Disinformazione, menzogna esplicita, persino la calunnia sono state armi ampiamente usate contro il movimento No Tav. Gli attivisti di lungo corso non ne fanno certo una malattia: si vaccinano ogni anno al principio dell’autunno. Quest’anno il ceppo influenzale è comunque particolarmente virulento.
Il tema è quello consueto. La tesi è sempre la stessa: la maggioranza dei No Tav sarebbe ostaggio di una minoranza di violenti. Il movimento viene descritto come una maggioranza di brave persone disponibili a manifestare pacificamente, senza provare ad inceppare i meccanismi del cantiere. Suonano questa canzone con infinite variazioni da moltissimi anni, ma non riescono mai a darle la giusta intonazione. Il movimento li ha sempre smentiti. Con le parole e, soprattutto, con i fatti.
L’estate No Tav è stata durissima. La violenza della polizia e la stretta repressiva sono state il segno esplicito della volontà di dare una spallata definitiva al movimento, di spingerlo a suon di manganellate ed arresti su un piano meramente testimoniale.
L’inverno e la prima parte della primavera erano state segnate da azioni di sabotaggio a sorpresa che, sia pure su un piano poco più che simbolico, erano riuscite a mettere in difficoltà l’avversario.
Il 13 giugno un’assemblea popolare svoltasi a Bussoleno aveva sancito che le azioni contro mezzi del cantiere/fortino, ditte collaborazioniste, strumenti di controllo militare erano condivise e sostenute dal movimento.
Durante l’estate si sono moltiplicati i sabotaggi fuori dal cantiere. Le azioni notturne in Clarea sono invece per lo più fallite: emblematica in tal senso la notte del 19 luglio, quando il governo Letta ha messo in campo il meglio del proprio apparato repressivo, tra torture, molestie sessuali, botte ed arresti.
La risposta del movimento è la marcia diurna del 27 luglio con migliaia di persone che attraversarono la zona occupata, passando per i sentieri tra Giaglione e Chiomonte.
Due giorni dopo la Procura passa all’attacco accusando una dozzina di giovani No Tav di terrorismo. È il 29 luglio. Il giorno successivo mentre la piazza del comune di Bussoleno si riempie per una manifestazione di solidarietà, i primi trasporti speciali portano i primi e più importanti pezzi della talpa nella fortezza di Chiomonte.
Il mese di agosto è segnato dal tentativo di bloccare il passaggio di altri pezzi della talpa – un mostro di oltre duecento metri destinato a perforare la montagna. Quasi impossibile intercettare trasporti speciali a sorpresa, ma i No Tav ci provano lo stesso. Nessuno si arrende, la lotta continua, la repressione si incrudisce. Ci sono arresti per blocco stradale e persino per aver smascherato una giornalista che, sotto mentite spoglie, scattava foto per la polizia.
In settembre la campagna stampa diventa feroce, senza esclusione di colpi: il movimento tiene ma non è facile.
Particolare è l’insistenza sulle azioni di sabotaggio, sempre descritte come atti violenti, nonostante siano colpite solo cose. I sabotaggi sono equiparati ad atti di terrorismo. Una parola che spaventa, sulla quale provano ad aprire crepe nel movimento. La confusione aumenta quando uno dei siti No Tav decide di dare voce e chi crede che alcuni sabotaggi e, in particolare quello contro la Geomont di Bussoleno del 30 agosto, siano opera della mafia Si Tav o magari dello stesso imprenditore per avere i soldi dell’assicurazione.
L’azione di disinformazione lavora ai fianchi il movimento, cercando di diffondere un sentimento di sconfitta, insistendo sui successi dello Stato nell’imporre l’avvio dei lavori per il tunnel geognostico. Difficile credere ad una vittoria che si gioca sulle armi, senza scalfire l’opposizione popolare all’opera. Lo scopo però non è convincere ma vincere e per vincere occorre diffondere lo sconforto, suscitare l’idea che i giochi siano fatti, che la partita si sta chiudendo.
In agosto hanno deciso di inviare in Clarea altri 225 soldati. In questo modo il presidio militare sale a 450 effettivi, ai quali bisogna aggiungere centinaia di poliziotti, carabinieri, guardie di finanza.
Non solo. Tra le pieghe del decreto sul femminicidio hanno inserito norme che consentono di estendere il controllo militare, aumentando le sanzioni per chi si oppone.
Sebbene l’incrudirsi della repressione sia sintomo della difficoltà di fermare il movimento, il rafforzamento del dispositivo militare viene usato dai media per tentare di far crescere lo sconforto, l’idea che tutto sia perduto.
Nella stessa direzione vanno le azioni volte a mostrare un sostegno all’azione delle forze dell’ordine da parte della popolazione spaventata dalle azioni No Tav.
Andava in questa direzione la lettera di 500 cittadini di Susa comparsa a settembre sul bisettimanale di area cattolica “La Valsusa”. Le firme, tutte coperte dall’anonimato, hanno avuto ampia eco mediatica, perché tra i meccanismi più utilizzati dalla disinformazione c’è il cosiddetto “agente di influenza”, cui la rivista Gnosis, vicina ai servizi segreti italiani, ha dedicato un ampio articolo.
L’agente di influenza è una persona o un gruppo di persone che fanno azioni comunicative per spostare l’orientamento dell’opinione pubblica, per ottenere consenso ad una scelta politica del governo, per creare confusione tra le file degli avversari.
Tra i mezzi più usati ci sono le lettere ai giornali, perché le parole di un comune cittadino consentono meccanismi di identificazione, rispetto a editorialisti ed opinion maker, la cui influenza tende a far da specchio a settori già definiti di lettori, ascoltatori, spettatori.
Quest’operazione è stata disinnescata dal comitato di Susa, che ha raccolto oltre 2.500 firme contro l’occupazione militare, pagando a “La Valsusa” un paginone per farle pubblicare.
Sull’agente di influenza Anarres ha intervistato Robertino Barbieri.
Ascolta la diretta:
L’ultimo capolavoro dei media è sotto gli occhi di tutti in queste ore. Non c’è giornale che non abbia scritto che il corteo romano per la casa e i diritti sociali di questo 19 ottobre non fosse un corteo No Tav. Nonostante il corteo sia stato organizzato soprattutto dai movimenti per la casa, nonostante sia stato più volte annunciato che i No Tav sarebbero stati presenti a Roma solo con una delegazione, ormai il marchio “No Tav” è usato dai media ogni volta che vogliono evocare scenari di guerra nelle strade.
In tante altre occasioni i legami di solidarietà stretti nella lotta in valle si sono riallacciati in altri luoghi, dalla Sicilia dei No Muos alla Campania in lotta contro discariche e inceneritori. Lo stesso è accaduto per l’appuntamento del 19 ottobre. Ma poco importano i fatti quando la narrazione proposta dai media va oltre, costruendo un proprio mondo parallelo.
I No Tav sono per i media e i politici il nemico per eccellenza, i cattivi maestri di un paese,che stenta a radicare il conflitto sociale nei territori ma vede in questa, come nelle altre lotte locali, una possibilità di mettere davvero in difficoltà un sistema di relazioni politiche e sociali, che impone con la forza quello che non riesce ad ottenere con l’inganno.