Sabato 14 giugno. Sotto la tettoia del mercato di piazza Crispi ci ritroviamo in tanti. Nubi cariche di pioggia cacciano la calura. Sette, ottocento persone partecipano al corteo che si snoda per le strade di Barriera di Milano sino a Porta Palazzo, giardini ir-reali, via Po. Alla fine le nubi si apriranno ma la manifestazione prosegue sino in piazza Vittorio.
Tante soste per riallacciare il filo delle lotte. Le lotte che hanno segnato il quartiere e quelle agite dagli attivisti finiti nel mirino dell’ennesima inchiesta targata Rinaudo e Pedrotta. I due PM torinesi stanno provando a regolare i conti con il movimento per la casa a Torino.
La prima risposta all’operazione repressiva è arrivata pochi giorni dopo gli arresti e le altre misure di limitazione della libertà. Una palazzina vuota è stata occupata in corso Giulio Cesare 45. Quando il corteo ci passa, dai balconi spuntano gli striscioni solidali di chi, con l’azione diretta, si è preso una casa per viverci. Tante le soste, per volantinare e per ricordare le lotte contro il CIE e quelle contro il Tav, lotte che si sono intersecate nel fronte comune dello scontro sociale, della costruzione di spazi di libertà, sottratti alla speculazione e alla gentrification che minaccia le aree più appetibili del quartiere.
Il Partito Democratico, forte della vittoria elettorale, plaude la Procura amica di Torino, confermando la decisione di trattare le questioni sociali come problemi di ordine pubblico. Una scelta pericolosa in una città dove sempre più difficile è arrivare a fine mese e sempre più uomini e donne disertano le urne e riempiono le strade.
Se gli sfrattati che resistono e occupano, i lavoratori della logistica che scioperano e bloccano contro sfruttamento e salari da fame, se i No Tav che si battono contro la predazione delle risorse sapranno rendere forti e durevoli i legami potrebbero rendere molto difficile il percorso di legge, ordine e manganello del PD.
Nel volantino distribuito ai passanti, scrivevamo:
“La lotta per la casa mette a nudo la ferocia del sistema sociale, difeso da governo, polizia e magistratura.
Migliaia di persone non hanno una casa, o rischiano uno sfratto mentre tante case sono vuote, e le case di proprietà pubblica sono messe in vendita.
Eppure la soluzione sarebbe facile. Tanto facile da fare paura. Il movimento per la casa dimostra che per risolvere il problema degli sfratti e dei senza casa basterebbe abolire la proprietà privata.
Il diritto alla proprietà è sancito dalla legge. Segno che la legge difende il privilegio e condanna alla strada chi non ce la fa a pagare l’affitto.
Chi si batte per la giustizia sociale e l’eguaglianza non può che essere contro la legge.
Tu con chi stai? Con chi difende il diritto a speculare sulla vita delle gente o con chi vuole un tetto per se e per i propri figli?”
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– 16 Giugno 2014
Qualche volta, grazie alla tenacia di una madre, di un padre, di una sorella, di amici e compagni capita che il sudario che avvolge le morti di Stato venga strappato, mostrando nella sua crudezza la violenza incisa sui corpi di persone vive e sane prime di cadere nelle mani di poliziotti, carabinieri, psichiatri, militari.
I corpi straziati esposti alla luce impietosa degli obitori, sezionati dalle autopsie, escono dall’ombra, per raccontarci storie tutte diverse e tutte uguali. Storie che a volte agguantano i media, bucano la fitta coltre di nubi che copre la violenza degli uomini e delle donne in divisa, in camice bianco, tra siringhe, botte, manganelli.
Ma restano sempre un poco false, perché la retorica delle mele marce nel cesto di quelle sane, dell’eccezione ignobile ma rara, della democrazia che sa curare se stessa, violano una verità che nessun media main stream racconta mai.
I corpi straziati di Federico, Francesco, Giuseppe, Carlo… sono la testimonianza di una normalità che ammette rare eccezioni.
La normalità quotidiana della violenza di Stato, della violenza degli uomini e donne dello Stato sulle strade e nelle caserme, nei repartini e nelle carceri, nei CIE e nei luoghi dove alzare la testa è sovversione.
Ne abbiamo parlato con Robertino Barbieri.
Ascolta la diretta
Questo è il contributo di Anarres al percorso radiofonico di approfondimento sulla violenza di Stato.
Sul sito di Blackout potete ascoltare gli altri.
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By anarres
– 14 Giugno 2014
Il Brasile è sotto i riflettori dei media perché in questi giorni è teatro del campionato mondiale di calcio. Nell’ultimo anno si sono moltiplicate le proteste dei lavoratori del trasporto pubblico, dei senza tetto e dei senza terra. Anche nella giornata inaugurale della coppa, nonostante la presidente Dilma Roussef abbia promesso soldi ai lavoratori della metropolitana e case ai senza tetto, ci sono state proteste represse con durezza dalla polizia.
