Il primo agosto si è svolto un presidio No F35 a Cameri, di fronte all’ingresso dello stabilimento, dove sono in fase di assemblaggio 6 (forse 8) F35, i cacciabombardieri “invisibili” prodotti dalla statunitense Loockeed Martin, in joint venture con l’italiana Alenia che fornisce i cassoni alari.
Un segnale del movimento No F35, che lungi dall’essersi rassegnato, continua la propria lotta per la chiusura dello stabilimento novarese e di tutte le fabbriche di morte.
L’info di blackout ne ha parlato con Domenico, antimilitarista novarese in prima fila nella lotta. un’occasione per fare il punto sull’acquisto dei bombardieri, sulla necessità di creare una rete di mutuo appoggio, che si dia nella concretezza della lotta.
No F35. Un business esplosivo
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– 6 Agosto 2014
Calcidica. Campeggio contro le miniere d’oro
La lotta contro l’estrazione dell’oro nella penisola calcidica dura da molti anni. Ha avuto nuovo impulso con la decisione di aprire una cava a cielo aperto, dall’impatto ambientale molto forte.
É cominciata dal bosco di Skouriés l’attuazione del progetto della Ellenikos Xrisos Spa, impresa di estrazione mineraria appartenente per il 95% alla multinazionale canadese Eldorado Gold e per il 5% all’industriale greco Bobola.
Al movimento di resistenza ha partecipato buona parte della popolazione locale. Uomini, donne, giovani ed anziani hanno preso parte alle manifestazioni in montagna di avvicinamento al cantiere, ignorate dai media e brutalmente represse dalla polizia. Caccia all’uomo per i boschi e i lacrimogeni ci ricordano gli scenari della lotta al Tav.
Il 17 febbraio dello scorso anno una cinquantina persone a volto coperto ha attaccato, dandogli fuoco, il cantiere di Skouriés e tutti i mezzi e le attrezzature della ditta.
Dopo la demolizione del cantiere si è aperta una spietata caccia all’uomo con l’unico scopo di abbattere il morale di tutti gli abitanti che si oppongono al progetto. Il giorno successivo decine di persone vennero portate in questura, prelevate da casa, nei locali, per strada. Altri vennero trattenuti con l’accusa di essere i mandanti morali dell’azione.
Le indagini non approdarono a nulla. Il 7 marzo del 2013 le forze dell’”ordine” sono passate alla rappresaglia. A Ierissòs – una cittadina di 3.000 abitanti dove tutti sono contro le miniere con il pretesto di interrogare cinque persone e di perquisirne le abitazioni diversi plotoni di celere e squadre antiterrorismo armate di tutto punto fecero irruzione nel paese nel tentativo di occuparlo militarmente. La gente fece una barricata all’ingresso del paese. A suon di lacrimogeni il paese venne messo in stato di assedio e di terrore: la polizia entrò nelle case sfondando le porte, sotto gli occhi dei bambini, nel passaggio gasarono un liceo durante le ore di lezione, mandando diverse persone all’ospedale.
La repressione è stata durissima.
Nei mesi seguenti i lavori per allestire la miniera sono andati avanti. Quasi ultimata è la strada di collegamento tra Skouries e Megali Panaghia.
I comitati popolari hanno deciso di fare un campeggio resistente tra il 22 e il 31 agosto.
Il campeggio si terrà in montagna, non lontano dal cantiere. Sarà un’iniziativa di confronto sui temi della “crescita” e della repressione. Sono stati invitati esponenti delle lotte contro le miniere in Europa e attivisti di altri movimenti contro le grandi opere e la devastazione ambientale.
Sarà anche un campeggio di lotta. L’intento esplicito è quello di riuscire a bloccare il cantiere.
L’info di Blackout ne ha parlato con Jannis, un compagno di Megali Panaghia.
Posted in ambiente, Inform/Azioni, internazionale.
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– 31 Luglio 2014
Tav. Polveri sottili, repressione pesante
Il limite delle polveri sottili in Clarea è stato più volte traforato. I dati, che l’Arpa rende noti in maniera lacunosa, sono però molto chiari: la salute di noi tutti è in pericolo.
I No Tav, attenti nel monitorare i danni ambientali provocati dal cantiere del tunnel geognostico in Clarea, stanno facendo un attento lavoro di informazione.
Venerdì a Giaglione si terrà una serata informativa sulle polveri.
L’info di Blackout ne ha parlato con Claudio Cancelli, del Politecnico di Torino, tra i primi a denunciare i rischi di un’opera che i governi definiscono “strategica”, continuando a pigiare il pedale dello sviluppo, nonostante tutti i dati dimostrino l’inutilità della Torino Lyon.
Cancelli, che è uomo curioso, ha fatto una ricerca per capire in che senso il Tav in Val Susa fosse strategico ed ha fatto la scoperta interessante che la natura “strategica” del grande tunnel degli affari è stata decisa dal ministero degli Interni, ossia dall’apparato repressivo dello Stato.
Dall’analisi delle polveri, dalla certa presenza di rocce di amianto e uranio, l’intervista si è spostata sull’incrudirsi della pressione disciplinare, sulla crescita dei poteri dell’esecutivo, sulla subordinazione di buona parte dei media e degli intellettuali alla narrazione dominante sulle grandi opere e sui “comitatini” (l’espressione è di Matteo Renzi) che vi si oppongono.
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– 31 Luglio 2014
Serravalle. Resistenza agli espropri
Mercoledì 3o luglio. Centinaia di persone per tutto il giorno sono state per le strade di Arquata, Serravalle e Pozzolo per provare ad impedire la realizzazione degli espropri preliminari alla realizzazione del Terzo Valico.
E’ stata una lunga giornata di lotta. I No Tav No Terzo Valico sin dalle prime ore dell’alba hanno dato vita a tre presidi, nelle zone dove i proprietari delle case avevano deciso di resistere. Imponente la presenza delle forze dell’ordine in assetto antisommossa.
