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Padalino chiede 80 anni di galera per gli antirazzisti torinesi

croce_rossa_assassinaOggi nella maxi aula 3 del tribunale di Torino il PM Andrea Padalino ha fatto la requisitoria al processo contro gli antirazzisti torinesi. Ha chiesto pene variabili tra l’anno e mezzo e i cinque anni e mezzo, per un totale di 80 anni. Con la grazia che lo contraddistingue ha descritto gli antirazzisti come “squadristi” che non hanno il coraggio di rivendicare le proprie azioni, dediti alla violenza, professionisti con tanti carichi pendenti.
Il PM tenta di screditare con epiteti infamanti chi in questi anni si è battuto contro le leggi razziste, i CIE, le retate dei senza documenti, la violenza di fascisti e leghisti.
Nel mirino di Padalino l’assemblea antirazzista, che già nel 2010 tentò senza successo di trasformare in un’associazione a delinquere. Venne smentito dalla Cassazione ma non mollò la presa, imbastendo ben due processi con 67 imputati. Lo scopo è ottenere condanne più gravi, eliminando il vantaggio della continuazione.
La prossima udienza per le arringhe dei difensori è fissata venerdì 16 gennaio. Il giorno stesso o poco dopo verrà emessa la sentenza.
Nei prossimi mesi si concluderà la seconda tranche del processo: Padalino vorrà pestare duro anche in quell’occasione.

Nel descrivere l’assemblea antirazzista l’ha definita come un ambito antagonista, in cui sono confluite anime diverse tra cui alcuni esponenti “di spicco” della Federazione Anarchica Italiana. Chi ha una mentalità gerarchica pensa che le relazioni di dominio siano le sole possibili. Impossibile per il PM cogliere la diversità intrinseca delle relazioni tra uomini e donne liberi.

Vale la pena fare un passo indietro per cogliere la lucida criminalità delle richieste di Padalino.
Siamo a cavallo tra il 2008 e il 2009. Sono anni terribili. La propaganda xenofoba e razzista martellante è la colonna sonora di provvedimenti che perfezionano un apparato repressivo, che sancisce un diritto diseguale, per chi ha in tasca i documenti e per chi non li ha.
E’ in questo periodo che vengono inventati il reato di immigrazione clandestina, i respingimenti collettivi in mare, che trasformeranno il Mediterraneo in un sudario. Nei CIE la detenzione amministrativa, in se un ossimoro, passa da due a sei mesi di reclusione: i prigionieri – per Padalino sono ospiti – danno vita ad un’estate di rivolte e di fuoco. Due anni dopo il periodo di trattenimento arrivò a un anno e mezzo. Solo di recente, dopo anni di sommosse che hanno fatto a pezzi il sistema CIE, il periodo di reclusione è stato ridotto a tre mesi.

Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni:
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.

Nell’assemblea antirazzista si intrecciarono percorsi e lotte.
Per quelle lotte la Procura torinese chiede 80 anni di galera.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne attivi nelle lotte.
Furono tantissime le iniziative di quegli anni. Iniziative che, sia pure di minoranza, contribuirono a tenere accesi i riflettori ed a sostenere le lotte dentro i CIE, contro lo sfruttamento del lavoro migrante, contro la militarizzazione delle periferie.
Vogliono tappare la bocca e legare le mani a chi si ostina a voler cambiare un ordine sociale feroce, ingiusto, predatorio, razzista.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
L’intero impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione.

Nel mirino il “cacerolazo” – 2 giugno 2008 – alla casa del colonnello e medico Baldacci, responsabile del CPT, dove un immigrato era morto senza cure il 23 maggio; il presidio al Museo egizio – 29 giugno 2008 – per ricordare l’operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione – 17 luglio 2008 – dell’assessore all’integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata – 11 luglio 2008 – contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta – 20 marzo 2009 – alla lavanderia “La nuova”, che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l’elenco è molto più lungo. In tutto decine iniziative messe insieme per cucire addosso ad un po’ di antirazzisti accuse tali da portarli in galera.

In questi anni – pur finita l’esperienza dell’Assemblea antirazzista, chi vi si era riconosciuto ha continuato, ciascuno a suo modo, a lottare per le strade di questa città.
Padalino ha sostenuto che la prova della criminalità degli antirazzisti è nella continuità delle lotte, che vanno avanti nonostante la repressione.

L’urgenza politica e morale di quegli anni è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri è oggi più che mai un’urgenza ineludibile. Provano a fermarci con la repressione: non ci riusciranno.

Federazione Anarchica Torinese

Di seguito il testo della dichiarazione spontanea fatta oggi in tribunale da due compagni della FAT, Maria Matteo ed Emilio Penna.

Non siamo qui per difenderci.

I codici riducono le lotte sociali a reati, i pubblici ministeri le trasformano in accuse.

Le lotte per le quali siamo qui si sono dipanate tra il 2008 e il 2009.

Siamo qui per raccontare di un’urgenza. Un’urgenza che è venuta crescendo – giorno dopo giorno – nei luoghi che viviamo e nelle nostre coscienze.

I roghi fascisti contro i rom, le aggressioni contro gli immigrati, la cappa feroce del razzismo istituzionale già disegnavano il presente terribile nel quale siamo forzati a vivere.
La nostra era un’urgenza politica e sociale, ma, soprattutto, etica.

In quegli anni provammo a tessere una rete di solidarietà, per porre argine alla violenza e per gettare i semi di un agire comunicativo capace di rompere la tenaglia del razzismo diffuso nei quartieri popolari dove la guerra tra poveri era già una realtà.

Intrecciammo con altri i nostri percorsi di resistenza al razzismo, per mettere insieme intelligenze, energie, tempo, capacità e saperi e tentare di ridisegnare lo spazio sociale della nostra città. Uno spazio violato dalle retate della polizia contro gli immigrati, dai raid fascisti e razzisti, dalla presenza di un CIE dove la favola dell’eguaglianza dei diritti e delle libertà mostra – più che mai – l’atroce farsa della democrazia.
Uno spazio dove si vive male tutti, perché il lavoro che non c’è, che è precario, pericoloso, mal pagato è nella quotidianità di ciascuno. Uno spazio dove la martellante propaganda razzista crea solchi sempre più larghi, dove il risentimento verso gli ultimi prende il posto dell’odio per chi comanda e sfrutta tutti.