Anarres ha fatto una lunga chicchierata con Carlo Romani, docente di storia contemporanea all’Università di Rio3, aderente alla Liga anarchica di Rio de Janeiro.
Un’occasione per approfondire la conoscenza di un paese grande come un continente, dove la cesura di classe è tra le più profonde del pianeta. Tra il Brasile della crescita impetuosa, i contadini senza terra del nordest, i baraccati delle favelas di Rio, gli africani dei quilombo, i giovani dei movimenti libertari che usano la rete e si scontrano nelle piazze, c’é un’enorme distanza fisica, culturale, simbolica.
L’intreccio tra potere statale e organizzazioni criminali è strettissimo e indistricabile, così come la commistione tra il socialdemocratico PT, al potere da quasi tre lustri, e le formazioni della destra profonda del Brasile rurale e latifondista, indispensabili alla formazione dei governi di alcune province.
La lotta ai narcotrafficanti cela un processo di gentrification delle favelas più centrali ed appetibili per il ceto medio, del tutto simile a quello di Istanbul, Torino, Amburgo. I narcotrafficanti obbligati dalla “polizia pacificatrice” a lasciare le favelas più centrali, si limitano a spostare in aree più periferiche le loro attività.
Il narcotraffico è solo la parte più visibile delle aree grigie in cui potere legale e organizzazioni criminali si mescolano, stringendo alleanze sulla base di interessi comuni. Ben più rilevante è il ruolo delle organizzazioni paramilitari, composte in buona parte da ex poliziotti, che controllano il territorio e si garantiscono l’impunità, facendo da collettori di voti per i partiti.
I movimenti di opposizione sociale inizialmente legati al PT, come Sem Terra e Sem Teto, si sono in parte smarcati dal partito di Lula e Roussef, che in tanti anni di governo non ha attuato la riforma agraria, né offerto un’alternativa alle baraccopoli.
Di fatto, tuttavia, i movimenti di opposizione sociale si sono sviluppati fuori dalla tutela istituzionale, che pure Lula aveva tentato di imporre ai tempi dei Forum sociali di Porto Alegre, connettendosi con i movimenti antiglobalizzatori in varie zone del pianeta.
Il movimento anarchico sino a poco tempo fa era egemonizzato da organizzazioni post piattaformiste, la cui vena sottilmente autoritaria si combinava con una sudditanza culturale marxista. Negli ultimi anni si è affermato un percorso organizzativo di sintesi che si è concretizzato in un incontro svoltosi di recente a Belo Horizonte.
Ascolta la diretta con Carlo Romani
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– 13 Giugno 2014
Erri De Luca. A giudizio per istigazione a delinquere
9 giugno. Il giudice dell’udienza preliminare ha deciso il rinvio a giudizio dello scrittore Erri De Luca. In questo modo ha accolto la tesi dei PM Padalino e Rinaudo, che accusano De Luca di aver incitato al sabotaggio del cantiere del tunnel geognostico di Chiomonte.
Il processo inizierà il 28 gennaio.
De Luca ha commentato la notizia scrivendo “Mi processeranno a gennaio. Mi metteranno sul banco degli imputati e ci saprò stare. Vogliono censurare penalmente la libertà di parola. Processane uno per scoraggiarne cento: questa tecnica che si applica a me vuole ammutolire. E’ un silenziatore e va disarmato.”.
Sotto accusa le dichiarazioni di De Luca di appoggio ai sabotaggi e alle azioni di contrasto al cantiere di Chiomonte e alle ditte collaborazioniste.
In aula bunker
Quella contro De Luca è solo l’ultima delle operazioni repressive contro i No Tav. Nell’aula Bunker delle Vallette continua a tappe forzate il processo ai 53 No Tav accusati della resistenza allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena e dell’assedio al cantiere del 3 luglio 2011. Si susseguono i testimoni della difesa in un clima sempre pesante per l’accondiscendenza del collegio giudicante nei confronti dei pubblici ministeri.
Sempre all’aula bunker venerdì 13 giugno si svolgerà la terza udienza nei cpnfronti di Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, accusati di aver partecipato ad un’azione di sabotaggio in Clarea, durante la quale venne danneggiato un compressore. Un’accusa che è valsa l’imputazione per attentato con finalità di terrorismo e sei mesi di detenzione in regime di alta sorveglianza. Nella seconda udienza, svoltasi il 6 giugno, il giudice ha concesso la costituzione di partye civile a LTF, sindacato di polizia Sap e al governo. Ha inoltre respinto la richiesta di sospensione del processo in vista di un possibile pronunciamento della Consulta sull’eccezione di costituzionalità dell’articolo 270 sexies, utilizzato per la definizione giuridica della “finalità di terrorismo”. Entro il 15 giugno dovrebbero essere rese note le motivazioni della sentenza della Cassazione che ha annullato quella del Riesame che confermava la finalità di terrorismo.
Di seguito una carrellata di processi e sentenze dell’ultimo periodo.