Intorno alle 8,30 polizia e carabinieri hanno chiuso la strada provinciale che collega Serravalle ed Arquata: dai blindati sono scesi un centinaio di agenti in assetto antisommossa. I No Tav hanno protetto con una catena umana i terreni che il Cociv voleva espropriare. Polizia e Carabinieri sono avanzati e hanno incominciato a spingere con gli scudi.
Poi un rappresentante del Cociv ha dichiarato di aver eseguito l’esproprio, perché aveva scattato da lontano una foto della casa protetto da un nugolo di poliziotti.
Dopo questa farsa gli attivisti si sono diretti nel bosco di via Moriassi fra Serravalle e Arquata dove erano previsti altri espropri.
Qui sono state erette barricate di tronchi e sterpaglie. La polizia, dopo aver rimosso la barricata ha caricato e sparato lacrimogeni.
Dopo la prima carica i No Tav si sono ricompattati continuando ad impedire l’accesso ai terreni. Sono continuati i lanci di lacrimogeni e ci sono state altre cariche ma polizia e Cociv non sono riusciti a raggiungere i terreni. La solita foto da distante e si sono dileguati. Lo stesso copione si è poi ripetuto a Moriassi all’imbocco della strada per Radimero e alla Crenna dove la polizia ha nuovamente caricato e manganellato. L’unico esproprio che sono riusciti ad eseguire secondo le procedure di legge è quello previsto a Pozzolo dove le forze dell’ordine che hanno bloccato nuovamente la strada provinciale impedendo alla maggioranza degli esponenti dei comitati di raggiungere l’area.
Numerosi manifestanti sono stati feriti durante le cariche nel bosco di Moriassi: un ragazzo ha un taglio alla testa, le ambulanze hanno medicato un anziano colpito da manganellate e calci, ed altri feriti più lievi.
La resistenza continua. In serata un’assemblea ha deciso una fiaccolata ad Arquata per domenica 3 agosto.
L’info di Blackout ha realizzato tre dirette con Salvatore, attivista No Terzo valico.
Posted in ambiente, Inform/Azioni, no tav.
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– 31 Luglio 2014
Cronache Valsusine. La marcia No Tav
A giugno la marcia No Tav da Avigliana a Chiomonte era poco più di un’idea, un’idea semplice ma nuova. Il movimento l’ha organizzata in meno di un mese: una boccata di aria fresca dopo tanto tempo.
Dopo quattro estati passate tra Chiomonte e Venaus, attraversare la valle da est a ovest con una marcia che toccasse i luoghi della lotta, i presidi, i paesi, incontrando la gente nei mercati e per le strade era un’ipotesi che ha raccolto un’adesione immediata di tanti uomini e donne del movimento.
Un’occasione per scambiarsi idee, confrontarci sui prossimi orizzonti di lotta, spezzare l’incantesimo della Clarea, il luogo scelto dallo Stato per di-mostrare tutta la propria forza. Un posto lontano dal paese, imprigionato dentro un perimetro militarizzato ben più ampio del cantiere, un luogo dove il sondaggio vero è un sondaggio politico sulla resistenza del movimento. Lì i No Tav hanno scritto pagine importanti della loro storia di resistenza, lì hanno anche toccato il limite di un agire concentrato solo tra le fortificazioni e i boschi di Clarea. La scelta di allargare il perimetro della lotta, sin dall’occupazione dell’autostrada del dicembre del 2011, ha dimostrato le potenzialità dell’azione diretta popolare. Lì siamo tornati anche quest’anno dopo aver attraversato la valle. Lungo il cammino, tra un pranzo condiviso e una serata di approfondimento sono state fatte azioni dirette facili ma radicali nell’investire il dispositivo del cantiere, le ditte collaborazioniste, l’occupazione militare nel suo complesso.
Giovedì 17 luglio. Serata inaugurale in piazza del Popolo ad Avigliana: tanti banchetti, interventi e la musica di Alessio Lega e della Ice Eyes band hanno dato il la al campeggio itinerante.
Venerdì 18 luglio. Primo giorno di marcia: si segue la ciclabile sino a Sant’Ambrogio e poi di lì sino all’ingresso della cava della famiglia Toro. Giovanni Toro è stato di recente arrestato per ‘ndrangheta. Con lo smarino ci faceva il cemento che è servito per la strada nel cantiere di Chiomonte. L’impresa di Toro, nonostante fosse priva di certificato antimafia, ha lavorato in Clarea sin dall’autunno del 2011.
Sul muro di cinta è stata tracciata una grande scritta “Via gli avvelenatori dai territori”. Il cancello di ingresso è stato chiuso da una grossa catena.
In serata assemblea, video e cena offerta dal presidio di Vaie.
L’assemblea si è tenuta sulle fondamenta del nuovo presidio, che presto prenderà il posto di quello bruciato dai Si Tav lo scorso 11 novembre. Lo stesso giorno era morto Pasquale, un No Tav la cui forza e generosità non verrà dimenticata.
Sabato 19 luglio. La marcia arriva a Sant’Antonino. Il sabato è giorno di mercato: banchetti, volantini e interventi. Si prosegue per Villarfocchiardo, dove ai giardini De André il comitato del paese ha preparato il pranzo. Nel tardo pomeriggio si arriva nel piazzale del vecchio autoporto di San Didero, dove vogliono spostare l’autoporto di Susa per fare spazio al cantiere dell’alta velocità. Dopo una breve sosta al presidio, l’assemblea e un approfondimento sulla guerra in Medio Oreinte, la pioggia ci obbliga a spostarci al Polivalente di San Didero, che sarà il nostro rifugio per due sere consecutive.
Cena trentina dei No Tav/Kein BBT per finanziare l’acquisto di terreni nelle zone dove vogliono costruire la nuova linea ad alta velocità sino al Brennero.
La serata è dedicata all’incontro con gli esponenti dei movimenti che lottano contro la devastazione dei territori, la predazione delle risorse e il militarismo.