Occorreva rompere il muro del silenzio e dell’indifferenza, spezzare la cappa dell’odio.
La guerra tra poveri cancella la guerra sociale, distrugge la disponibilità all’incontro, corrode la solidarietà, apre la strada alla giungla sociale.
Ridisegnare il territorio significava in primo luogo presidiarlo, facendo sentire ad immigrati e clandestini la nostra presenza solidale. Ma non solo.
Abbiamo intrapreso un’offensiva culturale che spezzasse il cerchio della paura, aprisse spazi di incontro e relazione, ponendo le basi di un’azione comune contro i nemici di tutti, che restano quelli di sempre, i padroni che ci portano via la vita, giorno dopo giorno.

Abbiamo un solo rammarico. Non essere riusciti a fare di più.

Nella roulette russa della guerra sociale c’è chi affonda e chi resta a galla. Quando la marea sale cresce il numero dei sommersi.
Chi resta ai margini, chi non resiste non dica domani che non sapeva, non dica che non voleva.

Quando qualcuno ci chiederà dove eravamo quando bruciavano le baracche dei rom, quando la gente moriva in mare, quando i lavoratori immigrati erano poco più che schiavi, vorremmo poter rispondere che eravamo lì, tra gli altri, per metterci di mezzo, perché abbiamo sentito il suono della campana e abbiamo saputo che suonava per noi.

Non c’è più tempo. Se non ora, quando? Se non io, chi per me?

Chi non ferma la barbarie ne è complice.

Maria Matteo, Emilio Penna

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Antifascisti a Mirafiori. Un flop la marcia antirom

232738945-e79f1721-4a01-444a-954d-44b856786a8bVolevano il bis, ma questa volta la canzone era decisamente bassa e stonata. Il comitato “Riprendiamoci il quartiere” aveva annunciato per sabato 28 novembre l’intenzione di tornare a percorrere le strade di Mirafiori per cacciare i rom che ci abitano. Quindici giorni fa erano circa duecento, armati di fiaccole e striscioni. Il risultato di far scappare i rom l’avevano già ottenuto: la polizia aveva spinto ad andare via i 50 profughi di guerra della Bosnia, che da 20 anni vivono in roulotte parcheggiate in via Artom. E loro, abituati a muovere per il quartiere le loro roulotte, ancora una volta si sono spostati.
Provate ad immaginare.
Provate ad immaginare se ci riuscite.
Un giorno bussa alla porta di casa vostra un gruppo di uomini armati, grandi e grossi e vestiti con abiti che li qualificano come poliziotti. Questi signori e signore avrebbero, così dicono, il compito ed il dovere di difendere i più deboli da soprusi e prepotenze.
IMG_20141129_170116Provate ad immaginare.
Provate ad immaginare che questi uomini armati vi informino che i fascisti vogliono cacciarvi dalla vostra casa. Provate ad immaginare che vi dicano perentoriamente di andare via.
Impossibile? Per voi forse si, per le famiglie rom di via Artom invece non è che l’ultimo atto di una lunga serie di soprusi.
Niente documenti, apolidi senza né diritti né tutele, fanno fatica a mandare a scuola i bambini. Non hanno un gabinetto e si arrangiano.
232737722-9c37103c-f3b8-4b1f-8165-02ac36bd86d5Vita grama ai margini di un parco triste. C’è un circolo Arci intitolato ad un operaio ed alpinista genovese sparato dalle BR perché aveva denunciato alla polizia alcuni operai come lui. Una storia che, ci accorgiamo, nessuno sa più: i decenni passano e le passioni di allora trascolorano nella memoria senza lasciare traccia.
Più in là, oltre la rotonda, c’è la “Casa nel Parco”, una specie di bar ristorante made in PD.
Qui, quando scende il buio i parcheggi restano vuoti e non c’è nessuno. Da due settimane non ci sono più nemmeno le roulotte degli ultimi, i rom senza documenti né identità sancita dalla marca da bollo. Nella narrazione stupidamente romantica i rom e i sinti sono considerati liberi: peccato che senza le carte siano privi del lasciapassare per una vita come tutti.
“La carta è solo carta: la carta brucerà”. Un bello slogan, che sarebbe emozionante si trasformasse in pratica di sottrazione dalle regole, dal controllo, dall’incasellamento. Tocca a noi far sì che accada.
232738821-a1d02ffc-e2cf-4613-a72f-331dc0ee85d1Torniamo a sabato.
Il comitato “Riprendiamoci il quartiere”, di fatto un avatar di Forza Nuova, è capitanato da due signore che hanno fatto appello ai comitati di altri quartieri.
I numeri sono impietosi: al culmine della giornata non superano i 40. Il raduno viene spostato lontano da via Vigliani dove i mercatari sono contro tutti perché temono per gli affari del sabato pomeriggio. I fascisti resteranno isolati in un angolo di via Artom, difesi da centinaia di uomini in armi, gli stessi che avevano “invitato” alcune famiglie con bambini ad andare via.

Gli antifascisti sono alcune centinaia. Fronteggiano a lungo la polizia, poi, mentre un gruppo presidia via Artom, gli altri attraversano in corteo quest’angolo di quartiere.
232738764-ae63b9ea-71e0-4de3-a78e-f78b3f3ea17bRaccontano della Mirafiori antifascista del 1943, degli scioperi contro il fascismo, degli operai uccisi e di quelli deportati. Raccontano dei tempi dell’immigrazione dal sud, del mondo che cambiava, della diffidenza verso i “terroni” che si stempererà nel fuoco delle lotte di fabbrica e di quartiere. A tratti emerge, sia pure con una certa “timidezza”, il tema della crociata fascista, la voglia di pogrom di quelli di Forza Nuova.
Uno striscione ricorda a chi guarda, alla gente che si affaccia alle finestre che “i rom sono torinesi come noi”. Una verità banale, ma potente. Un grimaldello contro il razzismo.
Serve un gran lavoro per scardinare tutte le porte – reali e simboliche – che rendono possibile il perdurare dello stigma potente che marchia a fuoco uomini, donne e bambini.
Come facevano i nazisti nei campi di sterminio, dove, tra stenti, torture e camere a gas, ne morirono 500.000. Storie dell’altro secolo? No storie di questo secolo. Non in Germania ma qui, a pochi passi dalle nostre case. Una consigliera comunale di Motta Visconti ha già messo a disposizione il forno della sua locanda.

Il secondo round a Mirafiori è stato tutto per gli antifascisti. Resta l’impegno per un’offensiva politica e culturale che riesca a scalfire il muro di odio, indifferenza, disprezzo verso chi ha pochissimo e rischia di perdere tutto.

