuke.
Ma la serata non era certo finita. Poco dopo sono comparsi alla stazione di Borgone. Qui la Questura ha deciso di bloccare tutti. Un gruppo più grosso è stato fermato dentro la stazione, un altro è stato circondato nei pressi del passaggio a livello in centro al paese.
03 no nuke borgoneTutti gli attivisti hanno rifiutato di consegnare i documenti ed hanno aperto uno striscione. Al passaggio del Castor hanno salutato con slogan e sfottò.
Nel frattempo altri No Nuke alla stazione di Grugliasco hanno acceso fumogeni al passaggio del treno in una stazione sfuggita alla morsa poliziesca.

Il treno, dopo aver attraversato il basso Piemonte, Alessandria, Asti, la Val Susa prosegue il suo viaggio verso la Normandia.
Nonostante la pericolosità di questi trasporti, la popolazione locale viene tenuta all’oscuro. La Prefettura non informa nemmeno i sindaci dei territori interessati. In altre occasioni ha inviato un fax alle 23 del giorno stesso, quando gli uffici comunali erano chiusi.
Solo l’azione dei No Nuke riesce ad accendere i riflettori su questi trasporti inutili e pericolosi.

Quello di domenica 28 settembre potrebbe essere uno degli ultimi treni nucleari diretti in Francia, i prossimi faranno il percorso inverso, riportando le scorie in Piemonte, al deposito “provvisorio” di Saluggia.

Vale la pena ricordare che la Regione Piemonte ha una legge che prescrive che venga fatto un piano di emergenza in caso di incidente ad un treno nucleare.
Secondo questa legge – tutti quelli che abitano nel raggio di tre chilometri a lato dalla ferrovia dovrebbero fare le esercitazioni nel caso uno di questi treni deragliasse o saltasse per aria.
In realtà i trasporti nucleari sono tenuti segreti, le persone che abitano lungo la tratta non vengono informate.
I responsabili delle ferrovie, la maggioranza dei sindaci, la prefettura, la questura tengono la bocca chiusa.
A Viareggio l’incidente ad un treno di materiali chimici ha fatto decine di morti e feriti. E’ sin troppo facile immaginare cosa accadrebbe se capitasse un incidente ad un treno pieno di scorie altamente radioattive.
Non ci dicono niente perché temono che la gente – se sapesse – si ribellerebbe.

In questi ultimi anni qualcosa sta cambiando. In molte occasioni, quando i No Nuke sono riusciti ad avere notizia dei trasporti di scorie, hanno dato vita a manifestazioni e proteste nelle stazioni, che hanno rotto il silenzio su queste bombe su rotaia che corrono a pochi passi dalle nostre case.

L’85% delle scorie radioattive prodotte in Italia sono concentrate a Saluggia, Trino vercellese e Bosco Marengo. Dopo quasi trent’anni dalla chiusura delle centrali nucleari italiane la questione delle scorie non è stata risolta. E non lo sarà mai, perché le scorie restano pericolosissime per la salute umana e per l’ambiente per decine di migliaia di anni.
In primavera il governo aveva annunciato la pubblicazione delle località candidate al ruolo di deposito nazionale per le scorie, ma non lo ha fatto. Le elezioni imminenti hanno consigliato un prudente silenzio.
In nessun altro paese al mondo c’è un sito per lo stoccaggio. Costi altissimi e l’opposizione delle popolazioni coinvolte ha fatto sì che le scorie rimanessero nei pressi delle centrali.

I trasporti che stanno facendo a nostra insaputa sono diretti all’impianto di La Hague, dove le scorie vengono “riprocessate” e poi rimandate in Piemonte. Radioattive e pericolose come prima, perché a La Hague si limitano estrarre il Mox, un combustibile per le centrali, e il plutonio. Il plutonio serve ad una sola cosa: fare le bombe atomiche.

Il sito di Saluggia non è sicuro: nell’ultima alluvione le falde sono state contaminate. Solo l’incidente di Fukushima ha bloccato il governo dall’intraprendere una nuova avventura nucleare nel nostro paese.
Qualcuno racconta la favola che l’energia nucleare costa meno. Mentono. Non calcolano i costi di smaltimento delle scorie, la “messa in sicurezza” delle vecchie centrali, i militari e poliziotti che sorvegliano impianti che sono come bombe atomiche.
Se uno dei treni diretti in Francia deragliasse, se qualcuno lo scegliesse come obiettivo e lo facesse saltare, se ci fosse una scossa di terremoto – anche lieve – mentre attraversa il Piemonte e la Francia sino in Normandia, migliaia di persone dovrebbero essere evacuate e tutti rischieremmo la vita.

I No Nuke sono decisi a mettersi in mezzo. Per il futuro dei propri figli, per un mondo senza sfruttati né sfruttatori, per farla finita con la devastazione del territorio, per essere liberi di decidere.

Questi trasporti sono inutili e pericolosi. E’ tempo che smettano. In questi anni le lotte antinucleari hanno rallentato i trasporti. Tocca a ciascuno lottare perché cessino.

Posted in ambiente, Inform/Azioni, no tav.

Tagged with , , , , , , , , .


In piazza contro sgomberi e manicomi

00Torino, 26 settembre. L’appuntamento è in piazza XVIII dicembre, a pochi passi dalla lapide che ricorda i 23 anarchici e comunisti caduti nella strage fascista del 18 dicembre 1922.
Il corteo si dipana per le strade del centro: sul selciato compaiono scritte contro le REMS, le nuove galere psichiatriche e contro lo sgombero del Barocchio Squat.
01Un corteo comunicativo con molti interventi per informare i passanti sull’estendersi del controllo psichiatrico sulla società, sul diffondersi di strutture neo-manicomiali, sulla farsa della chiusura degli OPG, che restano aperti, nonostante ne fosse stata decretata la chiusura il 31 marzo.
02Al corteo hanno partecipato numerosi esponenti dei collettivi antipsichiatrici, tra cui quello di Torino, dedicato a Francesco Mastrogiovanni, torturato e ucciso dalla psichiatria durante un TSO, legato mani e piedi ad una letto senza acqua né cibo per 92 ore.
Viene ricordato anche Andrea Soldi, strangolato da tre vigili urbani di 03Torino, incaricati di sottoporlo a TSO, perché si era rifiutato di fare l’iniezione mensile di psicofarmaci, la camicia di forza chimica, con cui la psichiatria lega chi ne è vittima.
Al corteo c’erano anche esponenti delle altre case occupate e autogestite di Torino e gli anarchici della FAI torinese, che hanno 04dato vita ad uno spezzone aperto dallo striscione “L’unica follia è essere governati”.

