Skip to content


Susa. Assedio al castello


Sabato 16 febbraio. Il sindaco di Susa accoglie sulla porta i suoi ospiti, tutti selezionati con cura tra si tav di provata fede, imprenditori che cambiano nome alle società al ritmo di un fallimento all’anno, qualche amministratore locale e un pugno di segusini, scelti tra coloro che avevano inviato la mail filtro al comune. In sala il mago Virano illustra il miracolo del supertreno che rende sempre più verde la valle.
Un paio di abitanti della Frazione S. Giuliano, destinata ad essere schiacciata dal cantiere Tav, parlano dei lacrimogeni che avevano invaso il paese durante l’imposizione violenta di un sondaggio lo scorso 14 novembre. La risposta? Ve li siete meritati.
Se questo era il clima dentro la sala, non migliore era la situazione all’esterno.
Tutte le strade di accesso al castello della contessa Adelaide erano chiuse da poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa. I primi ad avvicinarsi vengono identificati e perquisiti. Di fronte ad ogni blocco della polizia si costituisce un presidio resistente dei No Tav.
L’ingresso e l’uscita delle auto dei papaveri più noti avvengono tra spintoni, qualche colpo di scudo e qualche pedata. La polizia, nonostante l’ampio schieramento di uomini dell’antisommossa, un folto nugolo di digos e ben due vicequestori, deve guadagnarsi passo dopo passo lo spazio per far passare i vari Virano, Saitta, Esposito.
Le scena più edificante è il brusco strattonamento di un’anziana No Tav di Caprie che si era messa davanti all’auto del presidente della Provincia Saitta. L’auto è poi partita tra insulti e sputi.
Guarda il video di RepubblicaTV.
Alla fine i maggiorenti escono su auto blindate della polizia.

L’epilogo della serata regala una boccata di buon umore ai No Tav.
Usciti tutti i politici la polizia si accinge a partire. Stranamente il blocco di poliziotti dell’antisommossa sotto l’arco che immette nel piazzale della cattedrale non viene rimosso: i robocop continuano a fronteggiare i No Tav. Poi cominciano ad indietreggiare. I No Tav afferrano le transenne ed avanzano all’interno della piazza, c’è un parapiglia, poi l’antisommossa riprende la marcia del gambero. I digos si rendono conto della figuraccia e saltellano di qua e di là. Finirà con una trentina di robocop in fondo alla piazza, fronteggiati da una quarantina di No Tav che li sbeffeggiano, suggerendo loro di tornarsene a casa.
Gli uomini della “politica” perdono la calma e si lasciano andare a qualche insulto.
La comica finale va avanti per circa mezz’ora, finché non arrivano i carabinieri a “salvare” (dal ridicolo) la polizia. L’ultima scena è degna di Stanlio e Ollio. I poliziotti che nessuno minaccia scappano sui loro mezzi, tra le risate generali.

Posted in Inform/Azioni, no tav.

Tagged with , , .


Danno di immagine

sgomberopres pGiovedì 14 dicembre. Nell’aula bunker delle Vallette è andata in scena la seconda puntata del processo ai 53 No Tav, accusati di aver partecipato alla resistenza allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena e alla giornata di lotta del 3 luglio 2011.
Gli imputati hanno deciso che solo un piccolo gruppo partecipasse all’udienza, mentre tutti gli altri disertavano l’aula bunker per un presidio in piazza Castello.
Il giudice Bosio ha impedito agli imputati di entrare in aula, sin dopo l’appello, pretendendo che i compagni entrassero uno alla volta. Loro hanno deciso di entrare tutti insieme.
Oggi era il giorno delle parti civili. Si sono costituiti la presidenza del consiglio, i ministeri degli interni, della difesa, dell’economia e finanze, che hanno chiesto un risarcimento danni di circa due milioni di euro a tutti gli imputati. Quali danni? I danni di immagine nei confronti dei governi e dell’opinione pubblica internazionale. In altri termini ben tre ministeri e la presidenza del consiglio ammettono di essere stati messi alla berlina dai No Tav.
Quella di ieri doveva essere l’ultima udienza in aula bunker, ma così non sarà, poiché Bosio si è rimangiato le promesse della vigilia, ed ha deciso che il processo continui nell’attuale teatro.
Terzo atto l’8 marzo alle 9,30.

Posted in Inform/Azioni, no tav.