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No Tav. Per un nuovo dicembre di lotta

ventoNella memoria della gente che si batte contro il Tav il dicembre del 2005 è una pietra miliare. Tra novembre e dicembre si consumò un’epopea di lotta entrata nei cuori di tanti. Un movimento popolare decise di resistere all’imposizione violenta di un’opera inutile e devastante e, nonostante avesse quasi tutti contro, riuscì ad assediare le truppe di occupazione, costruendo la Libera Repubblica di Venaus. Dopo lo sgombero violento il movimento per qualche giorno assunse un chiaro carattere insurrezionale: l’intera Val Susa si fece barricata contro l’invasore. L’otto dicembre era festa. La manifestazione, dopo una breve scaramuccia al bivio dove la polizia attendeva i manifestanti, si trasformò in una marcia che dopo aver salito la montagna, scese verso la zona occupata mentre lieve cadeva la neve. I sentieri in discesa erano fradici di acqua e fango ma nessuno si fermò. Le reti caddero e le truppe vennero richiamate.
Nel 2011 – dopo la dura parentesi dell’inverno delle trivelle – sono tornati, molto più agguerriti che nel 2005.
Lo Stato non può permettersi di perdere due volte nello stesso posto.
L’apparato repressivo fatto di gas, recinzioni da lager, manganelli e torture si è dispiegato in tutta la sua forza. La magistratura è entrata in campo a gamba tesa. Non si contano i processi che coinvolgono migliaia di attivisti No Tav.
Governo e magistratura non hanno fatto i conti con la resistenza dei No Tav. Non hanno fatto i conti con un movimento che si è stretto nella solidarietà a tutti, primi tra tutti quelli che rischiano di più, i quattro attivisti accusati di attentato con finalità di terrorismo per un sabotaggio in Clarea.
Per loro i PM Padalino e Rinaudo hanno chiesto nove anni e mezzo di reclusione.
Mercoledì 26 novembre un’assemblea popolare ha deciso che questo sarà un dicembre di lotta. Dopo la buona riuscita della manifestazione del 22 novembre a Torino, il movimento punta all’anniversario della ribellione del 2005 per una due giorni di lotta popolare.
Il 7 dicembre ci sarà una fiaccolata solidale per le vie di Susa, il giorno successivo, dopo le celebrazioni del giuramento partigiano della Garda dell’8 dicembre 1943, l’appuntamento è a Giaglione e Chiomonte per una giornata alle reti del cantiere.

E per il giorno della sentenza? Sarà quasi sicuramente pronunciata il 17 dicembre.
L’appuntamento è alle 17,30/18 in piazza del mercato a Bussoleno.

Se le notizie dal tribunale saranno buone sarà un giorno di festa. In caso contrario la risposta del movimento No Tav sarà forte e chiara.

In questi giorni forte è stata l’indignazione per la sentenza che ha cancellato la dignità di migliaia di lavoratori e cittadini di Casale Monferrato, torturati a morte e uccisi dai padroni della Eternit. La giustizia dei tribunali, ancora una volta ha mostrato il suo volto di classe, assolvendo chi si è fatto ricco sulla vita dei più.
Qui nessuno è disposto a morire senza resistere, nessuno spera nella giustizia dei tribunali. I No Tav lo hanno imparato negli anni: la libertà non si mendica, bisogna conquistarla.

Sull’assemblea ascolta la diretta realizzata da radio Onda D’Urto con Maria, un’attivista No Tav.

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Italiani brava gente? Il razzismo contro slavi ed ebrei a Trieste

oloIn occasione del 75° anniversario dell’annuncio delle leggi razziali, fatto a Trieste il 18 settembre 1938 da Benito Mussolini, il Comitato Cittadini Liberi ed Eguali promosse lo scorso anno un convegno. Dalle relazioni a qull’incontro è nato un libro.
Un libro che raccoglie sia gli interventi di esperti e studiosi sia le testimonianze di persone che quel giorno erano in Piazza Unità. Per l’occasione vennero recuperati filmati e foto dell’epoca. In tre quarti di secolo, le istituzioni democratiche hanno ignorato la ricorrenza. Il libro è un tentativo di sedimentare una memoria quasi cancellata.

L’antisemitismo a Trieste, strettamente collegato a quello di matrice austriaca e tedesca, offre strumenti per lo sterminio degli ebrei giuliani, messo in pratica dopo l’8 settembre 1943, nel famigerato Adriatische Küstenland. Appositi uffici dell’anagrafe si occuparono di redigere con zelo le liste degli ebrei triestini, elenchi che poi consegnarono agli agenti nazisti, incaricati nel 1943 degli arresti e delle deportazioni. Continued…

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Emilia Romagna. Il grande flop del voto

incidente-trenoIl risultato delle regionali in Emilia Romagna ha stupito? L’esito no, cioè la conferma al governo della regione del partito che l’ha amministrata dal 1970, ma l’affluenza al voto, che non ha raggiunto il 38 % degli aventi diritto, è stato un crash test per il sistema politico della regione.
Il voto ha dimostrato la lontananza della base del partito dalle politiche confindustriali di Renzi. Ha ricordato anche che le schifezze clientelari di Errani e di tutto il consiglio regionale, nonché il problemuccio dei rimborsi spese che ha coinvolto anche Bonacini, il presidente eletto, hanno incrinato il sistema fiduciario che da decenni ha sostenuto i partiti di sinistra al governo della regione . Ha dimostrato che senza il leader Forza Italia non esiste e che in Emilia Romagna si trovano ancora resistenze alla becera demagogia razzista sulla quale la lega nord, anzi Salvini ha costruito la campagna. Non a caso Salvini è stato l’unico leader nazionale che ha condotto la campagna regionale: la lega nord in Emilia Romagna si era auto estinta e nessuno ne sentiva la mancanza.
Il M5S è finalmente emerso come il partito autoritario che è. Un partito che ha avuto il coraggio di presentare per l’ennesima volta Giulia Gibertoni riciclata dopo non essere stata eletta al parlamento europeo. Insomma roba già vista.
L’astensione è il risultato della disillusione, dell’allontanamento da questo sistema politico di centinaia di migliaia di persone. Così il nuovo presidente Stefano Bonacini, eletto con il 49% delle preferenze, in realtà avrà la delega del 18% degli aventi diritto.

Questi i risultati, PD 535.109 voti (857.613 nelle regionali del 2010) e Sinistra Ecologia e Libertà 38.845 voti (37.698 nel 2010) raggiungono il 49,69 %. La Lega Nord 233.439 voti (288.601 nel 2010) con Forza Italia 100.478 (518.108 nel 2010) raggiungono il 29,79%. Il M5S 159.456 voti (126.619nel 2010) raggiunge il 13,26%. Infine l’Altra Emilia Romagna con 44.676 voti tocca il 5%.