Colazione a Chiomonte. Condannati Andrea, Claudio e Giobbe
Venerdì 30 maggio. La sentenza è stata emessa nel tardo pomeriggio. 2 anni e mezzo più 500 euro di risarcimento per Giobbe, 1 anno e 7 mesi più 400 euro di risarcimento per Andrea, 4 mesi per Claudio.
Padalino e Rinaudo, i due pubblici ministeri del processo, avevano chiesto condanne sino a quattro anni. Con questa sentenza il tribunale accoglie in buona parte l’impianto accusatorio della Procura per un episodio da nulla.
Le accuse nei loro confronti sono gravissime: tentata rapina, sequestro di persona, resistenza aggravata in concorso. Nel mirino un episodio del 16 novembre del 2012, quando, durante un presidio/blocco a Chiomonte, ci fu un diverbio con un poliziotto in borghese che scattava fotografie: poco dopo vennero fermati Claudio e Andrea.
I fatti.
Quella mattina, come tante altre, un gruppo di No Tav faceva colazione davanti al check point della centrale. Qui, dal 27 giugno del 2011, un cancello, filo spinato e un robusto contingente di uomini e donne in divisa impediscono l’accesso alla strada dell’Avanà. Il cantiere/fortino è molto distante ma l’area militarizzata è amplissima.
Da quel cancello passano solo i mezzi delle forze dell’ordine, quelli delle ditte collaborazioniste e i pochi vignaioli autorizzati.
Un tizio in borghese viene sorpreso a scattare foto al presidio. Gli chiedono spiegazioni: lui nicchia, fa spallucce, poi dichiara di essere incaricato dalla Procura: si guadagna qualche insulto ma non viene toccato. Un compagno di Vaie, Andrea, gli scatta a sua volta qualche foto. Dopo che il “fotografo” della Questura se ne è andato sulla sua auto e con la sua macchina foto, arrivano i carabinieri che fermano Andrea e Claudio. Li portano nel fortino e li obbligano per sette ore a stare in piedi su un gradino senza potersi sedere, poi vengono separati e portati via. Verranno rilasciati solo in tarda serata. Andrea viene denunciato per tentata rapina e resistenza aggravata, Claudio, siccome rifiuta di rispondere alle domande, viene denunciato per favoreggiamento.
Sei mesi dopo viene perquisito Andrea, il 13 agosto la procura dispone l’arresto di Giobbe.
Con questa sentenza di primo grado a Giobbe è ancora imposto l’obbligo di dimora nel paesino dove vive, ad Andrea è stato tolto l’obbligo di firma quotidiano, Claudio, presente in aula per il processo, è stato riportato nella sezione AS2 del carcere di Ferrara, perché, con Chiara, Mattia e Nicolò è accusato di terrorismo per un sabotaggio nel cantiere di Chiomonte.
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Assoluzione per Alberto Perino
Mercoledì 4 giugno. Alberto Perino, accusato di “vilipendio alle forze armate” è stato assolto per non aver commesso il fatto.
Il processo era stato imbastito su una frase del luglio 2011 che gli era stata attribuita da un quotidiano. Secondo l’accusa Alberto avrebbe detto che in Val Susa ci sono “truppe di occupazione nazi-fasciste”. Perino ha invece sostenuto di aver riportato al giornalista quanto affermavano “gli anziani della valle, e cioè che nemmeno ai tempi dell’occupazione nazifascista, durante la seconda guerra mondiale, nella zona c’erano controlli di polizia così stringenti.”.
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Notte dell’8 febbraio 2013. Assolti Emanuele e Christian
Giovedì 5 giugno. Assolti per insufficienza di prove Emanuele e Christian, due No Tav di Mattie accusati di concorso nell’ideazione di un’azione al cantiere di Chiomonte dello scorso anno.
I fatti.
La notte dell’8 febbraio 2013 ci fu un’azione di sabotaggio in Clarea. Gli uomini in divisa, colti alla sprovvista e messi in fuga dai No Tav che aprirono una breccia nelle recinzioni entrando nel cantiere.
I poliziotti e i loro mezzi blindati fecero retro marcia, mentre i No Tav scorazzavano nella zona devastata dalle ruspe, nei luoghi dove a lungo i castagni hanno fatto ala ai bivacchi dei resistenti.
Mezzo cantiere è rimasto al buio.
Diverse ore più tardi due No Tav Di Mattie, Christian ed Emanuele vennero arrestati e accusati di danneggiamento aggravato. Il giorno successivo una fiaccolata di solidarietà per le vie di Mattie ne chiese la liberazione. I due che, nelle ore dell’azione erano uno in fabbrica e l’altro nell’osteria del paese, furono scarcerati.
Nonostante ciò sono stati ugualmente rinviati a giudizio: il tribunale, sia pure con formula dubitativa, non ha avallato le tesi della Procura.