L’ultima partita di Ratzinger, il grande Inquisitore

ratzinger pLe dimissioni di Benedetto XVI hanno scatenato una ridda di ipotesi e analisi sui media, che hanno dedicato ampio spazio alla decisione di Joseph Ratzinger di ripercorrere le orme di Celestino V.
C’è chi avalla la tesi di un papa stanco e anziano che lascia per debolezza, chi lo esalta per il coraggio e chi teme che l’aura del nocchiero della barca di Pietro possa uscirne offuscata.
Altri dipingono più realisticamente il durissimo scontro di potere che squassa la curia romana, leggendo la scelta del papa come protesta e monito.
Nessuna di queste ipotesi si attaglia a Ratzinger, l’uomo che per trent’anni ha governato quella stessa curia. Nella veste di Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, l’ex Santo Uffizio, Ratzinger ha sistematicamente demolito la chiesa conciliare, cacciando i teologi della liberazione e riabilitando i lefevriani.
Nello scontro di potere in corso non ci sono i buoni, c’è solo la chiesa rigidamente dottrinale del papa tedesco alleato dell’Opus Dei e quella pragmatica dei potentissimi Cavalieri di Colombo.
Sullo sfondo la vicenda dello Ior, le dimissioni del banchiere del papa, Gotti Tedeschi, lo scontro con (l’ex) amico Tarcisio Bertone.
Ratzinger si ritira per poter meglio governare il dopo Ratzinger.

Ascolta l’intervista realizzata dall’informazione di Blackout a Paolo Iervese, il nostro vaticanista di riferimento.

Posted in anticlericale, Inform/Azioni, internazionale.

Tagged with , , .


Livorno. Assalto alla prefettura: 36 indagati

livorno-non-si-piegaNella mattinata di lunedì 11 febbraio è scattata la rappresaglia delle istituzioni per i tre giorni di lotta del 30 novembre e 1 e 2 dicembre.
Il 30 novembre una trentina di attivisti che manifestavano in solidarietà ai No Tav al comizio per le primarie del PD del segretario Bersani vengono caricati e manganellati dalla polizia. Il giorno successivo stessa sorte capita ad un presidio itinerante attaccato dalla polizia. Il due dicembre un corteo di 500 persone attraversa il centro cittadino, facendo sì che le forze dell’ordine optino per un profilo decisamente basso.
A tre mesi dai fatti i PM incaricati chiedono 8 arresti e sei detenzioni domiciliari, il Gip firma solo 8 obblighi di firma ed alcune perquisizioni.
In tutto gli indagati, di tutte le aree politiche della città, sono 36. Le accuse sono di danneggiamento, lesioni, minacce, il tutto aggravato dalle premeditazione dei tre giorni di lotta.
Trentasei indagati, in una città  piccola come Livorno, sono tanti: è una vendetta nei confronti di chi non si piega, di chi non accetta la rovina della città  di cui il PD è uno degli artefici, di chi non accetta la disoccupazione, gli sfratti, la politica di guerra.
L’informazione di radio Blackout ha intervistato Dario, uno dei 36 inquisiti
Ascolta il suo intervento

Posted in Inform/Azioni, no tav, repressione/solidarietà, torino.

Tagged with , , .


Matti da slegare: serata antipsichiatrica

img015 nero color b rVenerdì 15 febbraio
ore 20 corso Palermo 46
Presentazione del collettivo antipischiatrico “Francesco Mastrogiovanni”
aperibenefit per il telefono antipsichiatico
video sugli ospedali pscichiatrici giudiziari

Per approfondimenti sul TSO ascolta l’intervista a Robertino Barbieri

Il collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni” nasce dall’incontro di persone diverse che hanno sentito l’urgenza di dar voce, corpo e forza alla propria indignazione.
Un’indignazione di chi sa che nel nostro paese basta la firma di un medico, quella di un sindaco ed il gioco è fatto. Uomini e donne smettono di essere uomini e donne, liberi di scegliere la propria vita, liberi di decidere se assumere o meno dei farmaci, liberi di scegliere una cura. Uomini e donne vengono presi con la forza, rinchiusi in un repartino psichiatrico, riempiti di psicofarmaci e spesso legati ai letti. Prigionieri senza possibilità di parola, perché la parola di chi finisce in repartino è parola alienata. In tutti i sensi. Parola priva di senso, parola privata di senso perché chi parla non è ragionevole. Non è ragionevole, perché la ragione è fuori dal repartino, perché la ragione è solo del potere che imprigiona, lega con corde chimiche e di cotone.
Per oltre un secolo i manicomi sono stati le discariche sociali per gli incompatibili, quelli che la legge non riusciva e perseguire, ma anomali per la società dove vivevano, incapaci di svolgere il ruolo loro assegnato.
La fine della follia criminale rappresentata dal manicomio non è stata però la fine della follia, come categoria/catena da usare contro chi non vive con agio la propria vita.
Un disagio che sarebbe sciocco negare, ma è criminale imprigionare.
Eppure è quello che avviene ogni giorno in questo paese con i TSO, i trattamenti sanitari obbligatori. Il marchio della follia rende normale quello che normale non è. Chi è folle è “fuori”. Fuori di testa, fuori dal consesso umano, fuori dalle regole, che formalmente ne tutelano l’integrità fisica e la libertà.
Chi oggi lavora per la riapertura dei manicomi – piccoli privatizzati ma sempre manicomi – fa leva sul radicamento tenace del pregiudizio psichiatrico, tanto tenace da essere ancora saldamente impiantato nel lessico comune.
Per sconfiggerlo serve informazione, serve anche azione diretta contro gli abusi.
Noi non vogliamo dire alle persone come devono vivere, non siamo medici e nemmeno giuristi, siamo solo persone disponibili ad offrire appoggio alle vittime della psichiatria, a chi i farmaci non li vuole, a chi viene ricoverato, legato, dopato contro la propria volontà.

