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No Tav. 200 anni di carcere: il prezzo della resistenza

no_tav_27 giugnoIl processo contro 53 No Tav alla sbarra per l’opposizione allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, il 27 giugno 2011 e per la giornata di assedio alla zona occupata del 3 luglio, si sta avviando alla conclusione.
I due PM con l’elmetto, Rinaudo e Padalino, troppo esposti mediaticamente, sono stati rimossi dal pool della Procura, ma Pedrotta e Quaglino, le due PM che li hanno sostituiti nella requisitoria finale, hanno mantenuto sia lo stile che la sostanza dei due colleghi più noti.
La tesi della Procura è stata ribadita sin dall’incipit della requisitoria da Emanuela Pedrotta, che ha sostenuto che le ragioni degli oppositori all’opera non avessero attinenza con il Processo. Un’affermazione dal sapore paradossale di fronte ad un processo svoltosi nell’aula che era stata la cornice dei rituali giudiziari contro le formazioni armate degli anni Settanta e contro la mafia. Un processo affidato ad um giudice, Bosio, sull’orlo della pensione, che ha imposto 70 udienze in un anno, mettendo a repentaglio i diritti delle difese, obbligate a maratone durissime. Inevitabile il paragone con il processo all’ndrangheta, rimasto per 10 anni nel cassetto del PM Antonio Rinaudo. Un nome a caso, ovviamente.
L’esibizione di Pedrotta e Quaglino è finita a porte chiuse. Tutto il pubblico e alcuni imputati sono stati espulsi. La manifestazione di spontanea indignazione per le affermazioni del PM, che ha parlato di istinti primordiali che si sarebbero scatenati di fronte alle divise, ha suscitato le proteste indignate del pubblico. Bosio ne ha decretato l’espulsione. Sono stati buttati fuori sino alla sentenza anche tre No Tav che hanno letto un comunicato durante la requisitoria.
Il pubblico ha avuto il Daspo anche per la prossima udienza nella quale andranno in scena le parti civili.
Dopo sette ore Quaglino e Pedrotta hanno chiesto 194 anni di reclusione. Le richieste dei PM vanno da un minimo di sei mesi ad un massimo di sei anni.

L’info di Blackout ne ha parlato con Tobia, uno dei 53 No Tav alla sbarra. Tobia ha meticolosamente ricostruito i passaggi salienti della ricostruzione proposta dai Pubblici Ministeri.

Ascolta la diretta

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Torino. Processo agli antirazzisti

OLYMPUS DIGITAL CAMERAI due processi contro l’assemblea antirazzista si stanno avviando a conclusione.
Il 17 settembre è ripresa la tranche con il giudice monocratico, il 22 quella di fronte ad un collegio di tre giudici.
Secondo i PM Pedrotta e Padalino nel primo processo sono stati inseriti i reati più “lievi”, nel secondo quelli più “pesanti”. Una distinzione che risulta impalpabile di fronte alle lotte concrete.
I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale.
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Quattro anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura è andata avanti.
Vogliono togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni si sono battuti contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
L’Assemblea Antirazzista – attiva tra maggio del 2008 al maggio del 2009 – fu il fulcro di numerose iniziative.
Iniziative che, sia pure di minoranza, contribuirono a tenere accesi i riflettori ed a sostenere le lotte dentro i CIE, contro lo sfruttamento del lavoro migrante, contro la militarizzazione delle periferie.
Vogliono criminalizzare il dissenso, per provare a tappare la bocca e legare le mani a chi si ostina a voler cambiare un ordine sociale feroce, ingiusto, predatorio, razzista.
L’intero impianto accusatorio della procura sui basa su banali iniziative di contestazione.
Nel mirino il “cacerolazo” – 2 giugno 2008 – alla casa del colonnello e medico Baldacci, responsabile del CPT, dove un immigrato era morto senza cure il 23 maggio; il volantinaggio al Museo egizio – 29 giugno 2008 – per ricordare l’operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione – 17 luglio 2008 – dell’assessore all’integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la protesta – 20 marzo 2009 – alla lavanderia “La nuova”, che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi; l’occupazione del consolato greco – 12 dicembre 2008 – in solidarietà con le proteste dilagate in Grecia dopo l’assassinio di un anarchico quindicenne ucciso da un poliziotto… ma l’elenco è molto più lungo. In tutto decine iniziative messe insieme per cucire addosso ad un po’ di antirazzisti un apparato accusatorio capace di portarli in galera.
L’udienza del 17 settembre è durata molto poco, per l’assenza dei due ultimi testi della difesa.
Il 22 settembre, in maxi aula tre, era il turno degli imputati. Qualcuno ha deciso di affrontare Padalino, altri hanno fatto dichiarazioni spontanee.
Maria Matteo ed Emilio Penna, rispondendo alle domande del PM, hanno rivendicato la propria partecipazione alle iniziative cui erano presenti, mettendo l’accento sulle ragioni delle iniziative finite nel mirino della magistratura.
“Sui muri di quest’aula è scritto ‘la legge è uguale per tutti’. Non è vero, non è mai stato vero, perché l’uguaglianza di chi non è uguale è una finzione. Negli ultimi anni, nel nostro ordinamento sono state inserite norme che cancellano anche l’uguaglianza formale. La detenzione amministrativa nei CIE, l’impedimento alla libera circolazione, le leggi che puniscono chi non documenti impossibili da ottenere, lo hanno sancito. La strage di migliaia di uomini, donne e bambini annegati nel tentativo di arrivare in Italia è una strage di Stato.
Manifestare nel quartiere popolare di Barriera di Milano di fronte alla lavanderia che lava i panni del CIE era un buon modo per dire che lavorare per chi gestisce un CIE non è un lavoro come un altro. ‘It’s only a job’ ha dichiarato il pilota statunitense che ha lanciato la bomba che uccise 150.000 persone subito e tante altre negli anni successivi.”
Nella prossima udienza – 1 dicembre – ci saranno le ultime dichiarazioni spontanee e comincerà la requisitoria del PM, il 18 dicembre sarà il turno delle difese. Poi la sentenza.