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By anarres
– 11 Giugno 2014
E’ il 7 giugno del 1914, festa dello Statuto Albertino. Lo Stato italiano celebra se stesso con una parata militare nel centro di Ancona. Anarchici e repubblicani rispondono con un corteo antimilitarista. La polizia attacca uccidendo tre manifestanti. E’ la scintilla di una rivolta che dilagherà nel resto delle Marche, in Romagna e in Toscana, mentre focolai si accendono in tutta la penisola. Viene proclamato lo sciopero generale, che assume carattere insurrezionale. Dopo giorni di barricate e combattimenti, interviene l’esercito. Ma il colpo decisivo lo infligge la CGL, che il 10 giugno revoca lo sciopero, abbandonando gli insorti alla repressione. Nonostante ciò la rivolta cessa solo il 13 giugno.
Cent’anni dopo, mentre il comune di Ancona annegava nel folclore delle celebrazioni istituzionali, nella ricorrenza della rivolta, la cui memoria è ancora forte tra la gente di Ancona, gli anarchici del gruppo Malatesta e l’Unione sindacale italiana, danno vita a un’iniziativa di tre giorni.
Cominciata con una serata dedicata alla memoria e terminata la domenica dedicata ai percorsi di autogestione, culmina sabato 7 giugno con una giornata di lotta, perché il miglior modo di ricordare un’insurrezione è nelle azioni che ne perpetuano lo spirito.
Il porto di Ancona da qualche hanno è serrato in una morsa di acciaio e cemento: reti, jersey, posti di blocco per impedire che i profughi e i migranti, che hanno attraversato clandestinamente l’Adriatico nascosti nei tir, riescano a bucare la frontiera.
In mattinata un folto gruppo di anarchici, percorrendo i binari che entrano nel porto riesce a farla in barba al dispositivo di sicurezza ed entrano nella zona rossa. I guardiani privati, beffati, chiamano la polizia. Ma ormai è tardi: per un giorno il dispositivo che chiude il porto è stato violato.
Nel pomeriggio il centro cittadino è attraversato da un corteo, che aveva al centro le lotte che hanno segnato gli ultimi mesi in città. In particolare l’occupazione di “casa di niantri”, con la quale alcune famiglie di sfrattati erano riuscite a prendersi uno spazio in cui vivere.
I legami creati tra solidali e occupanti si sono rimasti saldi, nonostante lo sgombero della casa e le deportazione di alcuni abitanti.
Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Gianfranco del gruppo Malatesta di Ancona
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– 11 Giugno 2014
Sabato 7 giugno. Alle nove e mezza un centinaio di manifestanti sono già presenti in piazza Santa Rita. Il presidio si trova dal lato opposto della chiesa, davanti alla quale si trova un furgone di polizia, due di carabinieri e qualche macchina dei vigili urbani. Tra questi e i manifestanti striscia una squadra della digos. Uno di loro fa le foto.
Tra i manifestanti qualcuno inizia a distribuire volantini, altri invece iniziano a sudare. Nessuna nuvola ad opporsi al sole. Verso le dieci, forse per il caldo, qualcuno avrà detto che vede le stelle. In realtà erano le cinque stelle di Grillo su una tenda che tre pentastellati provavano ad assemblare di fianco agli antifascisti. In pochi minuti le stelle si sono allontanate. Nessuna nuvola, niente stelle, solo il sole.
Intorno alle dieci e mezza parte il corteo in corso Orbassano. In più di duecento si dirigono verso corso Sebastopoli dove entrano nel cuore del mercato. Si va piano verso corso Agnelli. I commercianti non si deconcentrano, sono attenti ai loro affari. Magari qualcuno non si accorge neanche del corteo. Altri invece sembrano attenti, chiedono volantini, sono curiosi. I loro clienti sono attenti ai prezzi, qualcuno mentre aspetta il resto allunga lo sguardo oltre le bancarelle per capire cosa sta succedendo. E quando capiscono il motivo del corteo questi rispondono, spesso con rabbia: “Avete ragione”, “i fasci non ci devono essere”, “è vergognoso quello che hanno fatto ad Andrea”.
Prima di uscire dal mercato, vengono letti alcuni volantini distribuiti fino allora. Qualcuno legge forte: “Oggi siamo qui per affermare che le strade e le piazze sono luoghi in cui non c’è spazio per chi passa le serate a cercare il nemico da accoltellare, in nome di un’ideologia e uno stile di vita votati all’odio per il diverso, ma luoghi in cui ribadire valori quali l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessismo”. E poi : “I fascisti che usano i coltelli non sono che la punta di un iceberg. Nella parte più solida del blocco di ghiaccio troviamo le tante formazioni della destra istituzionale, che in questi anni hanno contribuito ad alimentare la rinascita del nazionalismo, approvando leggi feroci contro immigrati, profughi, oppositori sociali. Sono gli stessi che hanno ridato fiato al militarismo, alla logica securitaria, alla militarizzazione delle frontiere e dei territori”.
Si riparte sul controviale di corso Agnelli nella direzione dello stadio. Al microfono interviene una signora che abita nel quartiere. Parla dell’ingiustizia e della prepotenza delle forze dell’ordine che lasciano impuniti gli atteggiamenti violenti nei confronti delle persone e degli animali più deboli. Subito due scritte sul muro più vicino: “il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alle crudeltà” e, accanto, “Morte al fascio”.