Il corteo di sabato, cui hanno partecipato oltre cinquecento persone, ha dato un segnale forte e chiaro alla Questura e alla Regione: la resistenza contro lo sgombero del Barocchio e la costruzione di una nuova gabbia per persone “socialmente pericolose” è solo all’inizio.
05Continuerà nei prossimi giorni il campeggio resistente al Barocchio. In caso di sgombero un nuovo corteo attraverserà Torino il sabato immediatamente successivo.
“Socialmente pericolosi” sono i padroni che lucrano sulle nostre vite, i soldati che militarizzano i quartieri, i CIE, il cantiere/fortino della 06Maddalena, le fabbriche d’armi, la polizia messa a guardia di un ordine feroce, ingiusto oppressivo.

Di seguito il comunicato di solidarietà della Federazione Anarchica Torinese.
“Con il Barocchio, contro sgomberi, galere e manicomi
07Dante avrebbe parlato di legge del contrappasso, il principio che regola la pena eterna dei dannati in base ai loro vizi peggiori. Il vizio di chi occupa una casa, libera uno spazio, pratica la condivisione, si ribella alla mercificazione delle relazioni è la libertà. La Regione Piemonte al posto di uno spazio autogestito ha progettato 08una galera che chiuda con lacci chimici, corde e sbarre i “folli rei”.
Questo il destino del Barocchio di Grugliasco, che rischia lo sgombero e la demolizione per far posto ad una REMS, una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, l’ultima metamorfosi del manicomio criminale, dopo la farsa della chiusura dei sei OPG – Ospedali Psichiatrici Giudiziari – della scorsa primavera.

09La Regione Piemonte è in ritardo con la costruzione delle due REMS che dovrebbero accogliere i prigionieri piemontesi oggi ancora rinchiusi nell’OPG di Castiglione delle Stiviere in provincia di Mantova. Trasformare il centro residenziale vicino alla casa occupata e il Barocchio stesso in REMS “provvisoria” è il coniglio nel cappello del prestigiatore Saitta, l’assessore regionale alla Sanità.

Peccato che il diavolo sappia fare le pentole ma non i coperchi: la decisione di prendere due piccioni con una fava, lo sgombero del Barrocchio e la galera psichiatrica, si sta rivelando un boomerang per l’amministrazione Chiamparino, perché la lotta contro le Rems e quella per la difesa del Barocchio si stanno saldando, allargando il fronte di lotta.

Come anarchici saremo al fianco di chi si batte contro le nuove galere psichiatriche e per la difesa di uno spazio autogestito. Anche noi abbiamo lo stesso il vizio tenace, quello della libertà.

Solidarietà al Barocchio! Nessuno sgombero, nessuna galera, nessun manicomio!

I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese”

Posted in anarchia, antipsichiatria, autogestione, Inform/Azioni, torino.

Tagged with , , , , , , , , , .


Sabbia nel motore del militarismo. Cronache torinesi

DSCN3427Sabato 19 settembre. La cornice è piazza Carlo Alberto, salotto torinese in pieno centro. C’è il monumento al “re tentenna” circondato da fanti in armi tra la biblioteca nazionale e Palazzo Carignano, che tra settembre e ottobre ospita una mostra dedicata alla “Grande guerra a Torino”, ennesima celebrazione in chiave nazionalista del centenario della prima guerra mondiale.
DSCN3436In questa piazza si è dipanata una giornata antimilitarista promossa dalla Federazione Anarchica Torinese, con mostre, distro, musica ed un’assemblea con una buona partecipazione ed un serrato dibattito, in cui si sono intrecciati momenti analitici e proposte di lotta.
DSCN0011L’Italia è in guerra da molti anni. Ne parlano solo quando un ben pagato professionista ci lascia la pelle.
È una guerra su più fronti, che si coniuga nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma parla il lessico feroce dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione.
DSCN0001Gli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Lo rivela l’armamentario propagandistico che le sostiene. DSCN0002Le questioni sociali, coniugate sapientemente in termini di ordine pubblico, sono il perno dell’intera operazione.
Hanno applicato nel nostro paese teorie e tattiche sperimentate dalla Somalia all’Afganistan.
Se la guerra è filantropia planetaria, se condizione per il soccorso sono le bombe, l’occupazione militare, i rastrellamenti, se il militare si fa poliziotto ed insieme sono anche operatori umanitari il gioco è fatto, la distanza tra il militare e il poliziotto diviene impalpabile. Il fronte DSCN3444della guerra ai poveri assume dimensioni planetarie, mentre l’affermarsi di un quadro politico multipolare produce veloci cambi di quadro, che moltiplicano i teatri di guerra. La difficoltà di esercitare un pieno controllo in chiave neocoloniale, innesca conflitti il cui unico obiettivo è annientare quello DSCN0008che non si controlla. La Siria ne è l’emblema più recente, ma non l’unico.
La giornata antimilitarista del 19 settembre è il primo atto di una campagna contro l’“Aerospace & defence meeting”, mostra mercato internazionale dell’industria aerospaziale di guerra, che si terrà a Torino dal 17 al 19 novembre.
DSCN0012Per l’industria armiera italiana, in testa il colosso pubblico Finmeccanica, sarà un’occasione per valorizzare le eccellenze del made in Italy, con un focus sulle cinque aziende piemontesi, leader nel settore: Alenia Aermacchi, Thales Alenia Space, Avio Aero, Selex Es, Microtecnica Actuation DSCN0014Systems / UTC. 280 SMEs.
La mostra-mercato è riservata agli addetti ai lavori: industrie del settore, governi e organizzazioni internazionali, protagonisti di un business lucroso che trova il proprio compimento nell’industria di guerra.
DSCN0020Un settore che non conosce crisi, in cui si gioca il ricatto occupazionale, come arma da guerra contro chi si oppone alle produzioni di armi.
La necessità di avviare un percorso per la chiusura e riconversione delle industrie belliche è stata evidenziata in numerosi interventi: tra le
DSCN3433proposte la costituzione di una cassa di resistenza per i lavoratori disposti a lottare per non essere complici dei massacri, che quotidianamente insanguinano il pianeta.
Le immagini dei profughi che premono alle frontiere chiuse dell’Europa, il dibattito sull’accoglienza umanitaria, la retorica su chi muore in mare o in fondo a un tir nascondono una verità banale. Le guerre sono combattute con armi costruite a due passi dalle nostre case.