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L’agonia di Kobane. L’IS cavallo di Troia dal Maghreb al Rojava

Syrian refugees enter Turkey at Yumurtalik crossing near SuruçLe milizie di autodifesa delle comunità del Rojava lo dicono da settimane. Il cerchio intorno a Kobane si sta stringendo, l’offensiva dell’IS, bene armato e deciso a farla finita con l’unica esperienza di autogoverno territoriale laica, femminista, egualitaria in medio oriente, stringe d’assedio la città.
Gli esponenti della comunità curda nel nostro paese ieri – con una mossa disperata – hanno protestato dentro Montecitorio, denunciando il sostegno attivo della Turchia all’IS. Si sono guadagnati una pacca sulla spalla dal parlamentare incaricato di rassicurarli sul nulla.
Oggi con 298 voti a favore e 98 contrari il Parlamento di Ankara autorizza le truppe turche a condurre operazioni di terra, in Iraq e Siria, contro lo Stato Islamico (Isis) e il regime di Bashar Assad aprendo un nuovo capitolo del conflitto in corso in Medio Oriente.
Il provvedimento lascia intravede in filigrana i reali obiettivi di Erdogan, che riconferma la propria attitudine espansionista in chiave neottomana.
Il governo ottiene «per il periodo di un anno» l’autorizzazione a compiere interventi «contro gruppi terroristi in Siria ed Iraq» al fine di «creare zone sicure per i profughi dentro la Siria» e «proteggerle con delle no fly zone», oltre a poter «addestrare e provvedere logistica e armamenti all’Esercito di liberazione siriano» ovvero i ribelli filo-occidentali.
Inutile ricordare che il PKK e le YPG sono per la Turchia e gli Stati Uniti organizzazioni “terroriste”, le uniche che si sono battute sia contro il regime di Assad sia contro l’Is e le brigate quaediste Al Nusra.
Difficile dubitare che il governo turco interverrà quando l’IS avrà massacrato la popolazione di Kobane e distrutto l’autogoverno in questo cantone. Le frontiere con la Turchia sono serrate. Si aprono varchi qua e là nelle zone dove i guerriglieri del PKK e i solidali libertari arrivati dalle zone turcofone riescono a imporlo. Non per caso il ministro della Difesa turco, Ismet Yilmez, ha dichiarato «non siamo tenuti a prendere iniziative immediate».

L’agenzia Reuters ha raggiunto telefonicamente il “capo” delle forze di autodifesa curde, Esmat al-Sheikh. La sua testimonianza è terribile: “La distanza tra noi e i jihadisti è meno di un chilometro. Ci troviamo in un’area piccola e assediata. Nessun rinforzo ci ha raggiunto e il confine con la Turchia è chiuso”. “Cosa mi aspetto? – si chiede il comandante – Uccisioni generalizzate, massacri e distruzione. Siamo bombardati da carri armati, artiglieria, razzi e mortai”.
Nei loro comunicati le milizie curde negano in parte questo scenario. Secondo i media ufficiali del PKK e delle YPG e osservatori kobane sarebbe ancora sotto il controllo delle YPG. Questa notte e questa mattina ci sono stati bombardamenti con mortai pesanti da parte dell’ISIS, ieri i tentativi di ieri di entrare a Kobane sono stati frustrati dalla resistenza da parte delle YPG e almeno due tank del’IS sono andati distrutti.
Continued…