Si gira a destra in via Boston, una parallela di cso Sebastopoli. La musica si sente forte tra gli alti palazzi signorili del quartiere. Nei balconi escono alcuni bambini che sorridono, fanno con la mano. Alcuni nonni dietro le tende guardano con sospetto e ascoltano i versi che risuonano: “non c’è sbirro non c’è fascio / che ci possa piegar mai. E con le camicie nere / un sol fascio noi faremo / sulla piazza del paese / un bel fuoco accenderemo.” Il corteo fa una sosta di pochi minuti davanti al palazzo dove si presume che abiti un giovane naziskin.
Si arriva in via Gorizia e tra un intervento e l’altro si esce di nuovo in corso Orbassano. I manifestanti entrano nel cortile della biblioteca civica Villa Amoretti. Finalmente ombra per tutti, mentre al turet c’è già coda per un po’ di acqua fresca. E’ quasi l’una e mezza.
Di seguito il volantino della FAT distribuito al corteo.
Continued…
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– 9 Giugno 2014
Nella mattinata del 3 giugno la procura di Torino ha dato avvio ad una durissima azione repressiva nei confronti del movimento per la casa a Torino.
I numeri, nella loro cruda semplicità, ci restituiscono la vastità dell’operazione. 111 indagati, 12 attivisti in carcere, 4 ai domiciliari, 4 obblighi di dimora, 4 divieti di dimora, 4 obblighi di firma.
I pubblici ministeri Pedrotta e Rinaudo stanno tentando di scrivere la parola fine ad una stagione di lotte, che, specie nel primo anno, è stata molto vivace ed efficace.
Dal 2012, la lotta per la casa, inizialmente forte solo a San Paolo, si è estesa a Barriera di Milano e Borgo Aurora, riuscendo a coinvolgere attivamente anche alcune famiglie di sfrattati, diventate protagoniste attive sia nella resistenza sia nella pratica dell’occupazione abitativa. Le scelte della questura, che ha tentato di mettere in difficoltà gli attivisti, concentrando nel terzo martedì del mese numerosi sfratti, si è rivelata un boomerang, perché quella giornata ha catalizzato una vasta partecipazione di attivisti di vari luoghi. Nei momenti migliori la polizia non ha potuto fare altro che stare a guardare, temendo che un attacco diretto a famiglie in lotta avrebbe potuto innescare processi solidali difficilmente controllabili.
La strategia della Questura si è così modificata, mettendo in campo l’opzione, consentita dalla legge ma nuova nella pratica, degli sfratti a sorpresa. Nello stesso periodo sono scattate le prime manovre repressive contro gli attivisti e le pressioni nei confronti degli sfrattati in lotta.
L’operazione del 3 giugno è il coronamento di un lungo attacco al movimento per la casa a Torino.
Prudentemente, Rinaudo e Pedrotta si sono astenuti dal proporre un reato associativo, consapevoli della concreta possibilità che cadesse in sede di Cassazione, come è accaduto per la mega inchiesta contro gli antirazzisti per il ciclo di lotte tra il 2008 e il 2009.
La Procura guidata da Spataro pare agire in perfetta continuità con l’azione del procuratore capo Giancarlo Caselli: torsione delle norme esistenti per ottenere arresti e processi incentrati su reati gravi, come sequestro di persona, estorsione, violenza a pubblico ufficiale.
Reati, che nella comune percezione rimandano a ben altre condotte rispetto a quelle di una lotta sociale, condotta con picchetti antisfratto miranti ad ottenere proroghe, cortei spontanei e proteste alla sede degli ufficiali giudiziari.
Torino è una polveriera sociale: ogni anno in città vengono eseguiti 4000 sfratti, che coinvolgono in media 10.000 donne uomini bambini.
La vittoria netta del partito democratico alle elezioni europee e la secca affermazione di Chiamparino alla guida della Regione Piemonte hanno dato al governo la forza di pigiare sul pedale della repressione.
Già ieri, nell’immediatezza degli arresti c’é stata una prima risposta. Una assemblea cui hanno preso parte tutte le componenti di movimenti di opposizione sociale a Torino ha espresso immediata solidarietà agli attivisti colpiti dalla repressione. In serata un centinaio di persone ha dato vita ad un corteo che attraversato le vie del quartiere.
Sabato 7 giugno alle 18,30 c’é un appuntamento al capolinea del 3 per un presidio al carcere. In preparazione anche una manifestazione per sabato 14.
Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Jack dell’Asilo occupato.
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– 4 Giugno 2014
A Roma la parata militare, rappresentazione scenica della potenza dello Stato, che rivendica il proprio monopolio legale dell’uso della violenza, da qualche anno è tornata a segnare il due giugno, il giorno in cui l’attuale forma statuale celebra se stessa.
Una scelta, che ci narra del cuore violento e gerarchico di ogni Stato. La Repubblica nata dalla lotta al fascismo e l’occupazione nazista, dopo la guerra voluta da Mussolini a fianco della Germania nazista, si festeggia tra cannoni, burattini in divisa e frecce tricolori, mostrando in tutta la sua nudità il potere statale.