Il M5S non è più valvola di sfogo dei delusi; doppiamente delusi. Il modello statunitense dei due megapartiti che si autosostengono con le stesse politiche neoliberali che omogenizzano il panorama istituzionale non rappresenta più un riferimento credibile.
Mentre Renzi e una coalizione parlamentare trasversale si organizzano e costruiscono una riforma elettorale che consentirà ad una forza con il 35/37 % dei voti di avere un’ampia maggioranza in parlamento come si tradurrà politicamente la disillusione e la rabbia verso questo panorama politico, la distanza dai partiti e la consapevolezza degli interessi malsani che questi  generano?
Due sono le possibilità, aspettare il prossimo demagogo, il leader che ridia fiducia e speranza a milioni di elettori assuefatti da decenni di processi di delega o ricostruire faticosamente e lentamente processi partecipativi reali, traducendo l’astensionismo amorfo in una forza sociale attiva.

Ne abbiamo parlato con Simone, astenuto nonché anarchico.

Ascolta la diretta

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Mirafiori. I rom nel mirino dei fascisti: antifascisti in piazza

imageSabato prossimo il comitato “Riprendiamoci il quartiere” – avatar dei fascisti di di Forza Nuova – ha organizzato una nuova marcia contro i rom a Mirafiori. L’obiettivo dichiarato è la loro cacciata da via Artom. Per la seconda volta in due settimane i fascisti tornano in piazza a Mirafiori. Vogliono guadagnare consensi giocando la carta della guerra tra poveri, individuando nei più miseri e diversi il perfetto capro espiatorio.

Questa volta ci saranno anche gli antirazzisti e antifascisti.
L’appuntamento è per sabato 29 novembre alle 16 invia Artom angolo via Pisacane

Il pregiudizio razzista contro i rom è tra i più radicati: i fascisti fanno leva su uno stigma potente, difficile da smontare.
Difficile sradicare la convinzione che i rom ricevano i famosi 35 euro dalle istituzioni. Una favola utile a disegnarli come volutamente viziosi, delinquenti nonostante l’assistenza ricevuta. Una favola nera, come quella dei ladri di bambini.
In realtà i soldi ci sarebbero: sono quelli che l’Unione Europea stanzia per “l’integrazione dei rom”. Peccato che vengano assorbiti dalla spugna delle associazioni che se ne occupano e perpetuano se stesse grazie a quei soldi.
Eppure la realtà è sotto gli occhi di tutti.
I rom di via Artom sono profughi di guerra. Sono arrivati dalla Bosnia vent’anni fa: nel loro paese non hanno più nulla, hanno perso tutto. Sono una cinquantina, la maggior parte bambini.
Vivono qui da due generazioni ma non hanno documenti: sono apolidi ma non hanno neppure il documento che lo attesta: sono stati più volte accompagnati in questura o nei CIE ma non sono mai riusciti ad espellerli. Sono profughi ma non godono delle scarse possibilità di lavoro (temporaneo e super precario) offerte ai rom a Torino.
Nell’estate del 2011 Idea Rom ha avviato un progetto che coinvolge cinque famiglie rom, per l’inserimento educativo dei bambini, che avevano cominciato a frequentare la scuola ogni giorno. Purtroppo la continuità scolastica è ostacolata dai continui spostamenti cui sono costrette le famiglie dalle Forze dell’Ordine. A volte si devono spostare ogni giorno.
Solo due famiglie sono riuscite a regolarizzarsi grazie al matrimonio di due donne con altri rom provvisti di documenti ed hanno affittato un appartamento.

I comitati spontanei puntano il dito sull’immondizia e sui furti. Peccato che i rom puliscano mentre spesso a buttare i rifiuti siano persone della zona. Le accuse di furto, omicidio stradale, aggressione non hanno trovato nessun riscontro. In compenso alcuni ragazzi italiani sono stati arrestati e condannati per furto di metalli in una fabbrica della zona.
Siamo in un quartiere dove arrivare a fine mese è difficile per tutti, un quartiere di antica emigrazione cresciuto intorno ad una fabbrica che non c’é più. Un posto dove i numeri a due cifre della disoccupazione sono più alti che altrove. Negli anni Settanta il razzismo feroce contro i meridionali si stemperò nelle lotte comuni nei capannoni della Fiat come tra le case/dormitorio di questa periferia dimenticata.

Un solo fatto è vero. I rom fanno i loro bisogni in strada, nel parco, dove possono. Peccato che se venisse dato loro il permesso si costruirebbero volentieri i servizi igienici. La merda in strada è colpa dei poveri, cui è negato tutto, o di chi potrebbe fare e non fa? Le istituzioni lasciano aperta una discarica sociale, così chi ci deve vivere trova nel vicino più povero il proprio nemico. E i fascisti soffiano sul fuoco. Di qui ai pogrom il passo è breve. Come dimenticare il rogo della Continassa, dove le baracche degli zingari bruciarono per la bugia di una ragazza che aveva accusato i rom di uno stupro mai avvenuto? Nel 2007 in via Vistrorio il campo venne distrutto dalle molotov. I media accusarono i rom di essersele bruciate da soli. Mesi dopo sul cellulare di un fascista arrestato trovarono le foto e la rassegna stampa di quell’attentato.

A Mirafiori anche la parrocchia di San Remigio, addossata all’insediamento, ha sempre impedito ai Rom l’uso della toilette. In barba ai bei discorsi dell’Arcivescovo Nosiglia.

Vi proponiamo la diretta realizzata dal’info di radio Blackout da Cecilia, una compagna che conosce bene le loro condizioni di vita a Torino e le scelte di segregazione che caratterizzano le istituzioni cittadine.

Ascolta la diretta

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Eternit. La giustizia dei padroni

COMPLOTTO_BIANCONon si è ancora spenta l’eco della sentenza della Cassazione che ha cancellato la condanna per gli imprenditori svizzeri, che hanno usato come carne da macello migliaia di operai. Solo a Casale Monferrato sono morte tremila persone. Tra loro anche familiari dei lavoratori, bambini che hanno giocato in quella polvere grigia ed assassina.
Torturati ed uccisi. Il mesotelioma pleurico è il tumore che colpisce gli esposti all’amianto: le fibre ti entrano dentro e prima o poi cominciano a rosicchiarti la vita. Muori soffocato.
La sentenza di Roma fa soffrire, perché ha macinato le speranze di tanta gente comune, che aveva perso una persona cara e credeva nel lieto fine. Un lieto fine che non c’é stato: una dura lezione sulla democrazia, sul capitalismo, sul gioco truccato delle aule di tribunale.
Non c’é scampo. Se il tavolo è truccato non resta che rovesciarlo.