Cosa fa il collettivo?
– informare coloro che hanno a che fare con l’inferno psichiatrico
– raccogliere denunce di abusi relativi a Trattamenti Sanitari Obbligatori; somministrazione massiccia di psicofarmaci
– informazioni su contenzione fisica e farmacologica
– aprire uno spazio al dibattito su usi e abusi della psichiatria
– aiuto legale
– telefonico antipsichiatrico rivolto a chi si trova impigliato nelle maglie della psichiatria e vuole liberarsene, o che rischia di finirci e vuole evitarlo.
Parimenti è rivolto a chi si trova con un familiare o con un amico rinchiuso in psichiatria e vorrebbe capire cosa gli stanno realmente facendo e come poterlo aiutare.

Il nostro telefono funziona con la segreteria telefonica tutti i giorni. Una volta a settimana dalle 19 alle 21 del martedì rispondiamo direttamente.
Il numero è: 328 7623642
Il telefono è autogestito e autofinanziato.
Chiunque sia interessato al progetto è il benvenuto!

Le nostre riunioni si tengono ogni martedì alle 21 in corso Palermo 46
Per contatti: antipsichiatriatorino@inventati.org

Posted in Inform/Azioni, torino.

Tagged with , , .


Liberi i No Tav accusati di assalto al cantiere

lele cri liberati pLunedì 11 febbraio c’è stato l’interrogatorio dal Gip per Lele e Cristian, i due No Tav arrestati lo scorso venerdì dopo l’assalto al cantiere di Clarea.
È emerso che i due mattiesi erano stati fermati nelle borgate di Giaglione dalla digos intorno alle 23 di venerdì.
L’azione contro il cantiere aveva avuto inizio intorno alle 21,30. Alle 22,40 era già tutto finito. Cristian alle 22 era ancora a Ferriera di Buttigliera, dove lavora e dove ha timbrato in uscita dalla fabbrica. Il suo amico Lele alle 10,30 era ancora nel bar trattoria del paese.
Ferriera dista non meno di un’ora dalle borgate di Giaglione.
Il Gip, che si era riservato di decidere entro martedì alle 12, in serata ha comunicato la scarcerazione dei due No Tav, liberati senza alcuna restrizione.
La Digos li aveva arrestati per rivalsa verso un movimento che era appena riuscito a farla in barba all’apparato di sicurezza che stringe in una morsa di ferro la Clarea.
Per fortuna il loro castello di carte non ha retto.
Lele e Cristian sono arrivati in tarda serata alla stazione di Bussoleno, dove li attendeva una piccola delegazione di compagni di lotta.
La resistenza continua….

Posted in Inform/Azioni, no tav, repressione/solidarietà.

Tagged with , , .


Tunisia. I giochi non sono ancora fatti

Tunis Protest after the killing of Chokri BelaidUn milione di persone è sceso in piazza nella sola Tunisi per i funerali di Chokry Belaid, uno dei leader dell’opposizione laica istituzionale, ucciso mercoledì scorso da un gruppo di sicari.
Un assassinio politico, un assassinio annunciato nel clima di crescente violenza instaurato dai Comitati in Difesa della Rivoluzione in mano ai salafiti. La rivolta, scatenatasi spontaneamente in tutto il paese dopo il diffondersi della notizia dell’assassinio, è continuata venerdì 8, giorno delle esequie di Belaid e dello sciopero generale che ha paralizzato il paese.
Chi credeva che la partita in Tunisia – e in Egitto – si fosse chiusa con l’accesso al potere di Hennada e dei Fratelli musulmani si è dovuto ricredere.
In Tunisia la situazione è molto instabile e rischia di sfociare in nuove rivolte e in una repressione durissima.
Anarres ha intervistato Karim Metref, scrittore, insegnante di origine algerina che vive da molti anni nel nostro paese.
Con lui abbiamo ripercorso la vicenda di una rivoluzione che ha avuto il suo prologo nel distretto minerario di Gafsa, dove gli scioperi e le lotte radicalissimi dei lavoratori dello zolfo, vennero repressi nel sangue dal governo. Ci furono morti, feriti, arrestati, torturati. Moltissimi scelsero poi la via dell’esilio, prendendo la via del mare verso l’Europa.
Ed è proprio a Gafsa che sono stati più duri gli scontri con il nuovo regime islamista, che, pur marginale nella rivoluzione dei Gelsomini di due anni fa, è riuscito a conquistare il potere con i voti della Tunisia profonda e con l’alleanza con il vecchio regime.
Il rischio forte è quello di uno scenario simile a quello che si verificò in Algeria negli anni ’90, quando il GIA, il Fronte Islamico Algerino, decise di islamizzare a forza la società civile, facendo migliaia di morti. Nel mirino c’erano i gruppi laici, le donne, i giovani insofferenti ai diktat degli integralisti.