La parata militare è anche l’immagine di un paese ininterrottamente in guerra dal 1990. Un fatto che, grazie al modificarsi del paradigma bellico, viene percepito come normale. Normale come la polizia, normale come i rastrellamenti in strada, normale come le fabbriche che producono bombardieri.
Un gruppo di antimilitaristi di Torino, Valli di Lanzo e dal resto del Piemonte ha dato vita ad una due giorni antimilitarista a Caselle torinese, dove sorge il più grande degli stabilimenti dell’Alenia, che, dopo aver prodotto per anni i Tornado, produce gli Eurofighter e i primi cassoni alari per gli F35, che vengono assemblati nello stabilimento costruito all’interno dell’aeroporto militare di Cameri, a pochi chilometri da Novara.
Martedì 27 maggio nel palatenda di corso Torino si è svolta un’assemblea introdotta da Alberto Perino e Valter Bovolenta del Movimento contro gli F35.
Alberto ha ricordato la lotta degli operai e degli antimilitaristi di Condove per la riconversione da militare a civile di parte della produzione delle Officine Moncenisio. Una lotta esemplare ma poco nota, che dimostra che il ricatto occupazionale può essere superato da una lotta che ha visto protagonisti i lavoratori stessi.
Valter ha ricostruito la lotta contro gli F35, allargando il discorso ad un’analisi attenta dei movimenti contro la guerra e sulle prospettive di un’azione antimilitarista che trova nell’opposizione a basi militari e industrie di morte il proprio fulcro potente.
Lunedì due giugno l’appuntamento era in piazza Boschiassi nel centro di Caselle. Dopo un presidio e un’assemblea in cui si sono succeduti gli interventi di antimilitaristi di Torino, delle Valli di Lanzo, di Novara, Alessandria, e dalla provincia di Varese, da dove sono venuti alcuni lavoratori della Aermacchi in lotta per la riconversione e contro i nuovi addestratori per il volo, che l’Italia sta vendendo ad Israele.
Il presidio si è poi trasformato in un corteo che ha attraversato il centro della cittadina, sostando a lungo al mercato, per concludersi alla rotonda che sulla provinciale accoglie chi arriva da Torino. Su questa rotonda campeggia un aereo militare costruito dall’Alenia, che in questo modo proietta la sua ombra su tutta la città.
La rotonda invasa dagli antimilitaristi è diventata la scena di un’azione comunicativa. Abiti insanguinati, fantocci, scarpe hanno dato corpo ad una scena di guerra. Due sagone di bare sono state issate alle ali dell’aereo, mentre fumogeni e rumori di bombe restituivano un pizzico di realtà alla presenza di un aereo militare lungo la strada del paese.
Una vergogna da cancellare.
Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Valter del Movimento No F35.
Qui potete vedere una galleria di foto della giornata
Di seguito il testo del volantino distribuito per le strade di Caselle e al mercato.
Continued…
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– 4 Giugno 2014
30 maggio. La sentenza è stata emessa nel tardo pomeriggio. 2 anni e mezzo più 500 euro di risarcimento per Giobbe, 1 anno e 7 mesi più 400 euro di risarcimento per Andrea, 4 mesi per Claudio.
Padalino e Rinaudo i due pubblici ministeri del processo avevano chiesto condanne sino a quattro anni. Con questa sentenza il tribunale accoglie in buona parte l’impianto accusatorio della Procura per un episodio da nulla.
Le accuse nei loro confronti erano gravissime: tentata rapina, sequestro di persona, resistenza aggravata in concorso. Nel mirino un episodio del 16 novembre del 2012, quando, durante un presidio/blocco a Chiomonte, ci fu un diverbio con un poliziotto in borghese che scattava fotografie: poco dopo vennero fermati Claudio e Andrea.
I fatti.
Quella mattina, come tante altre, un gruppo di No Tav faceva colazione davanti al check point della centrale. Qui, dal 27 giugno del 2011, un cancello, filo spinato e un robusto contingente di uomini e donne in divisa impediscono l’accesso alla strada dell’Avanà. Il cantiere/fortino è molto distante ma l’area militarizzata è amplissima.
Da quel cancello passano solo i mezzi delle forze dell’ordine, quelli delle ditte collaborazioniste e i pochi vignaioli autorizzati.
Un tizio in borghese viene sorpreso a scattare foto al presidio. Gli chiedono spiegazioni: lui nicchia, fa spallucce, poi dichiara di essere incaricato dalla Procura: si guadagna qualche insulto ma non viene toccato. Un compagno di Vaie, Andrea, gli scatta a sua volta qualche foto. Dopo che il “fotografo” della Questura se ne è andato sulla sua auto e con la sua macchina foto, arrivano i carabinieri che fermano Andrea e Claudio. Li portano nel fortino e li obbligano per sette ore a stare in piedi su un gradino senza potersi sedere, poi vengono separati e portati via. Verranno rilasciati solo in tarda serata. Andrea viene denunciato per tentata rapina e resistenza aggravata, Claudio, siccome rifiuta di rispondere alle domande, viene denunciato per favoreggiamento.