Un’assemblea molto densa, in cui si incrociano i No Tav di Trieste e del Carso che hanno vinto la loro battaglia, quelli del terzo valico che resistono agli espropri e alla repressione, i No Muos, che nonostante le antenne siano state montate, hanno lanciato una settimana di campeggio e una manifestazione a Niscemi con il chiaro intento di mettere i bastoni tra le ruote all’esercito statunitense, i No F35 che lottano contro la fabbrica di morte sorta a Cameri, i No expo che cercheranno di inceppare la macchina del mega affare. Non poteva mancare un intervento dei No Tav piemontesi nella consapevolezza che il mutuo soccorso tra le lotte, il reciproco appoggio, il blocco stradale come la serata informativa, intrecciano fili solidali che gli apparati repressivi e la pressione mediatica faticano a sciogliere.
Domenica 20 luglio. Un folto gruppo di No Tav provenienti dal presidio di San Didero, hanno allungato le loro bandiere sui binari. Quando la notizia è arrivata ai responsabili della linea il TGV è stato fermato in alta valle. Come sempre sono stati fatti passare i treni locali.
Il TGV ha accumulato 90 minuti di ritardo. Un piccolo gesto di solidarietà concreta con i tre ferrovieri morti il 17 luglio nei pressi della stazione di Butera, lungo la linea Gela Licata.
I tre, tutti operai anziani ed esperti sono stati travolti da uno dei sei treni che percorrono questa linea lasciata a seccare in attesa della chiusura.
Un incidente? No. Un omicidio di Stato.
I responsabili sono tutti i governi che negli ultimi vent’anni hanno investito nell’alta velocità, tagliando ogni investimento per la manutenzione delle linee, per il personale, per la sicurezza di tutti.
A mezzogiorno pranzo offerto dai No Tav del presidio di San Didero, che in serata verranno sostituiti dai “ragazzi” di Borgone. Nel pomeriggio gita culturale al Maometto e, come ogni giorno, assemblea. In serata i più raffinati hanno gustato l’ironia “sottile” di Filippo.
Lunedì 21 luglio. La marcia arriva a Bussoleno. Nel pomeriggio, dopo l’assemblea quotidiana, musica in piazza, cena offerta dai No Tav del comitato locale e assemblea popolare.
Grande partecipazione nel palaNoTav del paese. La forte solidarietà per i sette No Tav in carcere con l’accusa di terrorismo si è espressa nei calorosi applausi che hanno accolto le lettere di Chiara e Francesco. L’assemblea è stata occasione per un ragionare più ampio sulle prospettive di lotta del movimento in vista dell’avvio dei cantieri in bassa valle.
Martedì 22 luglio. La marcia No Tav raggiunge Susa, passando per Foresto, dove alcuni sindaci ribadiscono la contrarietà all’opera, mentre la maggior parte dei marciatori ascolta Luca Giunti, che illustra il progetto nell’area. Nel pomeriggio la marcia raggiunge il presidio di San Giuliano a Susa, dove viene allestito l’accampamento. Prima della cena offerta dal comitato di Susa Mompantero c’è l’inaugurazione della nuova facciata del Presidio.
Un bel murale su parete mobile con la scritta “Il Sole in un Baleno”. Un momento emozionante, specie per chi, tra i No Tav, era stato amico e compagno dei due anarchici, morti suicidi mentre erano detenuti con l’accusa di associazione sovversiva.
In serata spettacolo teatrale sul carcere e i canti anarchici dell’Anonima Coristi in piazza del Sole nel centro di Susa. Sulla via del ritorno i No Tav fanno un prolungato e rumoroso saluto alle truppe di occupazione ospitate all’hotel Napoleon.
Mercoledì 23 luglio. Alle prime ore dell’alba i No Tav raggiungono le sedi delle ditte Martina e Italcoge, ditte collaborazioniste sin dalla prima ora nell’allestimento del cantiere/fortino della Maddalena.
Un paio d’ore di blocco, una scritta sull’asfalto, slogan e un paio di azioni dirette hanno caratterizzato la giornata di lotta. Un No Tav si è introdotto nel cortile della ditta danneggiando un mezzo, altri anonimi hanno chiuso con una catena l’ingresso.
Dall’alto della piccola altura che sovrasta il centro storico della città è stato appeso uno striscione gigante “No Tav liberi”.
La marcia è poi proseguita alla volta di Venaus, dove c’è stato un veloce blocco dell’autostrada ed ed è stato issato un grande striscione in solidarietà con i tre No Tav arrestati l’11 luglio con l’accusa di aver partecipato all’azione di sabotaggio al cantiere di Clarea il 14 maggio 2013.
Nelle stesse ore, al tribunale di Torino, si svolgeva l’udienza del Riesame, che il giorno successivo ha confermato la detenzione cautelare in carcere per Francesco, Graziano e Lucio.
Giovedì 24 luglio. Giornata di pulizia dei sentieri in Clarea in vista della marcia notturna.
Dopo la consueta assemblea i No Tav raggiungono Giaglione, dove, intorno alle nove e mezza parte la marcia notturna.
Una parte dei No Tav raggiunge il Clarea e fronteggia i poliziotti che bloccano il ponte sino alle undici e mezza, poi si ritirano dopo il sottopasso dell’autostrada, per evitare di restare intrappolati tra le truppe in Clarea e quelle riversate dai blindati al cancello dell’autostrada. Qui più tardi verranno ripetutamente gasati dalla polizia. Il gas si spande anche a Giaglione, dove un presidio No Tav attendeva il ritorno dalla marcia. Un gruppone più grande prende la via dei sentieri alti e riesce a guadare il Clarea nonostante la polizia avesse tolto il ponte di assi. Tra la mezza e l’una e mezza i No Tav offrono uno spettacolo pirotecnico degno di Napoli a Capodanno. Gli uomini e le donne in divisa non gradiscono e sparano lacrimogeni a manetta.