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Strage di Lampedusa. La fiera dell’ipocrisia

lampedusa3 ottobre 2014. E’ passato un anno. Oggi sul molo di Lampedusa uomini e donne delle istituzioni hanno messo in scena il cordoglio delle istituzioni, si sono vantati di “Mare Nostrum”, hanno ancora una volta battuto cassa in Europa.
Le spese della frontiera sud della fortezza lievitano e Alfano come Maroni continua a battere cassa.
Per i parenti dei 360 morti di fronte cui si genuflesse il presidente del consiglio, nulla. Nemmeno la promessa del riconoscimento dei corpi, di una tomba sui cui piangere.
La differenza tra Berlusconi/Maroni e Renzi/Alfano è nello stile, nell’ipocrisia ostentata. Niente più.
Mare Nostrum, che, mentre ripesca qualche naufrago, intercetta e scheda tutti gli altri, costa nove milioni di euro al mese. Frontex plus costerà meno. Aprire le frontiere a migranti, profughi e richiedenti asilo non costerebbe nulla. Nè soldi né morti.
Banale. Come banale è il male. Il male delle frontiere. Il male delle guerre che insanguinano il pianeta. Il male delle tante missioni di “peacekeeping” dall’Afganistan, all’Iraq alla Siria…

Ne abbiamo parlato con Alberto La Via, compagno di Trapani, dove tanti di quei profughi arrivano e non trovano nulla. O peggio. Rischiano di incontrare uno come Sergio Librizzi, direttore della Caritas di Trapani, accusato di violenza sessuale e concussione.
Questo prete pretendeva prestazioni sessuali in cambio del permesso di soggiorno dai rifugiati e dai richiedenti asilo che affollavano i tanti centri di accoglienza gestiti dalla Caritas (e da enti a essa collegati) in città e in provincia. Un prete che godeva di ampie coperture negli ambienti della prefettura e in quelli della questura, passando per tutta la filiera istituzionale che da anni si ingrassa sulla pelle degli sventurati che giungono in Europa alla ricerca di una vita migliore.
L’immagine di un paese che lucra e sfrutta chi riesce a superare la frontiera, quella lunga linea di nulla nel blu del Mediterraneo.

Ascolta la diretta con Alberto

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Taser. Non letale? 864 morti!

topics_tasers_395Negli Stati Uniti e in Canada, dal 2001, quando venne dato in dotazione alla polizia, la pistola Taser ha fatto 864 morti. Nel 90 per cento dei casi le vittime erano disarmate. Gli studi medici a disposizione sono concordi nel ritenere che l’uso delle pistole elettriche abbia avuto conseguenze mortali su soggetti con disturbi cardiaci o le cui funzioni, nel momento in cui erano stati colpiti dalla Taser, erano compromesse da alcool o droga o, ancora, erano sotto sforzo, ad esempio al termine di una colluttazione o di una corsa. Altro fattore di preoccupazione è la facilità con cui la Taser può rilasciare scariche multiple, che possono danneggiare anche irreversibilmente il cuore o il sistema respiratorio.
Nedl 2007 l’ONU ha equiparato il Taser ad una forma di tortura.

In almeno sei casi mortali, i Taser sono stati utilizzati su persone che avevano problemi di salute in fase acuta, tra cui un medico che aveva avuto un incidente con la propria automobile, andata distrutta, nel corso di una crisi epilettica. È morto dopo essere stato ripetutamente colpito da un taser sul ciglio della strada dove, stordito e confuso, non riusciva a obbedire ai comandi di un agente[.

A Miami Beach, l’ 8 agosto 2013,  un ragazzo di 18 anni è morto dopo essere stato colpito con una pistola Taser da un agente che cercava di arrestarlo perché stava disegnando dei graffiti sul muro di un fast food abbandonato.
Come funziona il Taser?
Continued…

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Siamo tutti Chiara, Claudio, Mattia, Nicolò

no tav liberi tutti14 maggio 2013. Un gruppo di No Tav compie un’azione di sabotaggio al cantiere di Chiomonte.
Quella notte venne danneggiato un compressore. Un’azione di lotta non violenta che il movimento No Tav assunse come propria. Un’azione come tante in questi lunghi anni di lotta contro l’occupazione militare, contro l’imposizione violenta di un’opera inutile e dannosa.