Sempre dall’Algeria ci giunge tuttavia l’esempio di una rivolta tanto radicale, da meritare il silenzio tombale dei media e della politica internazionale. Gli eventi del 2001 in

Un milione di persone è sceso in piazza nella sola Tunisi per i funerali di Chokry Belaid, uno dei leader dell’opposizione laica istituzionale, ucciso mercoledì scorso da un gruppo di sicari.
Un assassinio politico, un assassinio annunciato nel clima di crescente violenza instaurato dai Comitati in Difesa della Rivoluzione in mano ai salafiti. La rivolta, scatenatasi spontaneamente in tutto il paese dopo il diffondersi della notizia dell’assassinio, è continuata venerdì 8, giorno delle esequie di Belaid e dello sciopero generale che ha paralizzato il paese.
Chi credeva che la partita in Tunisia – e in Egitto – si fosse chiusa con l’accesso al potere di Hennada e dei Fratelli musulmani si è dovuto ricredere.
In Tunisia la situazione è molto instabile e rischia di sfociare in nuove rivolte e in una repressione durissima.
Anarres ha intervistato Karim Metref, scrittore, insegnante di origine algerina che vive da molti anni nel nostro paese.
Con lui abbiamo ripercorso la vicenda di una rivoluzione che ha avuto il suo prologo nel distretto minerario di Gafsa, dove gli scioperi e le lotte radicalissimi dei lavoratori dello zolfo, vennero repressi nel sangue dal governo. Ci furono morti, feriti, arrestati, torturati. Moltissimi scelsero poi la via dell’esilio, prendendo la via del mare verso l’Europa.
Ed è proprio a Gafsa che sono stati più duri gli scontri con il nuovo regime islamista, che, pur marginale nella rivoluzione dei Gelsomini di due anni fa, è riuscito a conquistare il potere con i voti della Tunisia profonda e con l’alleanza con il vecchio regime.
Il rischio forte è quello di uno scenario simile a quello che si verificò in Algeria negli anni ’90, quando il GIA, il Fronte Islamico Algerino, decise di islamizzare a forza la società civile, facendo migliaia di morti. Nel mirino c’erano i gruppi laici, le donne, i giovani insofferenti ai diktat degli integralisti.

Sempre dall’Algeria ci giunge tuttavia l’esempio di una rivolta tanto radicale, da meritare il silenzio tombale dei media e della politica internazionale. Gli eventi del 2001 in Kabilia, la regione berbera dell’Algeria, sono sconosciuti ai più. La rivolta assunse le caratteristiche di un’insurrezione dal basso, con grandi capacità di autogoverno territoriale.

, la regione berbera dell’Algeria, sono sconosciuti ai più. La rivolta assunse le caratteristiche di un’insurrezione dal basso, con grandi capacità di autogoverno territoriale.

Ascolta la lunga chiacchierata con Karim Metref

Posted in Inform/Azioni, internazionale.

Tagged with , , , , .


Grecia. Lo Stato tortura e se ne vanta

kozani anarchici torturatiQuattro giovani anarchici vengono arrestati in seguito ad una rapina in una banca a Kozani, un piccolo centro , nel nord della Grecia. Trascorrono quattro ore nei locali della polizia dove vengono selvaggiamente picchiati. I loro volti tumefatti ripresi dalle telecamere al momento del trasferimento in tribunale fanno il giro del mondo. La notizia rimbalza anche sui nostri media, Amnesty International denuncia l’ennesimo caso di tortura nelle stazioni di polizia dello Stato ellenico.
I quattro compagni rifiutano di sporgere denuncia, dichiarando che di non volersi considerare vittime, poiché “non si aspettavano niente di diverso dai nemici della libertà”.
Nel movimento greco è convinzione diffusa che i volti pesti dei quattro compagni siano stati mostrati deliberatamente, per lanciare un monito alla vasta opposizione politica e sociale che, nonostante la repressione crescente, lotta contro la macelleria sociale che ha ridotto alla povertà ampi strati della popolazione greca.
Quest’episodio è solo l’ultimo segnale della scelta secca del governo di ridurre lo scontro sociale a scontro militare. Il moltiplicarsi degli sgomberi dei luoghi autogestiti, gli arresti, la violenza nelle questure sono il segnale dell’instaurarsi progressivo di una democratura.
Alla violenza contro gli oppositori politici e sociali fa da contrappunto l’impunità contro i nazisti che in pieno giorno compiono violenze contro gli immigrati. Ormai non c’è giorno che non venga attaccato un negozio gestito da immigrati. I pestaggi e gli omicidi di stranieri sono diventati fatti di “ordinaria quotidianità”. Non per caso uno degli episodi più gravi di torture è avvenuto quest’autunno nei confronti di una ronda anarchica di motociclisti antifascisti.
Anarres ne ha parlato con Georgios, un compagno del gruppo dei Comunisti libertari di Atene.
Ne è scaturita una chiacchierata a tutto campo sulla situazione in Grecia. Un paese dove, non per caso, la repressione colpisce le esperienze di autogestione capaci di contrastare attivamente il governo. Ultimo positivo esempio la scelta dei lavoratori della Vio.Me che hanno deciso di autogestire la loro fabbrica.
Ascolta la diretta con Georgios