Nel frattempo un altro gruppo di No tav riesce a bloccare l’autostrada in direzione Torino con pneumatici incendiati. I lavori al cantiere vengono bloccati sino alla mattina successiva per ragioni di “ordine pubblico”.
Intorno alle due e mezza tutti ritornano a Giaglione.
Venerdì 25 luglio. Giornata tranquilla, assemblea umida e cena sotto la pioggia battente. Il sindaco apre il salone “8 dicembre” consentendo i due momenti di approfondimento previsti per la serata. Aprono Alfonso e Lorenzo sul nucleare, raccontano dei trasporti di scorie nucleari di ritorno in Italia dopo il riprocessamento a Sellafield e La Hague. In primo piano la costruzione del deposito nazionale delle scorie, la dismissione delle centrali nucleari, nuova frontiera nel business dell’atomo. Si parla dei blocchi dei treni e della necessità di rendere più efficace l’informazione e, quindi, anche le azioni dirette sul territorio. Una questione importante sulla quale bisognerà tornare.
La seconda parte della serata è stata dedicata all’appello di alcuni No Tav tedeschi per giornate di lotta in autunno per l’inaugurazione della nuova sede della BCE a Francoforte.
Un lungo confronto con la partecipazione di tante realtà di lotta europee, dai francesi che si oppongono al nuovo aeroporto di Nostre Dame de Landes, ai catalani di Sants sino a gruppi impegnati nella Patagonia argentina. Difficile la sintesi, perché molti preferivano altri terreni di lotta alla vetrina dei controvertici.
Sabato 26 luglio. Il sole accompagna la marcia popolare dei No Tav da Giaglione a Chiomonte: una lunga camminata su per i sentieri alti, per aggirare il blocco della polizia prima del sottopasso sull’autostrada. C’è la gente delle grandi occasioni, famiglie con bambini ed anziani: passare da lì è vietato, ma nessuno si perde d’animo. Tutti anche quest’anno vogliono dimostrare concretamente che la resistenza non si ferma: gli arresti e le accuse di terrorismo non bloccano un popolo deciso a liberarsi dall’occupazione militare.
Un gruppo di over 50, autonominatosi la “Brigata Pannolone”, decide di fronteggiare la polizia in basso. I jersey vengono aggirati, la polizia si ritira sul ponte, dove il gruppone decide di passare la notte. Turi riesce a guadare il fiume sotto il ponte, ad arrampicarsi oltre il filo spinato e a strappare qualche filo in un’azione di sabotaggio simbolico.
Quando le notizie dalla Clarea arrivano a Chiomonte, i No Tav si dirigono al cancello della centrale per una battitura di solidarietà. Dopo una decina di minuti la Digos ordina di muovere il camion cisterna che colpisce i manifestanti con potenti getti d’acqua. La doccia non dissuade i No Tav: la polizia spara lacrimogeni.
Alla notizia che Turi è stato liberato i No Tav tornano nell’area Gravella e riparte la musica.
Molti raggiungono con cibo e vino la Brigata Pannolone che lascerà la Clarea solo alle 10 del mattino successivo.
Domenica 27 luglio. Il campeggio itinerante si conclude con un’assemblea al presidio di Venaus. Il giudizio di chi interviene è sostanzialmente positivo.
Come non essere d’accordo? Una strada nuova è stata aperta, nella consapevolezza che il percorso sarà ancora accidentato ma, se sapremo moltiplicare la nostra presenza in ogni dove, rendere nuovamente ingovernabile questo territorio è possibile. Dipende da noi, da ciascuno di noi, dalla nostra capacità di metterci in gioco, di gettare manciate di sabbia nel motore di chi devasta e militarizza i nostri territori.
Continueremo a mettere i bastoni tra le ruote di chi ha chiuso tra quattro mura nove di noi.
Senza dimenticare mai quelli che non ci sono più, ma hanno contribuito a lastricare la nostra strada di “cattive” intenzioni.
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– 30 Luglio 2014
La forza dell’erba. Un anno di lotta No Tav
Si torna sempre a dicembre.
In questi anni in Valle è venuta tanta gente. La loro stagione è stata l’estate. Ogni autunno tornano a casa a perpetuare la storia della Valle che resiste. Capita di chiedersi quali immagini, memorie portino con se.
La pasta cucinata nel tendone/cucina del campeggio, il fumo dei lacrimogeni e il respiro che si mozza, i canti di lotta e le urla di chi viene pestato, i sentieri di notte, le assemblee, le battiture. Il tempo sospeso della lotta. Vera vacanza, sospensione della quotidianità, rottura dei suoi ritmi, dei suoi riti, dei suoi obblighi.
Linfa preziosa da tenere da parte per l’inverno.
Per chi resta, per chi c’è sempre stato è diverso: le storie troppo raccontate rischiano di logorarsi. Di logorarci.
I nostri nemici ci fanno conto. Fanno conto sulla ripetizione delle stagioni, mentre la talpa continua a bucare la montagna, spargendo veleni, allargando la ferita.
La ferita nella montagna, che il nostro sguardo e la nostra cura hanno reso più che roccia e acqua e alberi, per farne il simbolo della carne viva del nostro movimento.
Un movimento che fatica a sopportare il peso della speranza che ha rappresentato per tanta gente di ogni dove.
Il rischio è l’usura dei sentimenti, anestesia del tempo che trascorre, il ripetersi dei passi già fatti, dei sentieri che conducono là dove la ferita si allarga.
Continued…
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– 18 Luglio 2014
Califfato di Siria e Iraq e resistenza in Rojava
La proclamazione del califfato nelle regioni controllate dall’Isis in Siria e Iraq, dopo i successi militari delle formazioni quaediste, rappresenta una sfida per tutti coloro che lottano per costruire un’alternativa alle derive confessionali delle primavere arabe, sottraendosi nel contempo al controllo di Stati Uniti e Russia nell’area.