Il cantiere/fortezza è ferita inferta alla montagna, un enorme cancro che ha inghiottito alberi e prati, che si mangia ogni giorno la nostra salute. In questo paesaggio di guerra ci sono gli stessi soldati che occupano l’Afganistan. Un compressore bruciato è poco più di un sogno, il sogno di Davide che abbatte Golia, il sogno che la nostra lotta vuole realizzare.

Il 9 dicembre del 2013 vengono arrestati Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò. Quattro di noi.
Nonostante non sia stato ferito nessuno, sono imputati di attentato con finalità di terrorismo sono accusati di aver tentato di colpire gli operai del cantiere e i militari di guardia.

Ai nostri quattro compagni di lotta viene applicato il carcere duro, in condizioni di isolamento totale o parziale, sono trasferiti in carceri lontane. Volevano rendere difficili le visite, volevano isolarli ma non ci sono riusciti. Noi andiamo e torniamo insieme: non lasciamo indietro nessuno.
Nonostante la Cassazione abbia smontato l’impianto accusatorio della Procura di Torino, negando che i fatti del 14 maggio possano giustificare l’utilizzo dell’articolo 270 sexies, che definisce la “finalità di terrorismo”, il processo va avanti. In novembre dovrebbe essere pronunciata la sentenza.

Decine di migliaia di No Tav, sin dai primi giorni dopo gli arresti, hanno detto: “quella notte in Clarea c’ero anch’io”. Il 22 febbraio e il 10 maggio si sono svolte le manifestazioni più importanti, ma non è mancato giorno in cui non vi sia stata un’iniziativa di solidarietà attiva.

Il 24 settembre in aula bunker Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, per la prima volta dall’inizio del processo, hanno preso la parola, dicendo che quella notte, la notte del 14 maggio 2013, c’erano anche loro.
Le loro parole, pronunciate con fierezza di fronte a chi li ha rinchiusi in una gabbia da quasi un anno, sono le nostre parole, i nostri sentimenti, la nostra stessa strada.
Movimento No Tav

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I ladri di bambini

romE’ una tranquilla domenica di settembre. A Borgaro, paese dell’hinterland torinese, c’é la fiera. A questa fiera c’é anche un ragazzo di trentunanni con il suo bambino e un amichetto. Il padre di distrae un attimo. In quell’attimo i due bambini sono spariti tra la folla, inghiottiti. L’uomo li cerca ma non li trova. Ha paura: teme il giudizio della gente, teme di essere accusato di non essere un  bravo genitore. Si inventa una bugia, una grossa bugia: sostiene che un uomo aveva tentato di rapire i due piccoli ma lui era arrivato in tempo.
Poteva bastare. Invece no. Per rendere più credibile la propria storia racconta il rapitore è un rom. Non pago di questa menzogna razzista, indica senza timore la foto segnaletica di un uomo nell’album della polizia.
Peccato che quell’uomo fosse in galera. Una “fortuna” per lui e per tutti i rom di Torino. Sui social network la canea razzista stava già suonando la grancassa, già si sentiva odore di benzina.
Questa volta è andata meglio di tre anni fa. Nel dicembre del 2011 una ragazzina racconta un bugia, uno stupro mai avvenuto, punta il dito su due rom, i rom che vivono in baracche fatiscenti tra le rovine della cascina della Continassa.
In questa bugia è il nocciolo di un male profondo. Una famiglia ossessionata dalla verginità della figlia sedicenne, al punto di sottoporla a continue visite ginecologiche, incarna un retaggio patriarcale che stritola la vita di una ragazza. Lei, per timore dei suoi, indica nel rom, brutto, sporco, puzzolente, con una cicatrice sul viso l’inevitabile colpevole.
L’allora segretaria dei Democratici torinesi, Brangantini, prese le distanze dal corteo indetto per “ripulire” la Continassa, ma quella sera sfilava in prima fila. Con lei c’era tanta “brava gente” accecata dall’odio razzista.
All’arrivo dei vigili del fuoco la folla inferocita li fermò a lungo. Ci impiegarono tutta la notte a spegnere le fiamme.
Nonostante questa volta la bugia sia stata smascherata in tempo, il campo di strada dell’aeroporto e, a ruota, gli altri, sono stati comunque perquisiti da polizia, carabinieri, vigili urbani. “Un intervento programmato da tempo” è stata la foglia di fico della Questura.