Oggi i giornali hanno diffuso la notizia delle promesse del primo ministro Renzi alla gente del comitato di Casale: se ci sarà un processo bis, lo Stato si costituirà parte civile. Un’altra manciata di illusioni per la gente di Casale e per i tanti esposti all’amianto?

Alberto Prunetti ha seguito il processo. Il suo libro “Amianto. Una storia operaia” racconta una storia che gli ha segnato la vita. L’amianto ha ucciso suo padre. Non aveva ancora sessant’anni. Tanti lavoratori sono morti alla stessa età, dopo una vita di lavoro.
L’amianto ucciderà ancora: secondo i medici il picco delle morti deve ancora arrivare. L’ultima vittima di Casale è una ragazza di 28 anni, che ha respirato la morte nell’età dei giochi.

Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Alberto

A caldo, subito dopo la sentenza, sull’Internazionale è comparso un suo articolo che vi proponiamo di seguito.

“Siete quelli dell’amianto? Andate al Palazzaccio domattina? In bocca al lupo, allora”.

Ci avevano avvertito, i romani.

“In bocca al lupo”. Da prendere come augurio di buona sorte ma forse anche alla lettera, come pericolo di fronte al potere intimidatorio della giustizia.

Ci avevano avvertiti ma il lupo ci ha mostrato i denti mentre la giustizia, che abita un palazzo simile a un labirinto, si faceva vedere da lontano e poi scompariva subito.

Impressionandoci. Noi, figli di operai, abituati a calpestare umili pavimenti. Vedove di lavoratori, mondine diventate casalinghe e poi vedove trasformate da un destino amaro in attiviste. Signore anziane, con le stesse rughe delle Madres de Plaza de Mayo, lo stesso dolore in petto e la stessa ansia di giustizia. Quella giustizia che ha fatto capolino e poi è sparita subito, “in bocca al lupo”, in qualche corridoio bordato di marmo.

Il cuore si placava solo uscendo dal palazzo, quando trovavi i brasiliani, arrivati per aprire una vertenza nel loro paese; gli inglesi, che a Manchester registrano sei casi di mesotelioma alla settimana e hanno le scuole infestate di amianto; e poi i francesi, i belgi, gli olandesi e anche due giapponesi e un argentino. Tutti familiari di vittime dell’amianto, di quella formidabile macchina di ricchezza e morte che dispensa ai ricchi la prima e il resto ai poveri.

Una sentenza pre-scritta. Peccato che prescrivendo la sentenza hanno condannato noi. Condannati a una memoria senza giustizia, alla derisione del potente, alla beffa della Dea cieca con la bilancia in mano. Al lavoro di Sisifo di tornare a scrivere le nostre storie, la nostre ingiustizie, ogni volta da capo, col fegato che si fa amaro.

La sentenza è prescritta ma anche domani a Casale qualcuno si sveglierà con un colpo di tosse e il dolore ai reni. Qualcuno sputerà e un altro morirà, dopo aver distribuito un volantino contro la polvere, come si fa da quelle parti, con dignità e gli occhi lucidi. Gli stessi occhi lucidi di chi stava accanto a me al processo, ascoltando la sentenza. Sentenza prescritta. Non assolto, il reato c’è. Ma prescritto. Anche se ne ho visti che in secondo grado a Torino volantinavano contro l’Eternit e non sono riusciti a arrivare vivi, ieri, in Cassazione.

Si può prescrivere allora anche la morte di domani? Anche quella di oggi? È quasi peggio che avessero detto che il fatto non sussiste, almeno nel loro mondo al contrario. Diciamocelo anche noi, diamo tregua al cuore: non sono morti a migliaia, non è successo davvero. Magari posso inventarmi con la penna un mondo in cui i morti della Eternit tornano a casa stasera, perché in fondo non sono mica morti, sono solo stati prescritti.

E allora me li immagino quei vecchi operai, i nostri vecchi. A fare l’orto, a bere un bicchiere di barbera, a volantinare contro le multinazionali, fino all’ultimo respiro. Nel mondo dove si dà la vita vera. In quel mondo che forse sta solo nei nostri cuori o nei nostri sogni, in quel mondo che non è di questo mondo c’è giustizia, finalmente. Ma non si dà vita vera nella vita falsa e qui oggi tutto ha il sapore amaro della falsità, della beffa, della morte e dell’ingiustizia.

Per questo scrivo per non prescrivere, per non dimenticare, per non ucciderli d’ingiustizia. Non scrivo per contar frottole. Sono morti e non hanno giustizia. E con questo sapore amaro in bocca, bisogna ricominciare la lotta contro i mulini a vento. Contro l’ingiustizia, fino all’ultimo respiro.”

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Torino 22N. Terrorista è lo Stato!

 2014 11 22 no tav corteo (0)