Sei mesi dopo viene perquisito Andrea, il 13 agosto la procura dispone l’arresto di Giobbe.
Con questa sentenza di primo grado a Giobbe è ancora imposto l’obbligo di dimora nel paesino dove vive, ad Andrea è stato tolto l’obbligo di firma quotidiano, Claudio, presente in aula per il processo, è stato riportato nella sezione AS2 del carcere di Ferrara, perché, con Chiara, Mattia e Nicolò è accusato di terrorismo per un sabotaggio nel cantiere di Chiomonte.
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By anarres
– 31 Maggio 2014
Erano decenni che un partito, da solo, non riusciva a spezzare il muro del 40%.
La netta affermazione del Partito Democratico alle elezioni europee ha sopreso chi si era fidato dei sondaggi che negli ultimi giorni erano giunti e preconizzare persino un testa a testa sulla soglia del 30% tra PD e movimento 5S.
Eppure. Eppure gli ingredienti per una netta affermazione del partito guidato da Matteo Renzi c’erano tutti.
Una punta di concretezza immediata con taglio dell’irpef e 80 euro in busta paga, una classe dirigente completamente innovata, una campagna elettorale giocata all’attacco, senza gli inutili ammiccamenti bersaniani a Grillo, la capacità di tenere insieme il vecchio blocco di potere delle cooperative rosse e del sindacato di riferimento con una nuova attenzione alla generazione precaria. Non appaia un paradosso, perché i ceti post fordisti creati anche dalle politiche del PD degli ultimi vent’anni, hanno fatto propria una narrazione di se e delle relazioni sociali tale da considerare parassitari i dipendenti pubblici, lo stesso sindacato, l’insieme di chi mantiene diritti, lavoratori più anziani, meno dinamici e flessibili, irrimediabilmente novecenteschi.
Un blocco elettorale complesso al punto che Rosi Bindi, già ammoniva Renzi sulle difficoltà di mantenerlo unito.
L’analisi del voto di domenica, inevitabilmente un voto “italiano”, nonostante la cornice europea, sembrerebbe ri-portare indietro le lancette dell’orologio, perché il paragone più immediato è con la grande Balena Bianca di un altro toscano, l’aretino Amintore Fanfani.
Ma, al di là delle suggestioni di un paragone inevitabile di fronte ad un presidente del consiglio e segretario del partito erede del PCI belingueriano, che ha le sue origini tra i boy scaut più che nelle sezioni di partito, oggi il processo della politica post ideologica è giunto a compimento, la rottamazione vera, quella del partito di massa novecentesco, è un fatto. La lunga transizione si è consumata da tempo: i vecchi comunisti del PD esistevano solo nella astuta propaganda dell’ex Cavaliere dalle mille trovate.
I dati elettorali ci offrono anche altri spunti di riflessione. I quattro milioni di italiani che, rispetto alle europee del 2009, hanno deciso di non votare sono il segno di una disaffezione dalla politica istituzionale, che non trova più espressione nel movimento Cinque Stelle. La compagine guidata da Grillo e Casaleggio, pur mantenendo un più che rispettabile 21%, perde due milioni e rotto di voti rispetto alle politiche dello scorso anno, mentre il PD, nonostante la crescita dell’astensionismo, ne prende tre milioni in più.
Grillo viene doppiato dal PD, mentre la Lega, data per morta, si riprende parte dei voti presi da Grillo nel 2013.
La Lega Nord, stante il risultato modesto di Fratelli d’Italia, si candida in modo secco al ruolo di formazione di destra radicale, con una proiezione europea garantita dall’asse con il Front National di Marine Le Pen.
Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Massimo Varengo, un compagno con il quale abbiamo provato a fare un primo percorso analitico sulla consultazione elettorale di domenica scorsa.
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By anarres
– 27 Maggio 2014
In Piemonte hanno votato 2.405.228 su 3.620.349 elettori potenziali, il 66,43%.
Il voto per il candidato del centrosinistra, Sergio Chiamparino, ha oltrepassato il 47%. Alle sue spalle, ben distanziati, i candidati del centrodestra Gilberto Pichetto, al 22,09% e del movimento cinque stelle, Davide Bono, al 21,45.
Chiamparino vince di slancio, andando oltre il 40% del suo partito alle europee.
Nel 2009 la candidata alla presidenza della Regione la democratica Mercedes Bresso, cedette al leghista Cota, per una manciata di voti presi dal Movimento cinque stelle per lo più in Val Susa. Cota è stato travolto dalle inchieste che hanno coinvolto tutta la sua maggioranza. La parentesi leghista viene archiviata con l’elezione di Chiamparino, che riallaccia i fili spezzati nel 2009.