La potenza dello stigma razzista è tale che le perquisizioni partono anche se non è successo niente. Quando si punta il dito su un intero popolo, quando tutti sono colpevoli per il solo fatto di esistere, la possibilità del pogrom, della pulizia etnica, dello sterminio è sempre alle porte.
Il fatto sconcertante è il radicamento di un pregiudizio assolutamente falso. Nel nostro paese nessun rom, nessun sinto sono mai stati condannati per aver rapito un bambino. Ma sono stati accusati un’infinità di volte. Non c’è rom che sia in Italia da qualche anno che non sia stato costretto ad un esame del DNA per dimostrare che i suoi figli sono proprio i suoi. Ogni volta che un bimbo o una bimba troppo biondi vengono visti in un campo c’é sempre qualche brava persona che li segnala alla polizia.
Mai è successo che gli ossessivi controlli abbiano dato ragione ai pregiudizi infamanti sui rom.
Tra i rom è invece diffuso il timore di vedersi sottratti i figli da qualche assistente sociale convinta che i poveri, specie se rom, non possano avere figli. Così lo Stato sottrae i bambini ai genitori e li chiude in istituti.
Nel 700′ in Austria venne emanata una legge che prescriveva ai cittadini dell’impero di prendere in casa un bambino rom, di imporgli la propria lingua, il proprio stile di vita, per farne un piccolo austriaco.
A proposito di ladri di bambini…

Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Paolo Finzi della redazione di A, curatore del DVD e libretto “A forza di essere vento” dedicato allo sterminio nazista di rom e sinti.

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Rojava. La resistenza di Kawa contro Dehak

kobaneKawa e Dehak sono figure della mitologia curda e persiana. Secondo la tradizione curda il fabbro Kawa guidò una sollevazione contro la lunga e sanguinaria tirannia di Dehak, uccidendo il tiranno e riportando in Kurdistan la primavera. Il mito del ritorno della primavera e della morte del tiranno è alla base del Newroz, la festività iranica che per i curdi è divenuta un simbolo di libertà.

Le truppe dell’IS sono alle porte di Kobane. A Kobane, uno dei tre cantoni in cui è diviso il Rojava, la parte del Kurdistan che si trova in territorio siriano, si sono concentrati gli sforzi militari delle milizie di autodifesta popolare che si oppongono all’espansione dell’IS sin dal 2012.
Le frontiere con la Turchia sono serrate dal governo turco, che impedisce ai miliziani del PKK di entrare in Siria, e ai profughi dal Rojava di trovare scampo alla guerra. Parimenti Erdogan impedisce il passaggio a chi vuole tornare in Rojava per riprendere la lotta.
In numerosi punti la frontiera è stata forzata, anche grazie alla solidarietà dell’opposizione sociale e politica turca come gli anarchici del DAF.
Kobane è uno dei tre cantoni del Rojava (Kurdistan occidentale e settentrionale). Nel novembre 2013 la regione ha dichiarato la propria autonomia varando una costituzione democratica che prevede la partecipazione di tutti i gruppi etnici e religiosi.
I curdi siriani del KNK – un partito vicino alle posizioni del PKK turco – hanno provato a costruire un percorso di autonomia e autodifesa dei villaggi nel segno del federalismo transnazionale ed internazionalista. Il prezzo è stato durissimo, perché sono stati sotto l’attacco sia del regime baathista sia delle diverse componenti islamiste, foraggiate da Arabia Saudita, Quatar e Turchia.
Nel Kurdistan siriano la rivolta popolare contro il regime ha aperto la strada ad un rapido cambiamento della situazione. La guerra civile in la Siria è stata per buona parte delle popolazioni del Rojava occasione di una sperimentazione di autonomia, ispirata al municipalismo libertario, con assemblee che garantiscono la partecipazione popolare.
Le “assemblee popolari” in varie città e le “case del popolo” in ogni distretto (in cui sono presenti anche minoranze armene, cecene, arabe, caldee, turcomanne) mirano a rinforzare percorsi di libertà femminile che spesso si scontrano con una cultura misogina. Nelle strutture di base e nelle milizie le donne hanno un ruolo che comincia ad emanciparle dal patriarcato.
Le milizie del Rojava non difendono solo un territorio e le persone che ci vivono ma una sperimentazione politica e sociale.
La creazione di strutture di autogoverno nel Rojava rappresenta un’alternativa per l’intero Medio Oriente, un modo per sorpassare le strutture nazionaliste, religiose, fondamentaliste, patriarcali e capitaliste.
Il Rojava è una spina nel fianco non solo per gruppi come Al Qaeda, Jubaht al Nusra e lo Stato Islamico, ma anche altre forze regionali e internazionali. Numerose notizie confermano che la Turchia invia su rotaia equipaggiamenti militari all’ISIS attraverso il confine con la Siria.
Non è la prima volta che la Turchia appoggia l’ISIS contro il Rojava. Il sostegno del governo turco guidato dall’AKP, che ha progressivamente aumentato la presenza militare sul confine con Kobane, è alla luce del sole.
La Turchia, che pure fa parte della NATO, nonostante la giravolta di Stati Uniti, Gran Bretagna e Arabia Saudita, continua a sostenere l’IS. Sui quotidiani main stream come La Stampa filtra la notizia che i bombardamenti statunitensi e britannici contro l’IS non abbiano toccato la regione di Kobane, dove le milizie popolari stanno combattendo una durissima battaglia per la sopravvivenza.
Più che legittimo è il dubbio, che per i miliziani del Rojava è più di una certezza, che Stati Uniti, Gran Bretagna e Turchia stiano lasciando fare l’IS, per togliere di mezzo l’unica alternativa laica, femminista, internazionalista, anticapitalista nella regione.
Il mastino Al Baghdadi continua, nonostante tutto, a fare comodo.
Vogliamo provare a raccontarvi una storia che emerge solo a sprazzi sui principali media.