DSCN0033L’enfasi sull’accoglienza che ha caratterizzato l’ultimo scorcio di un’estate segnata da morti in mare e migrazioni di massa attraverso i muri della fortezza Europa, si scontra contro la decisione, l’unica unanime, di dare avvio alla fase 2 della missione Eunavfor Med, l’operazione antiscafisti promossa dall’UE. La flotta europea e i droni di cui è dotata passeranno all’azione. Inutile dire che l’obiettivo vero è impedire le partenze, mettendo sotto tutela militare le coste libiche. Forte il rischio di una nuova escalation militare per il controllo della Libia, dopo il fallimento del 2011.
DSCN0024In questo quadro si innestano il Trident Juncture 2015, la grande esercitazione NATO, la cui fase operativa sarà tra l’il 26 ottobre e il 6 novembre.
Tra lo Stretto di Gibilterra e il Mediterraneo centrale e i grandi poligoni di guerra di Spagna, Portogallo e Italia 38.000 DSCN3429militari, 200 velivoli e 50 unità navali di 33 nazioni per la più grande esercitazione NATO dalla fine della guerra fredda. Ospiti d’eccezione, i manager delle industrie militari di 15 Paesi.
Il principale trampolino di lancio sarà l’aeroporto trapanese di Birgi, ma non mancheranno esercitazioni dai poligoni sardi, dalla base di Camp Darby in Toscana, con fulcro logistico al comando Nato di Napoli.
Le prove generali dei conflitti dei
an 60prossimi anni vengono fatte nelle basi sparse per l’Italia. Le stesse basi da cui in questi anni sono partite le missioni belliche dirette in Libia, Iraq, Afganistan, Serbia, Somalia, Libano…
Contro le manovre sta crescendo un movimento che darà vita ad iniziative: un campeggio antimilitarista in Sardegna, corteo a Trapani durante le manovre, manifestazione a Napoli a fine ottobre.
A Torino l’assemblea antimilitarista si è posta numerosi obiettivi, oltre all’appoggio alle lotte contro il Trident Juncture, l’impegno centrale sarà una campagna di informazione e lotta contro la mostra mercato di novembre all’Oval Lingotto.

Numerose le proposte emerse della campagna “Spezzare le ali al militarismo”: un presidio più corteo nella zona della mostra il 17 novembre, giorno dell’inaugurazione dell’Aerospace & defence meeting, iniziative per il 4 novembre, azioni diffuse contro le fabbriche di guerra, serate informative e proiezioni di film e documentari.

Il filo conduttore della giornata antimilitarista è la consapevolezza che la rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza concreta.
Negli ultimi anni l’opposizione alla guerra qualche volta è riuscita a saldarsi con l’opposizione al militarismo: il movimento No F35 a Novara, i No Tav che contrastano l’occupazione militare in Val Susa, i no Muos che si battono contro le antenne assassine a Niscemi, la lotta contro i poligoni in Sardegna, le iniziative contro le fabbriche d’armi e la propaganda degli eserciti a Torino. Anche nelle strade delle nostre città, dove controllo militare e repressione delle insorgenze sociali sono la ricetta universale per chi non accetta di vivere da schiavo.
Le radici di tutte le guerre sono nelle industrie che sorgono a pochi passi dalle nostre case.
Chiudere le produzioni di morte è un modo concreto per dire no a guerre e massacri, per gettare sabbia negli ingranaggi delle macchine di guerra.

Lo scorso anno la manifestazione contro l’Alenia a Caselle ha dato un primo, forte segnale.
L’Alenia è uno dei gioielli di Finmeccanica, il colosso armiero italiano.
La “missione” dell’Alenia è fare aerei. I velivoli militari sono il fiore all’occhiello di questo colosso. Nello stabilimento di Caselle Torinese hanno costruito gli Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri made in Europe, e gli AMX. Le ali degli F35, della statunitense Loockeed Martin, sono costruite ed assemblati dall’Alenia.
Un business milionario. Un business di morte.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.
(questo articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale Umanità Nova).

Prossimo appuntamento:
Lunedì 5 ottobre ore 21
assemblea antimilitarista
alla FAI in corso Palermo 46

Approfondimenti

Sull’assemblea del 19 settembre ascolta la diretta dell’info di Blackout del 22 settembre con Domenico del movimento No F35

Trindent juncture 2015, intervista ad Antonio Mazzeo e suo articolo

Posted in anarchia, antimilitarismo, Inform/Azioni, torino.

Tagged with , , , , , .


No Tav. Quelli che non mollano

no-tav-notteL’ultima zampata della Procura di Torino
L’ultima zampata della Procura di Torino contro i No Tav arriva dal Procuratore Generale Marcello Maddalena, che annuncia che il 15 ottobre, data d’inizio del processo d’appello per Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, sarà in aula per sostenere le ragioni dell’accusa. Un’accusa pesantissima, attentato con finalità di terrorismo. Nonostante la sentenza di primo grado, pur condannando i quattro No Tav a tre anni e mezzo per utilizzo di armi da guerra e resistenza, abbia ritenuto incongrua l’accusa di terrorismo, la Procura di Torino non molla la presa. Il procuratore generale ha la competenza per i giudizi d’appello, ma è raro che scenda in campo direttamente. Si tratta quindi di una scelta pesante, che esprime la volontà chiara di sparare tutte le cartucce per ottenere una condanna per terrorismo, più volte negata dalla Cassazione e dal tribunale del riesame. Agli altri tre attivisti No Tav, Francesco, Graziano e Lucio, arrestati per la medesima azione di lotta, non è stata contestata l’accusa di terrorismo, dopo l’ennesima bocciatura del Riesame.
Maddalena è sull’orlo della pensione: con questo processo non si gioca la carriera, ma rischia, se sconfitto, di non chiudere in bellezza. Giancarlo Caselli, procuratore capo a Torino quando venne formulata l’accusa di terrorismo, non osò tanto. Anzi. Dopo gli attacchi ricevuti da illustri magistrati ed esponenti della cultura, dopo le decine di contestazioni ovunque in Italia, decise frettolosamente di ritirarsi, anticipando di alcuni mesi le proprie dimissioni. Armando Spataro, il suo successore, ha adottato una linea dura ma molto prudente, arrivando a sciogliere il pool No Tav.
Difficile pronosticare se la discesa in campo di Maddalena potrà modificare il giudizio della corte d’assise, ma potrebbe avere peso nella definizione della condanna.