Qui puoi vedere il video in cui vengono mostrati i quattro anarchici arrestati a Kozani mentre vengono tradotti in tribunale. I loro volti tumefatti sono la miglior propaganda della democrazia reale.

Posted in Inform/Azioni, internazionale, repressione/solidarietà.

Tagged with , , , .


Il popolo No Tav con i partigiani di Clarea

mattie fiaccolata.pDomenica 10 febbraio. A Mattie si arriva dopo due stretti tornanti, al culmine della provinciale che si dipana dalla statale 24 poco dopo Bussoleno. All’ingresso del paese c’è il bar trattoria dove ci si ferma ogni volta che si capita qui: si beve un caffè e si fanno due chiacchiere. Sui muri del locale tutto parla della lotta No Tav. Anche qui c’è la foto di Cristian ed Emanuele, i due No Tav arrestati nella notte di venerdì, quando le truppe di occupazione che presidiano il cantiere/fortino in Clarea sono state colte alla sprovvista e se la sono data a gambe di fronte ai No Tav che si erano introdotti nell’area tagliando le recinzioni e abbattendo i jersey.
I vari Ferrentino ed Esposito avevano usato parole pesanti: “fascisti”, “squadristi”.
Maria ha 83 anni ed è nata a Mattie. La sua invettiva è per “quello lì con le basette”: mentre lo dice le mima con le mani passandosele sul volto illuminato da due occhi grandi e luminosi. Maria ha le idee chiare sull’affare Tav e sui fascisti.
L’architetto/piazzista/commissario per la Torino Lyon Virano è omonimo di un altro Virano. Uno che faceva il medico quando in Val Susa c’era l’occupazione nazifascista. Maria ricorda il giorno del 1944 che quel Virano arrivò da Bussoleno per curare dei malati. La gente lo invitò a non salire alle frazioni alte, perché lì era tutto pieno di tedeschi, ma lui, mostrando la sua spilla da medico sul bavero della giacca, rispose che i malati erano più importanti.
È tutto qui. Nella distanza tra questi due uomini con lo stesso nome ma di ben diversa tempra morale è il senso della lotta e della resistenza che si fa in Val di Susa.
In piazza a Mattie c’è il popolo dei No Tav, giovani ed anziani, tanti bambini, gli striscioni di sempre e uno nuovo con la scritta “Emanuele e Cristian liberi subito!”. Al termine della fiaccolata questo striscione verrà issato sulla balconata del comune assieme ad una bandiera No Tav.
Siamo tantissimi. Il lungo serpente umano si dipana per le stradine del paese sino alle case di Cristian ed Emanuele. Una tromba da il ritmo. Poi si canta. “Bella ciao”, “Sarà dura” sull’aria del “Battaglion Lucetti”, “Chiomonte come Atene”, poi canzoni popolari occitane e piemontesi.
Gli interventi conclusivi sono semplici e diretti.
Emanuele e Cristian sono due di noi, partigiani e resistenti. Liberi, liberi subito!

Vedi qui la galleria di foto scattate da Luca Perino
Qui il video dell’assalto al cantiere di Clarea

Posted in Inform/Azioni, no tav, repressione/solidarietà.

Tagged with , , , , .


No Tav all’assalto del cantiere

ema cri liberiDa mesi i media raccontano del cantiere che avanza, dei No Tav ridotti a minoranza e sconfitti, dei lavori ormai avviati, dei processi contro i “violenti” che hanno difeso la libera Repubblica della Maddalena, contrastato le trivelle, assediato gli occupanti.
Da mesi i No Tav vanno al cantiere del Tunnel geognostico. Chi di giorno, chi di notte.
C’è chi scatta foto e chi va in cerca di Giacu, il No Tav che si è perso in Clarea e che nessuno trova mai. Non sono certo nottate tranquille per le truppe di occupazione.
La notte dell’8 febbraio è stata la peggiore per gli uomini in divisa, colti alla sprovvista e messi in fuga dai No Tav che hanno tagliato le recinzioni e sono entrati nel cantiere.
I poliziotti e i loro mezzi blindati hanno fatto retro marcia, mentre i No Tav scorazzavano liberamente nella zona devastata dalle ruspe, nei luoghi dove a lungo i castagni hanno fatto ala ai bivacchi dei resistenti.
Mezzo cantiere è rimasto al buio.
Il giorno successivo sulla Stampa Numa ha raccontato di un fallito assalto al cantiere. Il giorno successivo ha aggiustato il tiro sulla base del comunicato della questura.
Un video postato su vimeo mostra alcuni stralci da una notte di resistenza.