Il percorso intrapreso dalle popolazioni della Siria nord occidentale, il Rojava, zona abitata da curdi ma anche da altre minoranze, un percorso di democrazia radicale, basato sull’eguaglianza e sull’accesso egualitario alle risorse come ai processi decisionali, offre un modello, che l’Isis cerca di annegare nel sangue.
L’info di Blackout ha intervistato Daniele Pepino, attento osservatore delle lotte nelle diverse zone curde tra Siria, Turchia, Iraq e Iran, che ci ha proposto un’analisi politica e sociale, offrendo nel contempo spunti per lo sviluppo di percorsi di solidarietà internazionale.
E’ stata anche occasione per un commento del documento del Forum degli anarchici del Kurdistan dello scorso 18 giugno, di cui vi proponiamo alcuni stralci.
Ascolta qui la diretta con Daniele
La crisi in Iraq risale al regime di Saddam Hussein ed è proseguita con “l’attuale regime democratico” dopo l’invasione del 2003. Non c’era libertà, né giustizia sociale; nessuna uguaglianza e pochissime opportunità per coloro che erano indipendenti dai partiti al potere.
Oltre alle violenze ed alle discriminazioni contro le donne e la gente comune si è creata una forbice enorme tra i ricchi ed i poveri, con i ricchi sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri.
Continued…
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– 11 Luglio 2014
Ucraina. Opposti nazionalismi
La guerra civile nelle regioni orientali dell’Ucraina si sta giocando sulla contrapposizione tra opposti nazionalismi, l’uno con espliciti richiami all’identità ucraina declinata secondo ai canoni tipici dell’estrema destra, l’altro con chiari riferimenti alla resistenza antinazista russa durante la seconda guerra mondiale.
Narrazioni false, utili però a dare forza a legami identitari, che da queste narrazioni traggono la linfa simbolica che giustifica una guerra che si basa su identità escludenti.
In alcuni casi il volersi russi o ucriani non dipende né dalla lingua né dalla cultura, ma da una scelta di campo.
Giacomo, un compagno che fa giornalismo free lance in aree di guerra, ha trovato ospitalità da due giovani ucraini di famiglia e lingua russa, che temono l’autoritarismo putiniano più dei fascisti di Pravi Sector.
Dalla sua testimonianza emerge una realtà più composita e difficile da decodificare di quella presentata dai media main stream italiani.
Ascolta la diretta con Giacomo realizzata dall’info di Blackout
Sullo stesso argomento vale la pena riportare gli stralci più significativi di un articolo di Matteo Tacconi sul Manifesto del 25 giugno:
“Chi sono i ribelli dell’est ucraino? Per Kiev sono terroristi secessionisti manovrati da Mosca, per i media russi forze di autodifesa che resistono ai golpisti della Majdan. Definizioni schematiche di un universo ben più articolato. In linea con lo scenario ucraino nel suo complesso.
Continued…
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– 11 Luglio 2014
Palestina/Israele. L’intifada e le bombe
Poco piu’ di un anno e mezzo dopo l’operazione “Pilastro di Difesa”, Israele non si accontenta dell’ondata di raid aerei in corso da diversi giorni, nome in codice “Confine Protettivo”, si prepara ad un attacco di terra nella Striscia di Gaza, dalla quale nel frattempo continuano a piovere razzi per mano dei miliziani di Hamas.
Il governo di Benjamin Netanyahu ha autorizzato il richiamo in servizio di quarantamila riservisti, oltre ai 1.500 gia’ mobilitati. Netanyau ha dichiarato l’intenzione di far pagare
Un prezzo pesante di sicuro e’ gia’ stato pagato: almeno un centinaio di morti e diverse centinaia di feriti. Le vittime sono soprattutto civili.
Se l’escalation militare è ormai un dato di fatto, meno evidente è la dinamica che ridato la parola alle armi.
Vale la pena tornare sul casus belli. L’atroce assassinio di un ragazzo palestinese bruciato vivo da fascisti israeliani, la vendetta per l’omicidio di tre ragazzi israeliani di una scuola confessionale legata alle colonie della Cisgiordania, ha dato il via ad una sorta di terza intifada alle porte di Gerusalemme. A poco è valsa la condanna di Netanyahu e l’arresto di sei presunti responsabili. L’ultima generazione di palestinesi, nata senza prospettive, lontanissima dalla corrotta amministrazione della vecchia OLP, ma estranea alle logiche confessionali di Hamas, per giorni è stata protagonista di una rivolta che rischiava di mettere in difficoltà sia il governo israeliano che Hamas.
La guerra guerreggiata, le bombe, i missili ed un possibile attacco di terra nella Striscia ci restituiscono un panorama in bianco e nero, gradito ad entrambi i contendenti.
Ascolta l’intervista dell’info con Stefano Capello, attento osservatore degli equilibri geopolitici.
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– 11 Luglio 2014
Sabotaggio, non terrorismo. Le motivazioni della Cassazione
Lo scorso 27 giugno sono state rese note le motivazioni della sentenza della Cassazione che ha cancellato, rinviandola, la sentenza del tribunale del Riesame, che aveva confermato l’imputazione di attentato con finalità di terrorismo contro i quattro No Tav arrestati il 9 dicembre. Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò sono in carcere da quasi sette mesi con l’accusa di aver partecipato ad un’azione di sabotaggio contro il cantiere Tav in Clarea.
Facciamo un passo indietro.
14 maggio 2013. Un gruppo di No Tav compie un’azione di sabotaggio al cantiere di Chiomonte.
Quella notte venne danneggiato un compressore. Un’azione di lotta non violenta che il movimento No Tav assunse come propria.
Nonostante non sia stato ferito nessuno, gli attivisti sono stati accusati di aver tentato di colpire gli operai del cantiere e i militari di guardia.
Ai quattro No Tav viene applicato il carcere duro, in condizioni di isolamento totale o parziale, sono trasferiti in carceri lontane per rendere più difficili le visite ai parenti, i soli autorizzati a farlo. Solo a maggio, poco prima dell’inizio del processo, le condizioni di detenzione verranno leggermente attenuate.