La galleria nella montagna
Nonostante le indubbie difficoltà del momento, i No Tav, mantengono vivo il fronte di lotta. La repressione, il moltiplicarsi dei processi e delle condanne, penali e pecuniarie, sommato alla estrema difficoltà di dare realmente filo da torcere lavori al cantiere in Clarea, hanno certamente indebolito un movimento, che pure conta ancora su un’estesa opposizione all’opera.
E’ arrivata a fine agosto l’approvazione del CIPE per il tunnel dentro la montagna, il coniglio nel cappello del prestigiatore Mario Virano, l’uomo che, dopo aver indossato i panni ed incassato la retribuzione di capo dell’osservatorio tecnico per la Torino Lyon e di commissario straordinario del governo, ha ceduto a Foietta gli incarichi, per diventare il capo di TELT, la nuova società che ha il compito di realizzare la tratta internazionale della nuova linea ad alta velocità. Inutile dire che, stando alle regole che stabiliscono l’incompatibilità tra incarichi governativi e ruoli in società private che lavorano sulla medesima questione, sarebbe stato necessario un anno di intervallo.
Il tunnel dentro la montagna, ossia la galleria di 57 chilometri, cuore della Torino Lyon, sarebbe dovuto partire dalla frazione San Giuliano di Susa, con un cantiere enorme, che avrebbe richiesto un’infinità di lavori preliminari: primo tra tutti lo spostamento a Bruzolo dell’autoporto sulla A32.
Ma il governo aveva paura a costruire in bassa valle un altro cantiere. A Susa non ci sono i vantaggi del cantiere di Chiomonte, costruito all’uscita di una valle disabitata, collegato solo da una strada sterrata a Giaglione e da una via occupata militarmente dal giugno 2011 a Chiomonte. Qui il movimento avrebbe avuto maggiori chance.
Nonostante la propaganda governativa, amplificata dai media, ci racconti che il movimento No Tav è ormai alle corde, nei fatti la banda Renzi ha dimostrato di averne ancora paura. Altrimenti non avrebbe scelto di ampliare il cantiere/fortino di Chiomonte, facendo partire i lavori del tunnel di base nel cuore della montagna, nel punto di innesto con la galleria geognostica oggi in costruzione. Il nuovo progetto è più costoso e più rischioso. Ha un unico vantaggio: rendere più difficile la resistenza di un movimento che non ha mai accettato di ridursi a mero testimone dello scempio.

Ultimi bagliori d’estate
La decisione di scavare il tunnel dalla montagna impone una riflessione sulle strategie di lotta, ormai non più differibile. Durante l’estate la questione è stata affrontata non senza difficoltà. La scommessa di tanti di mantenere salda la natura popolare e, insieme, la scelta di lotta non simbolica, non sempre trova i canali giusti per esprimersi. Le scelte sul metodo hanno innescato un dibattito, che in alcuni momenti si è fatto molto acceso, perché pur non intaccando la sostanza, ossia la necessità di una lotta popolare ed incisiva, ha mostrato qualche difficoltà nel definire il ruolo delle minoranze agenti.
L’estate si è conclusa con numerose iniziative. Il 4, 5 e 6 settembre la tre giorni “seminiamo resistenza!” si è articolata nel consueto apericena di lotta ai cancelli della centrale il venerdì sera a Chiomonte e si è conclusa a Venaus con una giornata di informazione, mercatino genuino valsusino, ed esibizione del Coro Moro, un gruppo di rifugiati africani delle valli di Lanzo che eseguono i canti tipici della tradizione popolare piemontese.
Momento clou della tre giorni è stata la marcia popolare da Giaglione a Chiomonte, cui hanno partecipare molte famiglie con bambini. “Bombe di semi” sono state lanciate oltre le recinzioni del cantiere/fortino. Turi Vaccaro,un attivista molto noto in valle, è riuscito ad entrare nel cantiere, mettendo in difficoltà l’apparato poliziesco. La pressione ai cancelli ha indotto la polizia a liberare Turi, dopo averlo sollevato e trasportato, perché lui non era disposto ad allontanarsi spontaneamente.
La notte dello stesso giorno un gruppo di giovani No Tav ha attaccato il cantiere con sassi e petardoni: otto di loro sono stati arrestati e condotti in carcere. Mercoledì 9 settembre il gip li ha liberati tutti con obbligo di firma, di residenza e coprifuoco notturno. E’ andata peggio all’unico minorenne confinato ai domiciliari. In serata un corteo di un migliaio di No Tav ha dato vita ad una fiaccolata solidale per le strade di Bussoleno.
Due notti dopo un altro gruppo di “Black Bloc” ha nuovamente attaccato il cantiere, adottando le medesime modalità della settimana precedente: catene ai cancelli, petardoni e sassi. Nove di loro sono stati fermati dalla polizia, che sotto ai cappucci neri ha scoperto una banda di valligiani tra i sessanta e gli ottant’anni. I nove hanno rifiutato di farsi identificare e hanno rivendicato il loro gesto. Nonostante ciò sono stati rilasciati tutti. Il giorno successivo i media hanno cercato di ridurre l’attacco notturno a mera goliardata, per ridurne l’impatto, perché gli over 60 hanno dimostrato che l’azione diretta è patrimonio di tutti e da tutti viene approvata e praticata.
Sabato 12 settembre un centinaio di No Tav ha dato vita ad una marcia popolare al cantiere. La polizia ha bloccato gli accessi all’area sia dalla strada delle Gorge, sia dai principali sentieri. I No Tav hanno replicato facendo una barricata e lanciando petardoni. La polizia ha messo in atto la solita guerra chimica a base di gas CS. I No Tav con tutta calma sono ritornati a Giaglione.
La lotta continua…

(quest’articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale Umanità Nova)

Posted in Inform/Azioni, no tav, repressione/solidarietà.

Tagged with , , , , , , .


Ventimiglia. Un’estate di lotta

no border 20miglia2La frontiera è lì, nel punto dove uomini e donne in armi, chiudono la strada, nel posto dove i vecchi caselli della dogana ricordano che un tempo non lontano la frontiera era per tutti. Oggi, se sei nato dalla parte giusta, se sei cittadino europeo, per te non ci sono blocchi né barriere. (Quasi) mai. Se il vento della protesta scuote l’Europa controlli e barriere risorgono per impedire le proteste, per bloccare i manifestanti. Pochi giorni e le porte si riaprono.

Da giugno la frontiera è una barriera etnica. Se sei afgano, siriano, sudanese, eritreo non passi. Non passi legalmente. Devi arrangiarti da solo, pagare il passeur o incontrare qualche nemico delle frontiere disposto a darti una mano.

Da giugno su questa linea fatta di nulla si giocano i destini di uomini e donne, che hanno negli occhi la guerra, il deserto, i barconi. La Francia ha chiuso le frontiere.
Ogni giorno qualcuno prova a passare. Ogni giorno qualcuno passa. Ogni giorno qualcuno viene intercettato, chiuso in un container/prigione per ore, e poi riportato indietro. Senza lasciare nessuna traccia sulle carte. Né la polizia francese, né quella italiana chiedono i documenti, prendono le impronte, fanno foto: se ti identificano sono obbligati a prendere la tua richiesta di asilo, ad accoglierti in attesa di risposta. Così i profughi di Ventimiglia diventano fantasmi. Va bene a tutti: al governo italiano, che non vede l’ora che se ne vadano, a quello francese che vuole solo disfarsene, ai rifugiati che vogliono andare più a nord. Una follia. Lucida. Lucida come ogni logica di esclusione.