Ascolta l’intervista dell’info di Blackout a Daniele Pepino, un compagno che conosce bene il percorso di libertà del Rojava.

 

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La discarica sociale del rottamatore

soldi“Quando la Cgil sarà in piazza, il 25 ottobre, noi saremo a fare la Leopolda. Ci hanno anche risolto il problema di chi ci fa la manifestazione contro”, ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Poi ancora: “Ho grande rispetto per i sindacati ma dove erano negli anni in cui i diritti dei ragazzi venivano cancellati?”. In queste battute il senso dell’operazione di Renzi, che punta a contrapporre le aspirazioni ad un posto di lavoro dell’esercito dei giovani disoccupati ai risicati diritti di chi un lavoro ce l’ha. Lo scambio tra lavoro e diritti si fonda su uno slittamento semantico cruciale: l’equiparare i diritti e le tutele a privilegi delle vecchie generazioni.
Questo il passpartout che usa il primo ministro per disegnare un quadro di precarietà a vita e di costante ricattabilità per chi per vivere deve lavorare.
Il rottamatore è in linea con la politica perseguita dal Partito Democratico – e dal sindacato di Stato – negli ultimi vent’anni. Che il suo partito, sin dai tempi di Tiziano Treu e della legge Biagi, sia stato in prima fila nel costruire l’apparato legislativo che fa della precarietà la norma non pare turbare più di tanto il primo ministro, che d’altra parte si guarda bene dal mettere mano alla riforma Fornero, senza la quale ci sarebbero un mucchio di poveri pensionati in più e un mucchio di giovani lavoratori precari al loro posto.
I dati forniti dall’Istat sono impietosi. Stiamo attraversando la crisi più grave dal dopoguerra e non si scorgono vie d’uscita: il 44% dei giovani è disoccupato. Un record. Più di 88 mila ragazzi sotto i 25 anni hanno perso il lavoro nell’ultimo anno. Negli ultimi sette anni sono stati bruciati un milione di posti di lavoro, il potere d’acquisto dei salari continua a calare mentre le retribuzioni sono ferme: il premier fa il gioco delle tre carte e annuncia il tfr in busta e tassato. Il ministro Padoan rinvia il pareggio di bilancio al 2017.

Ascolta la diretta
dell’info di Blackout con Francesco Carlizza.

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Ucraina. Il grande gioco tra gas, fascisti e preti

gas-ucrainaQuella che si sta combattendo in Ucraina non è solo una guerra civile, le forze coinvolte più o meno formalmente e gli interessi in ballo nel conflitto ci mostrano che la partita si gioca su un piano molto più complesso. Allo scontro interno alla classe dirigente ucraina infatti si sovrappone la contesa tra le potenze imperialiste.
Per capirlo non c’è bisogno di ascoltare i deliri e le minacce del potente di turno, che sia Tusk, Putin o Poroshenko. Continued…

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Il califfo i Saud gli Stati Uniti