I riti di un potere sciolto da qualunque vincolo divengono un monito per tutti coloro che li appoggiano e potrebbero seguirne l’esempio.
La Cassazione ha smontato l’impianto accusatorio della Procura di Torino, negando che i fatti del 14 maggio del 2013, quando venne danneggiato un compressore nel cantiere/fortino di Chiomonte, possano giustificare l’utilizzo dell’articolo 270 sexies, che definisce la “finalità di terrorismo”.
Il dibattimento contro Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, cominciato il 22 maggio, è ormai giunto alla sua quarta udienza.
La sentenza della Cassazione potrebbe portare ad un allentamento delle misure cautelari, nonostante il processo prosegua in corte d’assise, mantenendo l’imputazione originaria.
D’altro canto, sebbene il pronunciamento della Cassazione sia relativo solo alle misure cautelari, non potrà non avere un riflesso sul processo che si sta svolgendo nell’aula bunker del carcere delle Vallette a Torino.
Le motivazioni della sentenza danno un duro colpo al teorema che la Procura ha elaborato per regolare i conti con il movimento No Tav.
Secondo la Cassazione ci sarebbe una “sproporzione” tra quanto avvenuto quella notte al cantiere e la presunzione che un tale atto possa effettivamente indurre lo Stato a fare marcia indietro, cancellando il progetto della Torino Lyon.
Usando l’articolo 270 sexies, la Procura ha messo in campo per un’arma molto affilata ed insidiosa, perché chiunque si opponga concretamente ad una decisione dello Stato italiano o dell’Unione Europea rischia di incappare nell’accusa di terrorismo.
L’imputazione formulata contro quattro No Tav, un giorno potrebbe essere applicata a chiunque lotti contro le scelte non condivise, ma con il suggello della regalità imposto dallo Stato Italiano.
In altri temini: se di giorno o di notte, in tanti o in pochi, l’azione dei No Tav fosse tale da indurre lo Stato a fare marcia indietro, anche per la Cassazione i No Tav sarebbero terroristi. Tutti terroristi, anche chi sta in ultima fila con il bimbo in carrozzella, anche chi cammina a fatica, anche chi non ha coraggio, ma solo un cuore che batte forte per il mondo nuovo che vorrebbe.
Al di là della legittima soddisfazione per una sentenza che rende meno buio il futuro di quattro compagni e compagne di lotta, occorre mantenere la barra al centro di una navigazione, che continuerà ad essere molto difficile.
E’ importante che la memoria non vacilli: i No Tav hanno sostenuto ed appoggiato la pratica del sabotaggio del cantiere e delle ditte collaborazioniste.
Fermare il Tav, costringere il governo a tornare su una decisione mai condivisa dalla popolazione locale è la ragion d’essere del movimento No Tav.
Ogni gesto, ogni manifestazione, ogni passeggiata con bimbi e cagnolini, non diversamente dalle azioni di assedio del cantiere, di boicottaggio delle ditte, di sabotaggio dei mezzi mira a questo scopo.
Nella logica dell’articolo 270 sexies gran parte della popolazione valsusina è costituita da terroristi. E con loro i tanti che, in ogni dove, ne hanno condiviso motivazioni e percorsi.
Le migliaia di persone che resero ingovernabile la Val Susa nel dicembre del 2005 erano terroristi.
Quella volta non ci furono arresti, né imputazioni gravi: la ragione è facile.
Lo Stato si arrese, in attesa di una nuova occasione. Si arrese perché temeva che un’ulteriore prova di forza potesse far dilagare la rivolta oltre le montagne della Val Susa. L’ondata di indignazione per le violenze contro i resistenti di Venaus era tale da indurre alla prudenza, chi pure si era sin lì avvalso della forza. La parola tornò alla politica, prosecuzione della guerra con altri mezzi, strumento per prepararsi ad una nuova guerra.
E’ importante che quella memoria di lotta ci accompagni in questi anni sempre più duri. I tempi sono cambiati, lo Stato vuole vincere per restaurare un’autorità compromessa, per spezzare la speranza concreta che ciascuno possa decidere la propria vita.
Per questo attua una politica di terrore.
Le crepe che si stanno aprendo non sono casuali.
Le migliaia di persone che lo scorso 10 maggio hanno attraversato Torino a fianco di persone accusate di aver cercato di inceppare il cantiere Tav, le migliaia che in questi mesi durissimi hanno sostenuto – senza se e senza ma – gli attivisti accusati di un gesto che tutti hanno fatto proprio, hanno indebolito il fronte Si Tav.
Per meglio decodificare le 45 pagine della sentenza della Cassazione ascolta l’intervista dell’info di Blackout a Eugenio Losco. Eugenio è uno degli avvocati del collegio difensivo di Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò.
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– 3 Luglio 2014
‘NdrangheTav: l’operazione San Michele
20 arresti e numerosi indagati tra gli imprenditori legati alle n’drine in Piemonte. Gente con le mani in pasta nella gestione dei rifiuti pericolosi dei cantieri.
L’operazione dell’antimafia prende il nome da Chiusa San Michele, il paese della Val Susa dove si trova una cava sulla quale aveva messo le mani l’imprenditore Toro, uno degli arrestati del 1 luglio.
I quotidiani cittadini minimizzano, dichiarando che l’operazione “San Michele” avrebbe impedito l’infiltrazione delle ‘ndrine nel cantiere Tav di Chiomonte.
Peccato che Giovanni Toro avesse lavorato nel cantiere Tav di Chiomonte sin dall’ottobre del 2011: la sua ditta aveva gettato asfalto (poco per risparmiare) per costruire la strada utilizzata dalle truppe di occupazione nel cantiere/fortino della Maddalena.
Suo anche l’appalto per i lavori alla galleria autostradale di Prapontin sulla A32 della scorsa estate.