Da giugno qualcuno ha provato a far saltare le regole del gioco a rendere visibile il ping pong di uomini e donne, gettati di qua e di là come palline. Sono stati i migranti stessi a ribellarsi e gettarsi sugli scogli a mettersi di traverso sulla strada, per bloccare il passaggio delle merci, dove agli uomini è impedito di andare.

Ogni giorno ci sono iniziative. Ogni giorno c’é un’assemblea per discutere il da farsi e per accogliere i nuovi arrivati, per raccontare loro che un luogo di lotta e libertà è diverso dal campo della Croce Rossa vicino alla stazione, è diverso dai luoghi di accoglienza conosciuti nel viaggio. Al No border camp non c’è assistenzialismo: tutti fanno tutto, tutti cucinano, puliscono, scrivono cartelli, fanno traduzioni, preparano i letti. Tanti arrivano e, appena possono, continuano il viaggio, altri invece hanno trovato qui una meta, uno scopo. La lotta contro le frontiere è un’occasione per diventare protagonisti, per provare a cambiare senso alla giostra che gira e torna sempre allo stesso punto: chi sale e scende è più povero, chi gira la manovella si arricchisce.

Per un paio di mesi gli attivisti del campo, gente di Ventimiglia e di ogni dove, non hanno avuto guai con la polizia. Poi c’é stato un giro di vite: fogli vi via e denunce a chi fa “cop watching”, fotografando le gabbie dove sono rinchiusi i ragazzi che non ce l’hanno fatta e verranno deportati in Italia, gettando una bottiglietta e qualcosa da mangiare.
Da agosto sono scattate denunce, arresti, processi. Ma campo va avanti.

Continued…

Posted in immigrazione, Inform/Azioni, internazionale, razzismo, repressione/solidarietà.

Tagged with , , .


Trident Juncture. Birgi, trampolino della NATO del terzo millennio

birgiLa Sicilia laboratorio sperimentale della NATO. L’aeroporto di Trapani Birgi trampolino di lancio delle forze NATO del Terzo Millennio, per un’alleanza militare sempre più aggressiva, flessibile e globale. Tra lo Stretto di Gibilterra e il Mediterraneo centrale e i grandi poligoni di guerra di Spagna, Portogallo e Italia 30.000 militari, 200 velivoli e 50 unità navali di 33 nazioni per la più grande esercitazione NATO dalla fine della guerra fredda. Ospiti d’eccezione, i manager delle industrie militari di 15 Paesi. Molto interessati. I frequenti decolli e atterraggi comportano rischi elevatissimi per il traffico passeggeri di Birgi e per le migliaia di abitanti delle città di Trapani e Marsala e delle Isole Egadi? Poco interessa!

“La prevista esercitazione internazionale Trident Juncture 2015, inizialmente pianificata per il prossimo autunno e che avrebbe portato oltre 80 velivoli e circa 5.000 militari di varie nazionalità a operare sull’aeroporto sardo di Decimomannu e a permanere nei territori circostanti per quattro settimane, è stata da tempo riprogrammata sull’aeroporto di Trapani”. L’annuncio, ai primi di giugno, è dell’ufficio stampa dello Stato maggiore dell’Aeronautica militare italiana. Trident Juncture 2015, la “più grande esercitazione NATO dalla fine della guerra fredda”, come è stata definita dal Comando generale dell’Alleanza Atlantica, avrà come centro nodale lo scalo aereo siciliano: dal 28 settembre al 6 novembre, cacciabombardieri, grandi velivoli da trasporto e aerei spia decolleranno dalle piste di Birgi per simulare attacchi contro unità navali, sottomarini e target terrestri e testare i nuovi sistemi di distruzione di massa.

Ascolta la diretta  dell’info di radio Blackout con Antonio Mazzeo, autore dell’articolo che state leggendo, comparso inizialmente su “Casablanca. Le siciliane” e sul blog dell’autore.

Al ministero della Difesa, a Roma, si smentisce che il trasferimento dei war games in Sicilia sia stato determinato dalle azioni di lotta dei comitati locali sardi che si oppongono all’asfissiante processo di militarizzazione della Sardegna. Eppure, in un primo momento, una nota del comando militare aveva riportato testualmente che nell’Isola “erano venute a mancare le condizioni per operare con la serenità necessaria per un’attività di tale portata e complessità, che coinvolgerà tutte le aeronautiche dei Paesi NATO”. Poi, invece, hanno spiegato che dietro il dirottamento a Trapani di uomini e mezzi alleati c’erano solo ragioni di tipo tattico o geografiche. “In relazione allo svolgimento dell’esercitazione Trident Juncture 2015 – spiega lo Stato maggiore dell’Aeronautica – la scelta della base di Trapani, unitamente ad altre aree operative nazionali utilizzate dalle altre componenti, è stata presa in considerazione per motivi eminentemente logistici, operativi e di distanze percorribili per ottimizzare le risorse a disposizione e per la pregressa esperienza maturata nel corso di altre operazioni condotte sulla base”.


Trident Juncture
interesserà lo spazio aereo e marittimo compreso tra lo Stretto di Gibilterra e il Mediterraneo centrale e i grandi poligoni di guerra di Spagna, Portogallo e Italia. Sotto la supervisione del JFC – Joint Force Command Neaples (JFC), il comando alleato con quartier generale a Lago Patria (Napoli), prenderanno parte alla maxi esercitazione oltre 30.000 militari, 200 velivoli e 50 unità navali di 33 nazioni (i 28 membri NATO più 5 partner internazionali). Ospiti d’eccezione, i manager delle industrie militari di 15 Paesi, onde consentire una “conoscenza più amplia e più profonda tra il settore produttivo e il regime addestrativo dell’Alleanza”, come dichiarato dal Comando NATO di Bruxelles. “Trident Juncture è finalizzata all’addestramento e alla verifica delle capacità dei suoi assetti aerei, terrestri, navali e delle forze speciali, nell’ambito di una forza ad elevata prontezza d’impiego e tecnologicamente avanzata, da utilizzare rapidamente ovunque sia necessario”, spiegano i vertici militari. “L’esercitazione simulerà uno scenario adattato alle nuove minacce, come la cyberwar e la guerra asimmetrica e rappresenterà, inoltre, per gli alleati ed i partner, l’occasione per migliorare l’interoperabilità della NATO in un ambiente complesso ad alta conflittualità” Continued…

Posted in antimilitarismo, Inform/Azioni, internazionale.

Tagged with , , , , , .