Due No Tav di Mattie, Christian ed Emanuele, sono stati arrestati dalla polizia. L’accusa nei loro confronti è di danneggiamento aggravato e resistenza.
Domenica 10 febbraio il comitato No Tav del loro paese ha organizzato una fiaccolata solidale. L’appuntamento è alle 20,30 in piazza del Comune a Mattie.

Posted in Inform/Azioni, no tav, repressione/solidarietà.

Tagged with , , .


Orrori quotidiani al CIE di Torino

Shadow-behind-glass436-424x250Stefania Gatti è un giovane avvocato, al CIE di Torino, per visitare un suo assistito.
Mentre aspetta assiste ad una deportazione. Uno uomo viene condotto nell’atrio: ha con se tutte le sue cose e sa cosa lo aspetta. E’ tranquillo, sin troppo tranquillo. Poco dopo si sentono le urla dalla stanzetta in cui è rinchiuso. Quando si apre la porta Stefania vede l’uomo coperto di sangue: si è tagliato per cercare di evitare di essere imbarcato a forza su un aereo diretto a Tunisi. La sua vita è qui, non là. Dopo la medicazione viene comunque portato via.
I poliziotti si scusano con l’avvocato per il ritardo. “Sa, queste cose qui succedono tutti i giorni”.

Orrori quotidiani. La banalità del male di fronte alla quale l’indifferenza è complicità.

Ascolta la testimonianza di Stefania Gatti nell’informazione di Radio Blackout

Posted in immigrazione, Inform/Azioni, repressione/solidarietà.

Tagged with , .


Il caldo inverno tra Tunisi e Cairo

tunisia scontri belaid p

Giovedì 7 febbraio. Il detonatore che ha fatto esplodere la rivolta in Tunisia è stato l’assassinio di uno dei maggiori esponenti della sinistra laica del paese, Chokri Belaid, ucciso a colpi di pistola da una squadraccia nelle prime ore del mattino del 6 febbraio.
La famiglia di Balaid ha immediatamente puntato il dito su Hennada, il partito di governo che sta tentando di islamizzare il paese.
In questi mesi Belaid era stato minacciato di morte dai salafiti, per aver denunciato il ruolo della Lega di Protezione della Rivoluzione, il braccio armato della fazione religiosa, che tenta con la violenza di prendere il controllo della società tunisina.
Sin dalle prime ore del mattino di ieri è dilagata la rivolta in tutto il paese, migliaia di manifestanti si sono scontrati con la polizia, sedi di Hennada ed istituzionali sono state attaccate.
La Tunisia laica e povera per la quale Belaid, avvocato da sempre schierato dalla parte degli ultimi, era un simbolo, si è riversata per le strade. D’altra parte episodi di rivolta sociale hanno segnato in più occasioni gli ultimi due anni.
Domani è stato il sindacato UGTT – mezzo milione di iscritti e grande influenza nel paese – ha accolto l’appello dei partiti di opposizione ad uno sciopero generale nel giorno dei funerali di Belaid.
Oggi hanno incrociato le braccia avvocati e docenti dell’università di Manouba.
Hennada ha respinto la proposta del suo premier, Hamad Jebali, di sostituire il governo con un esecutivo d’emergenza, composto da tecnici estranei ai partiti.
Questa mattina ci sono stati nuovi scontri nei pressi del ministero dell’Interno a Tunisi, a Gafsa gli oppositori hanno assalito il governatorato con bottiglie molotov.

In Egitto la rivolta è cominciata il 25 gennaio, secondo anniversario della rivoluzione che avrebbe determinato al fine del regime di Hosni Mubarak: nel mirino dei manifestanti, tra i quali spiccavano le formazioni dei giovanissimi anarchici di BlackBlocairo, il ministero degli Interni, il palazzo presidenziale e quello della televisione al Cairo, uffici governativi e sedi del partito di governo nelle altre città. È seguita una settimana di durissimi scontri. Il governo ha imposto il coprifuoco nelle città dello Stretto, tra le più attive nella lotta contro il nuovo regime islamico.
Di martedì la notizia dell’arresto di alcuni esponenti di BlackBlocairo.