Giovanni Toro è il padre di Nadia, amministratore e socio unico della Toro srl. La colata di asfalto nel cantiere del tunnel geognostico di Chiomonte era stata affidata alla Toro srl dai capofila dell’appalto. Chi erano questi galantuomini? Niente di meno che i responsabili di due imprese locali di cui si era occupata già un’altra operazione contro le n’drine, l’inchiesta Minotauro. Agli stessi imprenditori erano stati affidati i lavori di recinzione del cantiere.
Uno di loro è Ferdinando Lazzaro, oggi tra gli indagati a piede libero dell’operazione San Michele, ieri osannato come esempio dell’imprenditoria valsusina, con tanto di strette di mano ministeriali.
Nulla di cui stupirsi: il sistema delle grandi opere inutili e dannose ha la propria ragion d’essere nel drenaggio di denaro pubblico a fini privati. Ditte prive di certificato antimafia come la Toro srl, che asfaltano il cantiere per la polizia sono uno degli ingranaggi di questa macchina ben oliata.
Una domanda sorge spontanea: come mai una magistratura poco attenta alle ripetute denunce di parte No Tav sull’intreccio tra Tav e mafie, oggi apre un capitolo, che certamente i responsabili della Torino Lyon avrebbero preferito mantenere chiuso?
Forse qualche equilibrio sta saltando?
Vi proponiamo di seguito l’articolo di Giovanni Tizian, uscito sull’Espresso del 1 luglio, che ben svela gli interessi dei clan calabresi per la grande opera.
Continued…
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– 2 Luglio 2014
Corpi in eccesso
45 morti. Erano in fondo ad una stiva: chi li ha visti li pensava addormentati, ma il loro sonno non avrà fine. Così si è concluso il viaggio di uomini, donne, bambini in fuga dall’Eritrea della fame, delle torture, del servizio militare senza fine.
Nelle stesse ore viene diffusa la notizia di un’operazione di polizia contro gli scafisti, che organizzarono un altro viaggio della morte.
Era il 3 ottobre dello scorso anno. Quasi ogni giorno si muore nel Mediterraneo, lo ricordava uno degli scafisti finiti nel mirino degli investigatori, lamentando la “sfortuna” del clamore suscitato dalla strage di Lampedusa. L’uomo ignora le leggi della comunicazione: un morto al giorno in un mare divenuto sudario non sono una notizia. 366 morti in un giorno solo non poterono essere ignorati.
Le bare vennero allineate in un hangar per dare una parvenza di dignità alle ultime vittime della frontiera sud della Fortezza Europa. I sacchi neri, che a Lampedusa sono sempre pronti, non potevano reggere la prova della telecamera, il ginocchio piegato di Letta, il cordoglio di Barroso e Alfano, il lutto nazionale, l’indignazione degli assassini che hanno deciso di accendere i riflettori su uno dei tanti episodi della guerra ai poveri.
La guerra ai poveri è scritta nelle leggi che rendono impossibile entrare legalmente nel nostro paese per cercare un lavoro o un rifugio, perché la clandestinità non è una scelta ma un’imposizione dello Stato italiano.
Dopo Lampedusa il governo decise l’operazione “Mare Nostrum”: unità navali della marina militare italiana da allora sorvegliano le rotte dei clandestini, li intercettano, li scortano a terra. Lì qualche coperta, una spruzzata di disinfettante, il foglio di via e un nuovo viaggio verso altre frontiere.
Prima Letta, poi Renzi hanno provato a batter cassa in Europa per ottenere fondi a sostegno di Mare Nostrum senza ottenere nulla.
Gli accordi con il governo libico per una “pulita” esternalizzazione della repressione, sono rimasti lettera morta. La Libia è oggi uno Stato fallito ed il traffico di esseri umani è un buon affare. Nessuno oggi riesce più a fare il lavoro sporco per conto del governo di Roma.
Per i migranti è cambiato poco, perché violenze, torture, stupri, ricatti ed estorsioni fanno parte del dazio salatissimo che paga chi non può o non vuole tornare indietro.
Sono decine di migliaia quelli che qualcuno ha visto partire e non tornare mai più. La terribile normalità in quest’Europa di militari e poliziotti.
Nelle stesse ore l’Inno alla Gioia veniva eseguito nella seduta inaugurale del parlamento europeo. Un inno di fratellanza le cui note si frangono contro le frontiere della fortezza Europa, tra muri, filo spinato, uomini in armi ed un mare che mangia le vite di chi bussa alla porta, senza avere in tasca le carte giuste.
Ascolta l’intervista dell’info di Blackout con Antonio Mazzeo, blogger ed attivista antirazzista siciliano.
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– 2 Luglio 2014
Renzi e la riforma della PA. Finale di partita con il sindacato?
Martedì 24 giugno Giorgio Napolitano ha firmato il testo di riforma della Pubblica Amministrazione del governo Renzi.
Il decreto consta di 53 articoli.
La riforma comprende l’abolizione della possibilità di restare al lavoro oltre l’età di pensione con una parziale reintroduzione del blocco del turn over, ma con sostanziali tagli dell’occupazione generale.
Viene introdotta la mobilità per gli statali (obbligatoria fino a 50 chilometri) e dimezzato il monte ore dei distacchi e permessi sindacali dal prossimo primo agosto.
Con il pretesto di colpire la burocrazia sindacale, riducendo il numero dei funzionari pagati dallo Stato, si riducono anche le ore di assemblea e i permessi, riducendo così la possibilità stessa di sviluppare forme di organizzazione sindacale non burocratizzate.
Nei fatti Renzi porta a fondo l’attacco al sindacato “amico”, quello della concertazione, dell’ammortizzazione del conflitto, della mediazione al ribasso sugli interessi dei lavoratori.
Una parabola inevitabile nel percorso che, in vent’anni, ha portato CGIL, CISL, UIL dalla concertazione alla complicità con le politiche governative.