Con il Barocchio, contro sgomberi, galere e manicomi

psico siringaDante avrebbe parlato di legge del contrappasso, il principio che regola la pena eterna dei dannati in base ai loro vizi peggiori. Il vizio di chi occupa una casa, libera uno spazio, pratica la condivisione, si ribella alla mercificazione delle relazioni è la libertà. La Regione Piemonte al posto di uno spazio autogestito ha progettato una galera che chiuda con lacci chimici, corde e sbarre i “folli rei”.
Questo il destino del Barocchio di Grugliasco, che rischia lo sgombero e la demolizione per far posto ad una REMS, una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, l’ultima metamorfosi del manicomio criminale, dopo la chiusura dei sei OPG – Ospedali Psichiatrici Giudiziari – della scorsa primavera.

La Regione Piemonte è in ritardo con la costruzione delle due REMS che dovrebbero accogliere i prigionieri piemontesi oggi ancora rinchiusi nell’OPG di Castiglione delle Stiviere in provincia di Mantova. Trasformare il centro residenziale vicino alla casa occupata e il Barocchio stesso in REMS “provvisoria” è il coniglio nel cappello del prestigiatore Saitta, l’assessore regionale alla Sanità.

Peccato che il diavolo sappia fare le pentole ma non i coperchi: la decisione di prendere due piccioni con una fava, lo sgombero del Barrocchio e la galera psichiatrica, si sta rivelando un boomerang per l’amministrazione Chiamparino, perché la lotta contro le Rems e quella per la difesa del Barocchio si stanno saldando, allargando il fronte di lotta.

Come anarchici saremo al fianco di chi si batte contro le nuove galere psichiatriche e per la difesa di uno spazio autogestito. Anche noi abbiamo lo stesso il vizio tenace, quello della libertà.

Solidarietà al Barocchio! Nessuno sgombero, nessuna galera, nessun manicomio!

I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese

Per approfondimenti leggi il comunicato del Collettivo Antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”

Posted in anarchia, antipsichiatria, autogestione, Inform/Azioni, torino.

Tagged with , , , , , , , .


Contro tutti i manicomi! Contro la psichiatria! Difendiamo il Barocchio Squat!

no-carcere2Con la delibera 30 marzo 2015, n. 42-1271, la Giunta regionale piemontese ha programmato gli interventi finalizzati al superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), concentrandosi sull’apertura di 2 REMS (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), di cui una presso la Comunità “il Barocchio” di Grugliasco, adiacente al Barocchio Squat.

Nel totale silenzio delle istituzioni, nei prossimi mesi si procederà al trasferimento degli attuali “utenti in cura” della Comunità verso un’altra struttura residenziale, come fossero “merci”, e allo sgombero della casa occupata per “bonificare” l’area in cui sorgerà il miniOPG.

Le REMS infatti non rappresentano un superamento degli OPG, come invece sostiene la legge 81/2014 che ne ha stabilito la chiusura dal 1 aprile 2015, ed infatti a Castiglione delle Stiviere a Mantova, il passaggio da OPG a REMS si è di fatto limitato al cambiamento della targa all’ingresso!
Un’altra riforma nominalistica insomma, come quella che nel 1945 ne aveva cambiato il nome da “Manicomio Criminale” a “Manicomio giudiziario”, e poi ancora nel 1975 al più rassicurante “Ospedale psichiatrico giudiziario”.

Si chiudono i sei manicomi criminali, per aprire nuove strutture in ogni regione, magari più accoglienti, gestite da personale sanitario e non più dall’amministrazione penitenziaria, ma al cui interno continuerebbero a perpetrarsi arbitrarietà, ingiustizie e reclusione prolungata ed immotivata, visto che, finito di scontare la pena, i reclusi saranno comunque costretti a seguire dei programmi terapeutico-riabilitativi individuali attivati dai DSM, ossia una presa in carico vitalizia del “malato” che prevede il trasferimento in altre strutture psichiatriche territoriali e l’inizio di un processo infinito di assistenza psichiatrica e di reinserimento sociale, promesso ma mai raggiunto, legato ad attività e percorsi coercitivi, obbligatori e repressivi.
Nelle REMS, così come era nei vecchi manicomi, la responsabilità della custodia dei reclusi, viene affiancata al concetto di “cura” e passa tutto nelle mani della psichiatria, che nasce proprio come scienza della normalizzazione e della reclusione, prima di elevarsi a “scienza medica”, come dimostra il fatto che la reclusione manicomiale è storicamente antecedente ai trattamenti e alle cure psichiatriche.
Con la nuova legge non si è inoltre superato il concetto di pericolosità sociale, alla base di queste istituzioni, che è una nostra pesante eredità fascista: la normativa sugli OPG risale infatti al codice Rocco del 1930, e risente della considerazione che allora si aveva della malattia mentale, alla sua lombrosiana associazione alla violenza e al reato: il “folle” era considerato incurabile, pericoloso, irresponsabile e quindi da isolare dalla società e da rinchiudere per sempre in un’istituzione manicomiale, in un’ottica di profilassi sociale volta a preservare il potere e la comunità da comportamenti deviati, e quindi devianti.
Si chiude una scatola, per aprirne un’altra! Come se il manicomio fosse un luogo e non un concetto, un’idea! Ed in più a Torino, si decide di farlo volendo sbarazzarsi di una realtà, come quella del Barocchio Squat, che in questi 23 anni di occupazione ha sperimentato e praticato l’unica alternativa – se tale può considerarsi! – all’internamento psichiatrico, e cioè una cultura non segregazionista e di esclusione, fondata su principi e metodi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane, quindi del tutto opposti a quelli repressivi e omologanti delle istituzioni psichiatriche e carcerarie.
Pertanto esprimiamo la nostra solidarietà al Barocchio Squat, sicuri che la città di Torino non resterà indifferente di fronte allo sgombero di una delle sue storiche occupazioni, e pronti a lottare a fianco di tutti coloro che vogliono imprigionarci all’interno di manicomi e carceri.

Contro lo sgombero di tutte le realtà occupate autogestite e libere

Contro l’apertura di tutte le REMS, e di ogni nuovo manicomio

Contro tutte le carceri e i progetti di finanziamento delle sezioni psichiatriche presso le strutture penitenziarie. La delibera regionale prevede infatti un finanziamento di ben 400mila euro al reparto di osservazione Psichiatrica “il Sestante” del Carcere delle Vallette. Le istituzioni carcerarie si servono così della psichiatria per stemperare il conflitto, e garantirsi così un più semplice controllo della massa dei detenuti, costretti a subire la reclusione e per di più in gravi situazioni di degrado e  sovraffollamento.