Barack Obama, King AbdullahIl quotidiano “La Stampa” di mercoledì 24 settembre ha pubblicato le dichiarazioni di alcuni esponenti dell’opposione laica al regime di Bashar el Assad. Prevalevano i dubbi e le incertezze. Gli Stati Uniti un anno fa parevano sul punto di bombardare Assad: non lo fecero perché il maggior sponsor del regime siriano, la Russia di Putin, si mise di mezzo. Obama fece marcia indietro, dopo aver incassato il misero contentino della distruzione dell’arsenale chimico siriano.
Un segno, tra i tanti, che gli Stati Uniti non potevano più fare il bello e il cattivo tempo nell’area. D’altra parte due guerre vinte sul piano militare e perse clamorosamente su quello politico non sono uno smacco da poco per la più grande potenza militare del pianeta. I fallimenti in Iraq e Afganistan pesano come macigni.
Ad un anno dalla ritirata sulla Siria, gli Stati Uniti hanno promosso una coalizione per attaccare l’Is, il califfato islamico fondato a cavallo tra la Siria e l’Iraq da una delle formazioni che Arabia Saudita e Stati Uniti avevano foraggiato per combattere Assad. Un vero capovolgimento di fronte. Il governo siriano ha dato il proprio silenzio/assenso e, con ogni probabilità, anche Mosca ha dato il nulla osta.
Come in Afganistan gli Stati Uniti devono fronteggiare con le armi formazioni che ne hanno incassato l’appoggio ma poi hanno perseguito il propri scopi, rafforzandosi ed autonomizzandosi nell’area.
Oggi il Califfo Al Baghdadi esige tasse e controlla risorse petrolifere sufficienti a garantirgli di poter agire in proprio.
Anche la dinastia Saud, sponsor dell’Isis e di altre formazioni della galassia del radicalismo sunnita, vede ombre sul proprio dominio nell’area e – sia pure senza troppo impegno si schiera contro l’alleato di ieri.
La partita è ben lungi dall’essere chiusa e gli alleati di oggi possono essere i nemici di domani. Continued…

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Grecia. Un anno dall’assassinio di Pavlos: manifestazioni, scontri, arresti

Graffiti-for-Pavlos-Fyssas-4-940x500E’ trascorso un anno dall’assassinio di Pavlos Fyssas, rapper antifascista ucciso da una squadraccia di Crisi Arghì – Alba Dorata – la formazione neonazista greca distintasi per aggressioni ad immigrati e oppositori politici.
L’uccisione di Fyssas rappresentò una sorta di spartiacque, perché per la prima volta cadeva sotto i colpi dei nazisti un greco.
Mancavano pochi mesi alle elezioni e Nea Democrazia, il partito di centro destra alla guida del governo con i socialdemocratici del Pasok, temeva la concorrenza di Crisi Arghì. Scattò una durissima operazione di polizia, che decapitò l’organizzazione, incarcerandone i capi. La manovra non riuscì perché il responso delle urne raddoppiò i consensi dei fascisti.
Ad un anno dall’assassinio di Fyssas, Killah P., si sono svolte imponenti manifestazioni in tutta la Grecia. La manifestazione più importante si è tenuta il 18 settembre a Keratsini, il sobborgo ateniese dove venne ucciso il rapper, in cui ricordo è stata posta una stele.
La manifestazione è stata duramente attaccata dalla polizia, che ha mirato soprattutto al blocco anarchico.
Numerosi i feriti anche gravi e 64 gli arresti. Il 21 settembre 61 sono stati liberati in attesa di processo, altri tre sono ancora in carcere.

Sul fronte sociale in queste settimane è scattato un braccio di ferro tra dipendenti statali e governo contro i licenziamenti imposti dalla trojka.

Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Gheorgos, del gruppo dei comunisti anarchici di Atene.

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Affari e ginnastica: buona scuola di Renzi

skuolaRenzi gioca alle tre carte con gli insegnanti. Su un tavolo ci sono 150.000 precari a vita, dall’altro i docenti “anziani” di ruolo. La guerra tra le generazioni è lo sport preferito dal primo ministro democratico. Renzi è abile: in una società anziana ma giovanilista, strizza l’occhio ai precari che non chiedono che essere assunti, descrive gli insegnanti in ruolo come una casta privilegiata ed il gioco è fatto.
Se la dovessimo descrivere in pillole la “buona scuola” disegnata dal testo diffuso in settembre da Renzi è tutta qua.
I fatti sono invece altri. I centomila precari che sarebbero dovuti entrare in ruolo quest’autunno restano precari sino all’anno prossimo, quando Renzi ha promesso che le assunzioni riguarderanno almeno 150.000 persone.
In cambio si tagliano gli scatti d’anzianità, rendendo definitivo il blocco degli stipendi ed introducendo gli scatti su base meritocratica.
Nella scuola non ci saranno più precari, ma gli insegnanti saranno sempre più poveri e ricattabili. Continued…