Migliaia di persone hanno attraversato il centro cittadino, attraversato il mercato di Porta Palazzo, per arrivare al Balon. Qui fuochi artificiali e striscioni hanno accolto i manifestanti che passavano di fronte alla casa occupata dove vivevano alcuni dei quattro ragazzi in carcere per il sabotaggio del 14 maggio del 2013 in Clarea. Il gesto, rivendicato in aula dai quattro No Tav, è stato fatto proprio dall’intero movimento.
Un segnale forte e chiaro ai giudici che il prossimo 17 dicembre dovrebbero emettere la sentenza nel processo contro Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò. Lo scorso 14 novembre i due PM, Andrea Padalino e Antonio Rinaudo hanno ribadito l’accusa di attentato con finalità di terrorismo, chiedendo nove anni e mezzo di carcere per tutti.
Una follia. Una lucida follia. Il messaggio che la Procura di Torino sta lanciando è forte e chiaro. Nessuno osi mettersi di mezzo, perché lo Stato colpirà duro. La magistratura si è assunta il compito di regolare i conti con un movimento che da decenni lotta contro il Tav. Un movimento che passo dopo passo ha compreso che la libertà nessuno te la da se non te la sai prendere. Un movimento che il gusto della libertà lo ha sperimentato nel tempo sospeso delle Libere Repubbliche e dei presidi, nelle veglie di lotta e nei pranzi condivisi. In quei luoghi dove lo Stato già non c’è più. Nei luoghi dove si sta costituendo una comunità libera. Una comunità che ama il proprio territorio ma è cittadina del mondo, una comunità che alza la testa e non molla la presa, nonostante le migliaia di processati e inquisiti, nonostante la minaccia del carcere e dei risarcimenti milionari che potrebbero inghiottire case, stipendi, pensioni.
La politica dei palazzi è sempre più lontana, estranea, nemica. Le cifre dell’astensionismo in Emilia Romagna ci raccontano il fine partita di una regione il cui emblema è la CMC, la cooperativa “rossa” che ha annegato nel cemento il nostro paese.
Le migliaia di No Tav che hanno attraversato Torino in solidarietà a quattro “terroristi”, sono il segno di una piazza che si fa centro di relazioni politiche e sociali che si stanno, poco e poco, emancipando dalla tutela istituzionale. Se nel codice è scritto che tentare di impedire allo Stato di imporre la realizzazione delle proprie decisioni è terrorismo, allora tutti i No Tav sono terroristi.
Tanti i cartelli che nella piazza torinese ricordano la prescrizione per i padroni della Eternit, l’azienda Svizzera che, nella sola Casale Monferrato ha ammazzato quasi tremila persone. Torturate a morte dal mesotelioma pleurico, il tumore che colpisce ed uccide gli esposti all’amianto. Le circolari degli anni Settanta, che raccomandavano ai dirigenti dei vari stabilimenti di non dire nulla sui rischi gravissimi per i lavoratori e per la città provano la terribile responsabilità dei padroni. D’altra parte i primi scritti sulla pericolosità dell’amianto risalgono ai primi anni del secolo scorso.
Una strage pianificata, una strage che dimostra che i padroni hanno un’unica morale, quella dei soldi. La stessa dei signori del Tav e dello Stato che li difende.
In piazza è stato bruciato in effige il compressore di Clarea. Quella notte c’eravamo tutti. E ci saremo ancora tutti nelle notti e nei giorni a venire.

Prossimo appuntamento
Assemblea popolare No Tav mercoledì 26 novembre al Polivalente di Bussoleno

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La strage dell’Eternit e un compressore bruciato

giustizia_bilanciaSe questa è la giustizia…
Terrorismo per l’incendio di un compressore, prescrizione per migliaia di morti di amianto

Negli stessi giorni in cui la Corte di Cassazione emette una vergognosa sentenza che assolve per prescrizione i responsabili di una strage ancora in corso e cancella i risarcimenti alle parti civili, quella delle decine di migliaia di lavoratori esposti all’amianto, si avvia al termine un altro vergognoso processo: quello contro Claudio, Chiara, Mattia e Nicolò. Accusati per l’azione di lotta al cantiere di Chiomonte della notte fra il 13 e 14 maggio 2013. Quella notte venne danneggiato un compressore, nessuno rimase ferito. La pratica del sabotaggio non violento è stata fatta propria dall’intero movimento NoTav, che l’ha discussa ed approvata in assemblee popolari con migliaia di partecipanti. Per questa azione la procura di Torino ha deciso di accusare i quattro di terrorismo e ha chiesto condanne a nove anni e mezzo di carcere.

Non possiamo non rilevare il trattamento differenziale che viene posto in atto dallo stato italiano tra chi, accusato di avere cagionato la morte di migliaia di lavoratori in nome del profitto viene assolto e chi, accusato di avere incendiato un compressore, rischia dieci anni di carcere e in carcere si trova già da un anno, tra l’altro in sezione di alta sicurezza e in isolamento.

Ma noi non ce ne stupiamo: i dirigenti della multinazionale Eternit hanno agito all’interno del sistema capitalista, di una società basata sullo sfruttamento del lavoro e la distruzione ambientale mentre i NoTav hanno agito coscientemente al di fuori da questo sistema affermando la necessità, qui e ora, di una società basata su rapporti tra liberi ed eguali e una diversa gestione del territorio.

Perché è il territorio, l’ambiente su cui viviamo, uno dei fulcri di queste due vicende: un territorio distrutto da decenni di politiche industriali deliranti, inquinato, sottoposto alla cementificazione e all’urbanizzazione selvaggia. Negli ultimi mesi abbiamo ben visto quali sono i risultati del dissesto idrogeologico causato dalla logica speculativa del guadagno a tutti i costi. E il movimento NoTav, come tutti i movimenti che dal basso si oppongono a queste politiche scellerate e criminali, ha messo in crisi la devastazione ambientale bloccando una grande opera inutile e dannosa.

É per questo che Claudio, Chiara, Mattia e Nicolò rischiano di passare i prossimi anni in galera: per avere difeso la libertà di tutti di vivere in un territorio non devastato, di non essere pedine da mandare a macello in nome del profitto.

Sappiamo benissimo che dietro il TAV si muovono gli interessi della grande industria e della grande finanza italiana, legale e non. Sappiamo benissimo che dietro alla strage dell’amianto si sono mossi gli stessi interessi.

Terrorista è chi devasta, bombarda e sfrutta

(testo diffuso in questi giorni dalla Federazione Anarchica Reggiana)

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Soggettività e conflitto

PrecarioLo sciopero generale del 14 novembre ha innescato un vivace dibattito sulle forme del conflitto, sul determinarsi delle soggettività, sulla territorializzazione delle lotte, sulla condizione precaria e sullo strumento stesso dello sciopero.
Vi rimandiamo alle cronache torinesi e ad un articolo uscito su Umanità Nova, che ha provato a tematizzare le questioni sul tappeto. Anarres, prendendo spunto dalle cronache e dalle riflessioni sul 14N, ha aperto un dibattito, che ci auguriamo il più possibile aperto, approfondito, plurale.

Un primo confronto si è aperto con Salvo Vaccaro docente di filosofia politica all’Università di Palermo.

Ascolta la chiacchierata

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Gas, ENI, Russia. Soldi e propaganda

eniL’inverno alle porte si è aperto con una campagna mediatica all’insegna della paura. Paura che la Russia chiuda i rubinetti del gas o alzi il prezzo, dopo le sanzioni dell’UE per la crisi Ucraina.
Un buon modo per scaricare sulla Russia la responsabilità delle bollette in continua crescita.
Ma come stanno davvero le cose? Se veramente c’é la crisi perchè tra le voci delle nostre bollette c’é l’ammortizzazione del rigassificatore di Livorno completato oltre un anno fa e mai entrato in funzione?
Questa vicenda basterebbe da sola gettare suce sull’ennesima speculazione ai danni dei cittadini, raggirati dalla minaccia di un inverno al freddo. Una minaccia fatta di nulla. La Russia se non vende il gas non incassa, l’Italia ha tutto l’interesse a continuare a comperarlo. Banale? Tanto banale che ci sono volute montagne di carta stampata per seppellire questa banale verità.