Contro la psichiatria, i suoi luoghi e i suoi abusi, certi che non ci possa essere alcuna possibilità di “cura”, riabilitazione e reinserimento sociale finché non ci sarà il consenso, la volontà e la libertà degli individui. La legge 180/78 che ha chiuso i manicomi, come quella che ha oggi ha chiuso gli OPG, ha lasciato agli psichiatri la possibilità di “curare” e drogare coercitivamente le persone, di sequestrare i cittadini e imprigionarli in un repartino o in una comunità per un giudizio arbitrario sul loro pensieri e comportamenti. I fatti di cronaca di questi ultimi mesi, con ben tre morti uccisi durante una procedura di TSO (trattamento sanitario obbligatorio) ne sono l’esempio: i ricoveri non sono quasi mai volontari, poiché la possibilità di un TSO viene sempre usato come ricatto; la maggior parte dei provvedimenti è legalmente non corretto, sia per mancanza della visita dei 2 medici e la convalida del sindaco e del giudice tutelare, sia per la mancanza delle tre condizioni per cui, secondo la legge, si dovrebbe eccezionalmente optare per un ricovero coatto (la presenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, il rifiuto delle cure, l’impossibilità di attivare altre misure di assistenza e cura rispetto al ricovero ospedaliero); la violenza con cui le persone vengono prelevate e costrette al ricovero, quasi sempre messa in atto dalle forze dell’ordine e non da personale sanitario. Altre vicende di cronaca ci hanno reso evidente inoltre che anche dentro queste nuove strutture “postmanicomiali” le persone vengono drogate coercitivamente senza avere informazioni sui farmaci somministrati e che provocano dipendenza e gravi effetti collaterali, non possono avvalersi dei diritti ad essi garantiti dalla legge (in materia di libera uscita in caso di ricovero volontario, di libertà nelle visite, di poter visionare la cartella clinica, etc), nonché maltrattate e contenute: caso esemplare è quello di Francesco Mastrogiovanni, in TSO nell’ospedale San Luca a Vallo della Lucania, trovato morto dopo essere stato legato mani e piedi al letto dell’ospedale, senza acqua né cibo, per oltre 80 ore, e di cui ci sarà la sentenza del processo di secondo grado nel mese di settembre.

Siamo tutti socialmente pericolosi!

Collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”

Riunioni ogni lunedì alle 21 presso la FAI – Torino in corso Palermo 46 – mail: antipsichiatriatorino@inventati.org
telefono antipsichiatrico 345 61 94 300

Posted in antipsichiatria, autogestione, Inform/Azioni, torino.

Tagged with , , , , , , .


Grecia. Riprende la lotta contro le miniere d’oro

skouries2La lotta contro il cantiere della miniera d’oro di Skuries è ripartita quest’estate con un campeggio di lotta. Lo scorso anno l’opposizione alla concessione dell’area montana di Skuries alla società canadese Eldorado Gold aveva subito una forte battuta di arresto.
Le elezioni locali, vinte da formazioni contrarie alle miniere, avevano indotto ampi settori della popolazione, sotto pressione per la durissima repressione, a delegare al fronte istituzionale l’opposizione alla devastazione del territorio. In un anno il cantiere ha fatto passi da gigante, mentre il l’amministrazione di Megali Panaghia, il comune di cui fa parte Skuries, si è impantanata in questioni tecnico-legali, senza bloccare i lavori.
La parola è quindi tornata ai comitati di lotta, che hanno dato vita a numerose azioni di lotta durante la settimana di campeggio che si è svolta a metà agosto. Il 23 agosto c’è stata una grossa manifestazione a Skuries. La polizia ha attaccato con gas sparati ad altezza d’uomo, i manifestanti hanno risposto con pietre e molotov. Il bilancio è di alcuni feriti. Un intero pullman è stato intercettato dalla polizia che ha fermato 74 persone, arrestandone quattro che avevano rifiutato di fornire le generalità. Il giorno successivo i quattro – tutti stranieri – sono stati assolti ma ne è stata decretata l’espulsione dal paese.
Il governo greco, in palese crisi di consensi all’interno del suo stesso partito, la cui area giovanile ha partecipato alla manifestazione di domenica 23 agosto, ha giocato la sua carta, decretando la sospensione dei lavori a Skuries. Con un anno di ritardo.
L’azione diretta, la lotta popolare hanno nuovamente in mano il gioco, solo nei prossimi mesi sapremo se la mossa di Alexis Tsipras lo abbia salvato in corner, riuscendo ad ammortizzatore del conflitto.

Per saperne di più ascolta l’intervista a Iannis, attivista No Miniere, realizzata dall’info di Blackout prima dell’annuncio del blocco dei lavori

Posted in ambiente, Inform/Azioni, internazionale.

Tagged with , , , , .


Lo scoppio della bolla cinese

shangaiIl crollo delle borse, partito dalla Cina e propagatosi al resto del mondo, segnala l’arrivo di una nuova crisi che ci colpirà mentre ancora stiamo subendo gli effetti della crisi precedente.

La Cina sta vivendo una crisi di crescita. Non aumenta la domanda interna, diminuiscono gli investimenti e le esportazioni, il governo cinese teme che il rallentamento della crescita possa causare tensioni sociali.

I paesi emergenti e quelli produttori di materie prime, subiscono la diminuita domanda cinese e stanno entrando in crisi.

La crisi dell’economia reale si riflette sull’economia finanziaria e, visto che le borse mondiali sono ai massimi, il rischio dell’esplosione della bolla speculativa è elevato.

Posted in economia, Inform/Azioni, internazionale.

Tagged with , , , , .


Andrea, ucciso dai vigili e dalla psichiatria

andrea soldiAndrea Soldi è stato ammazzato perché non voleva più rincitrullire per gli psicofarmaci a lento rilascio, perché voleva un’alternativa alla gabbia chimica in cui era rinchiuso da anni.

Le foto che lo ritraggono mostrano un ragazzo normale, le cronache ci raccontano di un omone di 150 chili. Nessuno ha scritto che una delle prima conseguenze dell’abuso di psicofarmaci è spesso l’obesità.

E’ il terzo morto in poco meno di un mese.
Prima di lui era toccato a Massimiliano Manzone di Agnone nel Cilento e a Mauro Guerra di Sant’Urbano in provincia di Padova. Anche Mauro, come Andrea, aveva tentato di sottrarsi ad un TSO, fuggendo nei campi, scalzo e in mutande. Raggiunto da un carabiniere si era difeso, mentre il collega, estratta la pistola, lo aveva freddato.

Di seguito il volantino distribuito dal Collettivo antipsichiatrico Francesco Mastrogiovanni di Torino in occasione del presidio antipsichiatrico tenutosi il 18 agosto in piazzale Umbria, vicino alla panchina dove Andrea trascorreva i suoi pomeriggi, la stessa panchina dove è stato strangolato dal repartino affari speciali dei vigili urbani, incaricato di eseguire il TSO.