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Disertare la guerra

2014 09 20 antimili irreali (00)Un sole estivo per una bella giornata d’autunno ha accolto gli antimilitaristi che si sono incontrati ai giardini (ir)reali per la giornata dei “Senzapatria”. Banchetti informativi, tanti striscioni, cibo e bevande, un’assemblea e, in serata, il concerto dei Fasti e degli N.N. sono stati gli ingredienti di un’iniziativa che ha avuto il suo fulcro nel confronto sull’urgenza di un’azione antimilitarista diffusa sui territori, che sappia inceppare il motore del militarismo.
Non basta opporsi alle guerre, occorne individuarne la radici per estirparle, nella consapevolezza che sempre più impalpabile è il confine tra la guerra esterna e quella interna, tra guerra e ordine pubblico, tra operazioni “umanitarie” e repressione delle insorgenze sociali.
Nell’assemblea svoltasi nel pomeriggio i vari interventi hanno messo in luce l’intima connessione semantica e materiale di un’agire politico che fa della guerra – quella interna non meno di quella esterna – l’orizzonte “normale” della nostra epoca.
Dall’assemblea è scaturita la necessità di infittire il lavoro informativo e, nel contempo, moltiplicare le iniziative di contrasto della militarizzazione, che si concreta nella presenza dei militari per le nostre strade, nei CIE, nei quartieri popolari, nelle discariche, a Chiomonte come a Kabul. Gli stessi interventi di riqualificazione urbana si sostanziano nell’espulsione violenta dei soggetti considerati indesiderabili. Primi tra tutti i poveri, gli oppositori sociali, coloro che rifiutano il feticcio della proprietà privata, che si oppongono alla trasformazione dei luoghi pubblici in posti dove ogni forma di socialità è mediata dal denaro.
Un terreno di lotta importante è quello contro le fabbriche di armi, che hanno nella nostra Regione numerose eccellenze, come gli stabilimenti Alenia di Torino e Caselle o la fabbrica di Cameri. Qui si fabbricano gli eurofighetr, là si assemblano gli F35.
La propaganda di guerra il prossimo mese di alimenterà delle celebrazioni per il centesimo anniversario della “vittoria” nella Prima Guerra mondiale.
Il mese di ottobre sarà occasione per moltiplicare le iniziative antimilitariste sul nostro territorio, con proiezioni, serate informative, azioni di lotta. Le giornate dal 1 al 4 novembre ne saranno il fulcro. Il primo novembre ci sarà la giornata dei disertori.

Di seguito alcune immagini della giornata: Continued…

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Sabotaggio No Tav. Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò: “io c’ero”

no tav bandiera terrostato14 maggio 2013. Un gruppo di No Tav compie un’azione di sabotaggio al cantiere di Chiomonte.
Quella notte venne danneggiato un compressore. Un’azione di lotta non violenta che il movimento No Tav assunse come propria.
Il 9 dicembre del 2013 vengono arrestati Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò .

Nonostante non sia stato ferito nessuno, gli attivisti sono accusati di attentato con finalità di terrorismo e di aver tentato di colpire gli operai del cantiere e i militari di guardia.
Ai quattro No Tav viene applicato il carcere duro, in condizioni di isolamento totale o parziale, sono trasferiti in carceri lontane per rendere più difficili le visite.
I riti di un potere sciolto da qualunque vincolo divengono un monito per tutti coloro che li appoggiano e potrebbero seguirne l’esempio.

La Cassazione ha smontato l’impianto accusatorio della Procura di Torino, negando che i fatti del 14 maggio possano giustificare l’utilizzo dell’articolo 270 sexies, che definisce la “finalità di terrorismo”. Le motivazioni vengono rese note il 27 giugno.

Il pronunciamento della Cassazione cancella solo la sentenza del riesame che dovrà rivalutare la posizione dei quattro No Tav il prossimo 6 ottobre.
Nel frattempo nell’aula bunker delle Vallette il processo va avanti.

Decine di migliaia di No Tav, sin dai primi giorni dopo gli arresti, hanno detto: “quella notte in Clarea c’ero anch’io”. Il 22 febbraio e il 10 maggio si sono svolte le manifestazioni più importanti, non è mancato giorno in cui non vi sia stata un’iniziativa di solidarietà attiva ai quattro No Tav.
Oggi in aula bunker Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, per la prima volta dall’inizio del processo, hanno preso la parola, dicendo che quella notte, la notte del 14 maggio 2013, c’erano anche loro.

Radio Blackout ha ricevuto le registrazioni delle loro dichiarazioni.

Claudio

Chiara

Nicolò

Mattia

Aggiornamento al 25 settembre

Ascolta qui l’intervista dell’info di Blackout con Eugenio Losco, uno degli avvocati del collegio difensivo, dei quattro No Tav.

Di seguito la trascrizione delle dichiarazione dei quattro attivisti No Tav. Continued…

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