Sulla situazione in Egitto ascolta l’intervista realizzata da Anarres a Salvo Vaccaro dell’università di Palermo.

Posted in Inform/Azioni, internazionale.

Tagged with , , .


I No Muos segnano un punto

no muos assemblea pLa resistenza all’installazione del nuovo sistema di collegamento satellitare USA nella sughereta di Niscemi in queste ultime settimane si è intensificata. Nonostante lo sgombero violento del 10 gennaio, i fogli di via, le denunce e le minacce sono continuati i blocchi a tutti gli accessi alla base militare statunitense.
L’assemblea regionale siciliana, nonostante le promesse, tentennava a revocare i permessi concessi alla marina statunitense. Martedì, dopo una seduta fiume delle commissioni ambiente e salute, nella quale sono stati ascoltati gli esperti gli esperti  delle parti in causa, ha deciso la revoca dei permessi.
Dopo mesi di lotta il movimento popolare ha obbligato la Regione a mantenere le promesse di fermare l’installazione militare statunitense.
Durante l’audizione degli esperti in strada manifestavano numerosi attivisti No Muos, gli stessi che in questi mesi hanno rallentato i lavori con la pratica dell’azione diretta.

Ascolta l’intervista realizzata da radio Blackout a Pippo Gurrieri dei comitati contro il Muos.

Posted in ambiente, Inform/Azioni.

Tagged with , .


Trivella di Venaria. Processo ai No Tav

DSC_0304Lunedì 4 febbraio è cominciato il processo contro 28 No Tav sotto accusa per la lotta alle trivelle dell’inverno 2010. Nel mirino il presidio permanente a Venaria, dove, grazie ad un’ampia solidarietà popolare, i No Tav riuscirono a rallentare i lavori finché in fretta e furia il cantiere venne smontato.
In via Amati la trivella arrivò nel tardo pomeriggio del 26 gennaio. Siamo in una zona di grandi palazzi stesi lungo la tangenziale, fiancheggiati da tralicci dell’alta tensione. Qui l’opposizione al Tav si legge, oggi come allora, nelle bandiere appese ai balconi.
Nel prato di fronte alla trivella ci siamo trovati in tanti: No Tav che si erano fatti tutti i presidi e gente di Venaria preoccupata per il proprio futuro, in questa periferia stesa tra la città e il niente delle auto in corsa oltre la barriera antirumore.

La trivella era accompagnata da un imponente nugolo di poliziotti, carabinieri e finanzieri in assetto antisommossa, che invasero la strada rendendo difficoltosa la circolazione.
Già nel tardo pomeriggio una cinquantina di No Tav armati di bandiere e striscioni fronteggiava nel prato la polizia. Partì il consueto tam tam e presto eravamo molti di più. Bidoni, legna, qualcosa da mangiare.
Un camion con le luci rimase bloccato dal gran numero di persone che si riversarono in strada. Furono tre giorni di presidio permanente, con assemblee, incontri, cene collettive.
Tanta gente che abita nella zona di via Amati scese in strada, partecipò alle discussioni, alla lotta.
Quelli che non potevano fermarsi portavano caffè caldo e una brioche, segni tangibili di una solidarietà vera.
La sera del 26 gennaio, nonostante un’abbondante nevicata all’assemblea spontanea tra il prato e la strada parteciparono centinaia di persone. Emerse netta la volontà di contrastare il sondaggio, di mettere i bastoni tra le ruote a chi pretendeva di imporre con la forza un’opera inutile e dannosa.
In serata arrivò anche il sindaco Pollari, che fece un po’ di acrobazie per acquisire consensi, ma convinse poco. Si disse contrario al Tav in Val Susa ma possibilista su una nuova linea a Venaria. Un colpo al cerchio – i cittadini di Venaria che presidiavano la trivella – e un colpo alla botte – il suo partito, il PD, schierato su posizioni si tav.
La gente sa bene che il Tav a Venaria correrà in mezzo alle case, fuori o in galleria, saranno dieci anni di cantieri, polvere, disagi per un’opera inutile e dannosa.