“In Italia i manicomi sono stati chiusi alla fine degli anni Settanta, ma l’orrore psichiatrico non è mai finito: gabbie chimiche, camicie di forza, letti di contenzione, elettroshock, lobotomia continuano a segnare le vite di chi finisce imbrigliato nelle reti della psichiatria, visto che questa ha la possibilità di sequestrare e imprigionare le persone a causa di un giudizio arbitrario sulla base del loro comportamento o del loro pensiero.
Ogni tanto qualcuno ci lascia anche la pelle.
E’ successo ad Andrea Soldi, un uomo di 45 anni, che è morto il 5 agosto scorso a Torino, ucciso dai vigili urbani che lo stavano sottoponendo a un TSO (Trattamento sanitario obbligatorio), e che parecchi testimoni hanno visto prendere e stringere per il collo fino a diventare cianotico, ammanettare e buttare privo di vita a testa in giù su una barella, la stessa con la quale è arrivato al pronto soccorso già morto. Andrea, che tutti ricordano come una persona tranquilla, non si era presentato alla mensile visita psichiatrica, in quanto non voleva sottoporsi all’abituale iniezione a lento rilascio di haldol, un potente e dannoso neurolettico, che provoca dipendenza e gravi effetti collaterali, tra cui anche la psicosi per cui veniva “curato”.
In Italia la legge stabilisce che i ricoveri debbano essere volontari (TSV), ma che si possa comunque ricorrere alla coercizione quando l’individuo presenta alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, oppure rifiuti la terapia psichiatrica, oppure non possa essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero. L’eccezionalità del provvedimento dovrebbe essere garantita dall’iter attuativo: il TSO deve essere disposto con provvedimento del Sindaco del Comune di residenza, su proposta motivata da un medico e convalidata da uno psichiatra operante nella struttura sanitaria pubblica, e inviato al Giudice Tutelare operante sul territorio che deve convalidarlo entro 48h. E’ chiaro come il confine tra TSV e TSO sia assolutamente labile, proprio per la possibilità del ricovero obbligatorio, usato continuamente come ricatto in caso di mancata accondiscendenza al volere dei medici, e all’effettiva impossibilità di fondo di rifiutare le cure.
Nel caso di Andrea sembrerebbero non esserci i presupposti per attuare la procedura, in quanto il secondo medico che lo ha visitato gli avrebbe proposto un’alternativa da lui accettata. Perché allora ha posto la sua firma sul provvedimento, se si sarebbe potuto evitare il ricovero forzato in repartino? E per di più Andrea si sarebbe dimostrato disponibile ad accettare quest’altra soluzione, non rifiutando quindi del tutto le “cure”.  E perché i vigili urbani si sono fatti loro carico, invece del personale sanitario, di attuare il provvedimento, assassinando brutalmente l’uomo sotto gli occhi dei suoi amici e di tutta la gente che con lui trascorreva il tempo nella piazzetta, su quelle panchine a cui Andrea si era aggrappato per sfuggire all’ennesima cattura, all’ennesima prepotenza, all’ennesima violenza farmacologica? Uccidere per “curare”?!
Basta TSO! Basta psichiatria! La nostra voce è quella di Andrea e quella di tutte le persone che in questi anni sono morte per mano degli psichiatri, poiché si opponevano giustamente a delle cure non volute, spesso inutili e sempre dannose e invalidanti.
E se questo è quello che succede fuori, nelle strade e davanti agli occhi di tutti, basta solo immaginare quello che avviene all’interno dei repartini, degli OPG, delle REMS, delle cliniche e in tutti quei luoghi dove la psichiatria tiene rinchiuse le persone e attua quelle “cure” che altro non sono che dispositivi normalizzanti, disciplinari e punitivi.
I comportamenti delle persone, siano essi “anormali” e devianti, così come il dolore e la sofferenza, non sono una “malattia”. E la prigione psichiatrica, con i suoi lacci chimici e fisici, non è una “cura”. La psichiatria non è una disciplina medica, ma piuttosto una scienza del controllo, che investe come un treno in corsa le vite di chi non ci sta dentro, di chi eccede la norma e dà fastidio. Chi rifiuta le gabbie, chi ha una visione critica nei confronti della società e del sistema, chi non accetta di gonfiarsi di psicofarmaci, chi vive in strada, chi è solo, rischia la reclusione nel repartino, il TSO, la contenzione, l’umiliazione, la dipendenza forzata da droghe legali.
Se rifiuti le cure dimostri di essere malato: una “follia”! La “normale” follia psichiatrica.

Collettivo antipsichiatrico Francesco Mastrogiovanni
antipsichiatriatorino@inventati.org
345 61 94 300”

Posted in antipsichiatria, Inform/Azioni, salute, torino.

Tagged with , , , , , , , , , , .


La guerra sporca di Erdogan, la fiaccolata di Torino

IMG_20150730_224335I bombardamenti in Nord Iraq, gli scontri e gli arresti di massa in Turchia, le operazioni militari in Siria (Rojava), dimostrano che l’escalation militare a cui sta dando vita la Turchia è una guerra contro i curdi e la loro lotta per l’autodeterminazione, nonostante la propaganda mediatica continui a parlare di “guerra all’ISIS”.
Ben strana “guerra all’ISIS” quella in cui l’obiettivo principale sono le uniche forze che sul campo stanno combattendo lo Stato Islamico!
Nei fatti questa è la reazione della Turchia all’esperimento politico di autogoverno del Rojava, fatta con il beneplacito degli Stati Uniti e della Nato.
L’info di Blackout ne ha parlato con Daniele (collaboratore della Radio, autore di “Nell’occhio del ciclone, il popolo curdo tra guerra e rivoluzione”, e rientrato di recente da Nord Iraq e Siria). Nell’intervista sono stati affrontati gli ultimi accadimenti in Siria, cercando di svelarne le dinamiche di fondo.
Si è inoltre parlato della situazione in Nord Iraq, della rottura della tregua tra Ankara e PKK con i bombardamenti a tappeto di Qandil e delle altre zone controllate dalla guerriglia, di qual è il ruolo di Qandil e delle “zone liberate” sotto attacco, di qual è il posizionamento di Massoud Barzani e del PDK in questa partita, ecc.

Ascolta qui la diretta

Il 30 luglio per le strade di S. Salvario a Torino si è dipanata una fiaccolata di solidarietà, cui hanno partecipato circa trecento persone. Il segno che la lotta durissima che si sta svolgendo nel crocevia tra Turchia, Iraq e Siria è una scommessa importante per noi tutti.

Posted in autogoverno, il grande gioco, Inform/Azioni, internazionale, torino.

Tagged with , , , , , .