Ci voleva un governo di “sinistra” per mettere le basi per un finale di partita che segna non solo la mutazione di pelle delle maggiori organizzazioni sindacali, ma altresì il taglio dei privilegi di cui godono, perché garanti della pace sociale.
Ci sono mestieri che scompaiono quando diventano inutili: questo è il destino di CGIL, CISL, UIL, un destino che i provvedimenti siglati Renzi-Madia avvicinano di un passo.
Renzi vuole farla finita con i corpi intermedi della società, con le organizzazioni che per decenni hanno contribuito a garantire la mediazione tra interessi diversi e contrapposti. Renzi è stato il primo presidente del Consiglio a non inaugurare la propria avventura politica con il rituale incontro con i vertici di Confindustria. Renzi è il populista perfetto: il suo corpo è il corpo della nazione, ne definisce e ne incarna gli interessi. In questo quadro non c’é spazio per Squinzi e Camusso, che stanno imparando a farsene una ragione.
Vale la pena rilevare che Beppe Grillo, il grande populista per eccellenza, esordì nel ruolo di leader extraparlamentare di un gruppo neoparlamentare, inviando il suo deus ex machina Casaleggio a rendere omaggio a Confindustria.
L’info di Blackout ne ha parlato con il leader della minoranza CGIL Giorgio Cremaschi, all’indomani della nomina della nuova segreteria CGIL, in cui Susanna Camusso ha giocato il ruolo dell’asso piglia tutto, assicurando ai suoi fedelissimi il 68% dei posti disponibili.
Oltre l’analisi del decreto legge di riforma della PA, è scaturita una riflessione che investe il ruolo stesso delle minoranze “critiche” nella CGIL, ormai a quasi vent’anni dalla stagione dei bulloni, dalla nascita impetuosa e della lenta parabola discendente sia del sindacalismo di base sia delle componenti più combattive della CGIL.
Ascolta l’intervista a Giorgio Cremaschi
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– 27 Giugno 2014
Renzi scappa, la disoccupazione no
La fuga di Renzi, che ha posticipato a novembre e probabilmente spostato a Bruxelles il vertice sull’occupazione giovanile previsto a Torino l’11 luglio, non muta la situazione dei tantissimi giovani che non hanno un lavoro, o vivono di precarietà quotidiane, che ne segnano le vite in modo irreversibile.
Se i vertici – e con loro la variabile dipendente dei controvertici – sono la rappresentazione politica che si gioca nello spazio di una giornata, la questione della liberazione dal lavoro salariato come scommessa dei movimenti che mirano a spezzare l’ordine sociale, resta sul piatto ed impone un ragionare – ed un agire – più radicalmente volto ad una prospettiva di esodo conflittuale.
Un percorso difficile, ma – a nostro avviso – non eludibile. Non ci sono scappatoie.
La rappresentazione ritualizzata del conflitto che si gioca nei controvertici, anche quando la materialità dell’agire e la violenza istituzionale si incidono nell’immaginario, tanto da divenire passaggio obbligato, bagno sacro per una generazione di attivisti, non riesce tuttavia a oltrepassare la dimensione del simbolico. Poco importa che la narrazione del poi ci consegni qualche girotondo in tuta o k-wey o i fuochi di un luglio genovese.
Oggi, a bocce ferme, dopo il rinvio del vertice di Torino, vogliamo provare a ragionare, proponendo anche strumenti di approfondimento.
Di disoccupazione abbiamo parlato con Francesco, autore dell’articolo “Disoccupazione e Unione europea” uscito sul settimanale Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito.
Ascolta la diretta con Francesco.
Una premessa è d’obbligo.
I ragionamenti che facciamo sulla disoccupazione non sono esaltazioni del lavoro salariato, sfruttato e sotto padrone.
Non ha alcun senso lamentarsi della disoccupazione aspirando a fare un lavoro di merda, precario e sottopagato, da dove puoi essere cacciato via in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione.
Noi siamo per la liberazione di tutti gli sfruttati. Liberazione dal dominio, liberazione dal comando, liberazione dal capitale.
Le analisi che sviluppiamo sulla disoccupazione, come su altro, servono a ragionare collettivamente su come si stiano modificati i modelli di sfruttamento e come combatterli meglio.
Ci sembra si sia usciti dal circuito produci-consuma-crepa. La produzione la fanno altrove e qui ti tengono appeso tra la disoccupazione e il lavoro part time per poterti condizionare meglio. Il consumo è diventato pura sopravvivenza. Solo la morte l’hanno lasciata, accentuandola con la chiusura degli ospedali, il costo delle cure sanitarie e i ricatti di big pharma.
Continued…
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– 27 Giugno 2014
Rivolte e ingovernabilità
Mercoledì 25 giugno
ore 21
in corso Palermo 46
incontro con Salvo Vaccaro
Ascolta l’intervista con Salvo a radio Blackout:
La ricorrenza di rivolte dal mondo arabo a quello turco, dall’indigenismo latino-americano alle ribellioni occidentali negli Stati Uniti, in Spagna, in Grecia e altrove, denotano una condizione planetaria nella quale una pratica rinnovata di anarchismo si declina contaminando impronte tipicamente libertarie quali l’assemblearismo orizzontale, la rotazione delle cariche di leadership, la critica culturale, la ricerca di condivisione decisionale non maggioritaria. Insomma, una carica ultra-partecipativa che masse di uomini e donne di ogni generazione scatenano con una caparbietà di impegno e una costanza nel tempo non totalmente assimilabile alla pressione di una crisi epocale. Anzi, proprio dal tramonto di un’era globale, sembra stia emergendo un mondo nuovo alle porte.
Salvo Vaccaro insegna Filosofia politica all’Università di Palermo. Ha curato diversi volumi di e su Nietzsche, Adorno, Deleuze, Foucault, Honneth, Chomsky, ed è autore di CruciVerba (2001), Anarchismo e modernità (2004), Biopolitica e disciplina (2005).
Attraversare la crisi per andare altrove
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– 21 Giugno 2014