In Russia, oltre il circolo polare artico, sotto la tundra siberiana, è nascosta la riserva di combustibili più grande del mondo. Un terzo della ricchezza della Gazprom arriva dai giacimenti naturali di gas attorno a Urengoy. Attraverso questa azienda statale controllata direttamente da Putin, il Cremlino conta di restituire alla Russia un ruolo da superpotenza mondiale.
Urengoy è una delle tante “città chiuse” dove sopravvive la vecchia Russia della nomenclatura confusa con la oligarchia dei nuovi ricchi. La polizia e i servizi segreti sono ovunque. Da questo impianto e dagli altri che confluiscono lungo la strada, inizia il lungo viaggio del gas russo, che passando dall’Ucraina alla Polonia, arriva in Europa. Un viaggio di migliaia di chilometri sino alle caldaiette delle nostre case. La geografia dei tubi di distribuzione rappresenta la mappa del potere: quando cambia il luogo di partenza, cambiano anche i pedaggi e quindi i rapporti di forza. Quello che non cambia è l’interesse di chi compra e di acquista.
La centrale operativa della Snam in Italia è a San Donato milanese: lì è il cuore del sistema di distribuzione su tutto il territorio italiano. La centrale di San Donato è protetta come quella siberiana di Urengoy: sembra un fortino.
Oggi la Snam gestisce i tubi fino alla periferia dei singoli comuni, poi la distribuzione casa per casa è nelle mani delle municipalizzate alle quali paghiamo la bolletta. In questa bolletta il gas è il 33%: il resto sono solo tasse.
Lo scorso anno noi tutti facemmo un bel regalo all’ENEL, pagando una supposta emergenza gas, tamponata con il ripristino momentaneo delle centrali a olio.

I fatti, semplici e grezzi, ci raccontano un’altra storia. E’ la storia di una relazione commerciale tra Italia e Russia che non si è mai interrotta nemmeno quando la guerra fretta era più ghiacciata della tundra siberiana.
Non c’é nessuna emergenza gas. L’unica emergenza – continua – sono le bollette gonfiate per pagare inutili rigassificatori.
Però. Una nota positiva c’é. Meglio pagare per un rigassificatore fermo che verder entrare in funzione una gigantesca bomba galleggiante tra le case. Chi si accontenta… Altro discorso, tutto da aprire, è quello di una gestione dal basso delle rinnovabili. Una scommessa importante, che però si scontra con il perdurare di una mentalità statalista tra tanta parte della cosiddetta “sinistra”.

Anarres ne ha parlato con Maurizio Zicanu, compagno livornese da sempre in prima fila nelle lotta ambientaliste.

Ascolta l’intervista

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Lazzaro-ne in Clarea

TAV: NUOVO ATTENTATO IN VALSUSA, DANNEGGIATI 7 MEZZI DITTALa scorsa settimana è stato arrestato ed è ai domiciliari Ferdinando Lazzaro. L’accusa? Turbativa d’asta. Era falsa la fidejussione con la quale l’ex titolare della fallita Italcoge, si comprò un ramo d’azienda, costituendo l’Italcostruzioni, che ereditò l’appalto per lavori al cantiere di Chiomonte. E’ lui l’anima nera del Consorzio Valsusa, costituito per mettere mano e bocca nell’affare TAV.
Lazzaro subì anche qualche sabotaggio ai mezzi della sua ditta. Era l’estate del 2013. Fu allora che Lazzaro divenne un’icona mediatica. Era sempre in TV a piangere e bussare per avere risarcimenti superiori a quelli che gli avrebbe dato l’assicurazione.

Per i No Tav l’imprenditore segusino era già salito agli onori delle cronache il 27 giugno del 2011. Era sua la ruspa scortata da migliaia di agenti che abbattè la barricata lungo l’autostrada, dando il via allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena.
Sulla “pinza” che ondeggiò a lungo pericolosamente sulle teste dei No Tav arrampicati sulla barricata, c’era lo stemma dell’Italcoge. Un mese dopo, era il 28 luglio del 2011, l’Italcoge fallì. Ora sappiamo che la Fenice che sorse dalle sue ceneri era figlia di una truffa. Grazie alla falsa fidejussione – e all’assenza di controlli veri sull’asta – Ferdinando Lazzaro costituì Italcostruzioni. La nuova società ereditò i mezzi, le autorizzazioni al trasporto conto terzi e ad operare in ambito ambientale, le certificazioni antimafia per partecipare ad appalti e lavori pubblici.

Il nome di Lazzaro era già comparso nelle inchieste sull’ndrangheta in Piemonte, anche se in quel caso se la cavò per il rotto della cuffia.

Anarres ne ha parlato con Alberto Perino, da anni nel mirino della Procura torinese il il suo puntuale lavoro di informazione.
Una buona occasione per fare il punto su questa vicenda e per discutere delle possibilità di autogestione territoriale, che la storia del movimento No Tav dimostra possibile, al di là del perdurare dell’illusione elettorale.

Ascolta la diretta con Alberto

Vale la pena cercare di capire il ruolo di Lazzaro nel sistema Tav e i suoi rapporti con Ltf. Una buona guida sono le carte dell’inghiesta sulla ‘ndrangheta “San Michele”. Citiamo in merito qualche stralcio dell’articolo pubblicato qualche mese fa dal settimanale l”Espresso”:

Continued…

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Grecia. L’ombra del fascismo

unlIl 17 novembre è la data simbolo della rivolta che portò alla caduta della dittatura dei colonnelli. Il 17 novembre del 1973 gli studenti del Politecnico di Atene insorsero: la rivolta venne repressa nel sangue e almeno 41 studenti furono uccisi dalla polizia.
L’episodio infiammò la Grecia ed il regime sponsorizzato dalla CIA e dagli Stati Uniti, venne spazzato via.
Ogni anno, in memoria di quell’episodio che ha segnato la storia del paese, gli studenti muovono dal Politecnico in direzione dell’ambasciata statunitense. Ogni anno ci sono scontri, quelli del 2014 sono stati molto violenti.
Quest’anno il governo Samaras ha voluto dare un segnale che l’aria è cambiata. Già nella settimana precedente al 17 luglio, almeno 500 scuole erano state occupate, all’università la polizia chiamata dal rettore aveva ripetutamente caricato gli studenti in lotta. Da qualche anno l’inviolabilità dell’università, sancita dopo la strage del 1973, è ormai un ricordo del tempo in cui la resistenza al fascismo era memoria condivisa nel paese.
Il 17 novembre il governo ha schierato 7000 agenti in assetto antisommossa per difendere i palazzi del potere e l’ambasciata statunitense.
I diversi cortei delle giornata hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di persone: la memoria della lotta antifascista si è mescolata con la lotta contro il governo.
Per la prima volta da anni, Syriza, il cartello delle sinistre che si prepara a succedere a Nea Democratia alla guida del paese, ha omesso nel comunicato per il 17 dicembre un riferimento diretto alla regia USA nel golpe dei colonnelli. Un segnale delle nuova vocazione atlantista di Tsipras.