A due anni da quel gennaio la Procura di Torino ci presenta il conto. Alla sbarra siamo in 28, tutti scelti con cura tra gli attivisti più noti alla polizia politica, per tentare ancora una volta il gioco dei buoni e dei cattivi, nascondendo la realtà di una lotta popolare forte anche a Torino e nei paesi vicini.
Il processo era di competenza della sede di Ciriè del tribunale di Torino, ma è stato spostato nel capoluogo per ragioni di “ordine pubblico”.
In aula c’è il solito clima dei processi No Tav: tanta gente diversa che ha costruito i propri legami tra un presidio e una barricata. Gente che non si arrende alla violenza e ai tribunali.
Si comincia con grande ritardo, per qualche intoppo burocratico. Dopo il rituale appello, l’udienza viene sospesa per un’eccezione di tipo tecnico proposta da uno degli avvocati. La giudice valuta che uno dei compagni non era presente per un legittimo impedimento ed rimanda il processo al 4 marzo.
Fuori c’è una marea di poliziotti. Scopriremo dopo che temevano un incontro dialetticamente vivace tra No Tav ed Esposito e Boccuzzi, due onorevoli diessini, che si sono distinti per gli attacchi continui al movimento.
Inutile dire che se li avessimo incontrati faccia a faccia non avremmo nascosto la nostra indignazione specie a Boccuzzi, scampato alla strage della Thyssen, che, dopo aver cambiato la tuta con la giacca da deputato, ha dimenticato che i cantieri Tav nella sola tratta Bologna/Firenze hanno ucciso 83 lavoratori, uno per ogni chilometro di Tav costruito.
Il potere corrompe. Sempre.

Posted in Inform/Azioni, no tav, repressione/solidarietà, torino.

Tagged with , , , , .


La spesa di guerra dell’Italia

caccia-f-35La spesa di guerra dell’Italia non conosce crisi.
Il 28 dicembre scorso c’è stata, in sordina, la proroga delle missioni internazionali. Il budget messo sul tavolo dal governo è stato di 935 milioni, inferiore di mezzo miliardo rispetto a quello del 2012. Il testo pubblicato in Gazzetta, però, indica che la copertura finanziaria alle operazioni militari è relativa soltanto ai primi nove mesi dell’anno, cioè fino al 30 settembre 2013. Un taglio col trucco.
Una farsa simile a quella relativa a supposti tagli alla spesa strutturata del comparto difesa.
Quelli di Tremonti prima e la spending review poi sono stati “congelati” temporaneamente in vista della riforma dell’intero comparto voluta dal generale Di Paola e votata dalla camera il 12 dicembre. Gli eventuali risparmi che si otterranno da questa operazione non verranno utilizzati per scuole o ospedali ma resteranno a disposizione della Difesa e saranno impiegati per finanziare l’acquisto di nuovi sistemi d’arma, compresi i caccia/bidone F35 che costeranno 15 miliardi di euro. La loro riduzione si è fermata a 41 esemplari. Di novanta, a quanto pare, non si poteva proprio fare a meno.
La riduzione di 43mila unità, il 25% del personale civile e militare della Difesa e la vendita del 30% delle caserme servirà a comperare nuovi strumenti di morte. Si profila un’escalation di investimenti nell’industria bellica nei prossimi 10-15 anni. Un altro colpo di coda, stavolta assestato dalla casta con le stellette è l’aumento del 21%, dell’ausiliaria per generali e ammiragli in congedo, una sorta di indennità di chiamata, con un costo aggiuntivo per i contribuenti di 74 milioni di euro nel 2013.
Dulcis in fundo ci sono i due sommergibili di “ultima generazione” della classe U 212, detta anche classe Todaro. I due battelli costano quasi 1 miliardo di euro, che sommato all’altro miliardo già speso per altre 2 unità già entrate in esercizio e con base a Taranto, fanno 2 miliardi. Una somma pari a circa la metà dell’Imu sulla prima casa di proprietà.
Decodificare in modo chiaro la spesa di guerra italiana non è facile, perché, come rileva il SIPRI, l’Istituto Internazione di Ricerca sulla Pace di Stoccolma, spese riconducibili alla Difesa sono collocate in altri capitoli di bilancio dello Stato, come le spese per i sistemi d’arma finanziate dal ministero dello Sviluppo economico e le missioni internazionali a carico del ministero dell’Economia.
Con la legge di Stabilità del 2012 il bilancio della Difesa è passato dai 20,5 miliardi del 2011 ai 19,9 miliardi. La cifra totale delle spese militari tuttavia raggiunge i 23 miliardi se si considerano anche gli 1,7 miliardi destinati ai sistemi d’arma e gli 1,4 miliardi per le missioni all’estero. Le spese militari sono spese scomode, per questo si tende a nasconderle, in tutti i Paesi. Secondo il ministero i fondi al “Funzione difesa” sono pari allo 0,84 per cento del Pil (contro una percentuale che, nel 2004, era dello 1,01 e che attualmente negli altri Paesi europei è, in media, dell’1,61 per cento). Dato da cui sono però escluse le spese i carabinieri che sono la quarta forza armata e per i militari che impiegati nel pattugliamento delle strade, impiegati nei CIE o nella repressione dell’immigrazione. In altre parole, le spese per la guerra interna.

Anarres ne ha parlato con Pietro Stara. Ne è scaturita una chiacchierata che è tracimata oltre il tema della spesa per investire una riflessione sugli spazi, le possibilità e l’urgenza di una resistenza al militarismo e alla guerra che non sia solo testimoniale. 

Ascolta l’intervista

Posted in antimilitarismo, Inform/Azioni.

Tagged with , , .