Davanti all’ambasciata USA ci sono state numerose, durissime cariche che hanno spezzato in più punti il corteo. Quando i manifestanti sono tornati verso l’università, chiusa dalla polizia, gli scontri sono proseguiti per il quartiere di Exarchia.
Gli agenti in antisommossa – i MAT – forti del numero si sarebbero distinti per azioni di particolare violenza, trasformando il quartiere in un campo di battaglia e di lotta. Il quartiere dove sono numerose le occupazioni e i centri anarchici ha resistito e la polizia si è infine dovuta ritirare.
La violenza della polizia greca non è una novità, perché buona parte dei poliziotti sono aderenti al partito di estrema destra Crisi Arghi – Alba Dorata.
L’ombra del fascismo si allunga sulla Grecia nel giorno della memoria attiva dell’insurrezione del 1973.

Un altro segnale arriva dal fronte dell’immigrazione. Il 17 novembre è stato scelto anche dagli immigrati del centro di detenzione di Amygaleza per iniziare uno sciopero della fame. Protestano per la morte di Mohamed Asfak, un ragazzo pachistano di 26 anni. Mohamed è morto il 6 novembre, ma stava male da giugno. Nel  detenzione di Corinto dov’era rinchiuso scoppiò una rivolta. Mohamed subì un pestaggio che gli procurò gravi danni all’apparato respiratorio. Nonostante le sue proteste e quelle dei suoi compagni di prigione, non fu mai curato. La sua morte è un omicidio di Stato.

L’info di radio Blackout ne ha  parlato con Georghos, un compagno del gruppo dei comunisti libertari di Atene.

Ascolta la chiacchierata

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Sanità. La mannaia di Saitta

susa-partoVia libera, questa mattina in Giunta regionale, al piano di riordino della rete ospedaliera piemontese. Le strutture complesse negli ospedali pubblici passano da 842 a 668 e, in quelli privati, da 185 a 148, con un risparmio nei prossimi tre anni di circa 400 milioni di euro. Un risparmio sulla salute dei piemontesi già schiacciati da liste di attesa infinite e ticket sempre più onerosi.
Prevenzione e cura sono sempre più difficili per chi fa fatica ad arrivare a fine mese, al punto che rischia di essere compromessa la stessa aspettativa di vita in Piemonte.
L’assessore regionale alla Sanità, Antonio Saitta, giovedì porterà il piano approvato oggi a Roma, per sottoporlo al ministero. La possibilità di ottenere dal governo un aiuto per salvare i conti della Regione passa anche da questa manovra, che martedì Sergio Chiamparino aveva anticipato al ministro dell’Economia Padoan.
La riforma dell’asse Saitta-Chiamparino ricalca in molti punti quella impostata dalla giunta Cota: il disarmo dell’Oftalmico e dell’Amedeo di Savoia, la chiusura dei «punti nascita» ad Acqui, Tortona, Carmagnola, Domodossola, Susa.

L’info di radio Blackout ne ha parlato con Roberto Dosio, primario di radiologia all’Oftalmico, dopo la chiusura del Valdese, che lo aveva visto tra i più attivi nella lotta per salvare una struttura, che l’intero quartiere di San Salvario ha difeso.

Ascolta l’intervista

Dell’annunciata chiusura del punto nascite di Susa ala radio ha parlato con Nazzareno Gabrielli, un giovane padre del comitato delle donne “io ho partorito a Susa”, che ha denunciato la politica di terrore della ASL di Collegno per indurre le donne ad optare per la struttura di Rivoli. Secondo il comitato che si batte per impedire la cancellazione del punto nascite e l’eliminazione progressiva del pronto soccorso, c’è stata una scelta di svuotare il punto nascite segusino, per accelerarne la chiusura. Se avverrà le donne dovranno fare anche 70 chilometri per partorire. E’ successo quest’estate quando una puerpera non ce la fatta ad arrivare a Rivoli ed ha partorito in auto nella galleria del Prapuntin. La mamma e il bimbo stanno bene: resta il rammarico che, senza la campagna di denigrazione dell’ospedale di Susa, la donna avrebbe potuto far nascere il suo bambino nell’ospedale della città.
Il comitato “io ho partorito a Susa” non demorde: domenica mattina ci sarà una manifestazione per scongiurare la chiusura del punto nascite.

Ascolta la diretta di Blackout

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Tor Sapienza. Discariche sociali

tor-sapienza-cassonettiTor Sapienza è una periferia romana come tante. Le case di via Morandi sono l’angolo più bigio del quartiere: grossi casermoni dove c’è poco e nulla, dove ogni angolo vuoto è stato occupato da chi ne aveva bisogno. Anche la biblioteca, chiusa ed abbandonata da tempo, si è riempita di senza casa.
Una discarica sociale. Qui l’unico segno della presenza delle istituzioni è il centro per rifugiati.
I fascisti provano da anni, senza troppo successo, a piantare radici in questa zona.
Quest’angolo di Tor Sapienza ha offerto loro l’occasione cercata a lungo. Le braci sempre ardenti della guerra tra poveri, le leggende razziste sui 35 euro che il Comune darebbe ai rifugiati, le difficoltà di una convivenza che nessuno cerca davvero ed il gioco è fatto.
Quella sera di novembre quelli di Casa Pound erano meno di una decina, molti di più quelli delle case, carichi di rabbia contro gli ultimi.
Scoppia la rivolta, i sassi contro ragazzi che credevano che la loro Odissea fosse finita, che il deserto, la paura i mercanti d’uomini fossero ormai alle spalle.

L’info di Blackout ne  parlato con Gianmaria del centro sociale del Quarticciolo, altra periferia ad un tipo di schioppo da Tor Sapienza.

Ascolta l’intervista

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