Sergio Chiamparino, politico di professione con poche incursioni nella vita reale, eccezion fatta per il parcheggio di lusso alla Compagnia di San Paolo, al termine di una decennale avventura da sindaco di Torino, è l’uomo simbolo del sistema di potere del Partito Democratico.
Chiamparino è stato il demiurgo della Torino del lungo dopo Fiat, rimodellata come città dei servizi, delle infrastrutture e dei grandi eventi. Tra cemento tondino e luci del varietà è stata messa in atto una normalizzazione dello spazio urbano senza precedenti, consolidando, pezzo dopo pezzo gli snodi di potere che vincolano la materialità di un legame tra politica, affari, cultura, che ne hanno garantito la continuità.
Polizia, vigili urbani, militari nelle periferie povere sono l’altra faccia della movida, dei locali ggiovani, degli spazi offerti ai “creativi”, delle colate di cemento e degli sfratti.
Chiamparino proverà ad estendere il suo programma all’intera regione, immaginata come una sorta di piattaforma logistica, tra comunicazione, servizi e fabbrica delle illusioni.
Alta velocità, città della salute e altri progetti faraonici assorbiranno le risorse necessarie invece per trasporti pubblici, medicina del territorio e di prevenzione, scuole e servizi.
Il voto di domanica 25 gli ha spianato la strada all’interno delle istituzioni.
Fuori, nelle strade, nei quartieri e in Val Susa dovrà fare i conti con i movimenti di opposizione sociale. A sarà dura!
Ascolta la diretta con Renato Strumia realizzata dall’info di Blackout. Strumia ha ricostruito la carriera di Sergio Chiamparino da grigio burocrate a referente privilegiato di un solido blocco di politica e affari.
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– 27 Maggio 2014
Il quadro è lo stesso degli altri piazzali della logistica del nord Italia, teatro di lotte grandi e durissime che hanno messo in difficoltà un sistema feroce di sfruttamento.
Il CAAT, Centro AgroAlimentare di Torino, è il posto dove arrivano i camion con la frutta e la verdura destinate ai 54 mercati rionali torinesi. Si lavora di notte: i Tir vengono scaricati nei magazzini, dove i vari padroncini prendono le merci.
I facchini lavorano all’interno di un intrico normativo, dove il confine tra legale ed illegale, tra cooperative e mafia è del tutto impalpabile.
Il sistema è quello di ogni dove nei piazzali dove il tessuto grezzo che regge la struttura distributiva metropolitana, mostra senza trucchi il punto finale delle politiche del lavoro di questi ultimi trent’anni.
In centro c’è una matrioska, un sistema di cooperative che dipendono da altre cooperative, tra appalti e subappalti, dove i lavoratori sono pedine intercambiabili, sostituibili, scaricabili senza troppi problemi.
Si lavora per pochi euro, con orari massacranti, senza garanzie, senza rispetto dei pur esili paletti imposti dai contratti.
Chi si ribella ai soprusi è sottoposto a continui ricatti, perché i caporali non perdonano chi alza la testa.
Cinque facchini che hanno deciso di non abbassarla sono stati licenziati.
Questa la scintilla che ha incendiato il piazzale di strada del Pontone.
Nella notte tra giovedì e venerdì 23 maggio è partito uno sciopero con blocco dei cancelli.
Nel giro di qualche ora il presidio, partito con pochi numeri, si è infoltito di altri lavoratori e di solidali.
La polizia ha caricato all’alba per cercare di spezzare i picchetti ma i lavoratori hanno resistito a manganelli e lacrimogeni.
Intorno alle otto e mezza un padroncino è uscito a gran velocità, travolgendo cinque persone e ferendone tre. L’uomo è poi stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio.
Un piccolo episodio che la dice lunga sulle illusioni di saldatura di classe con il popolo dei mercatari torinesi, protagonista delle tre giornate dei forconi nel dicembre scorso.
Nel primo pomeriggio, dopo ore di lotta, l’annuncio del ritiro dei licenziamenti, del pagamento dei salari arretrati, dell’apertura di un tavolo di trattativa.
Il sabato successivo si è svolta un’assemblea sindacale nella quale sono stati poste sul tappeto le successive tappe della lotta, che vedono al centro alcune rivendicazioni.
-regolarizzazione di tutti i contratti
-applicazione del Contratto nazionale della logistica e movimentazione merci
-annullamento di ogni provvedimento relativo ai fatti avvenuti nella notte dello sciopero
-spazio dentro al Caat per il Sicobas di informazione sindacale per i lavoratori.
Nel pomeriggio di lunedì 26 è stato fissato un incontro tra una delegazione dei lavoratori di 15 cooperative, il Sicobas e la direzione del CAAT e l’assessorato al lavoro della città di Torino.
Alle 23 l’appuntamento è ai cancelli del CAAT per una nuova assemblea tra lavoratori e solidali. Se la trattativa dovesse fallire si annuncia una nuova notte di lotta.
Il sistema normativo basato sul caporalato legalizzato, l’utilizzo di lavoratori stranieri più facilmente ricattati dal legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, la smaterializzazione del padrone, attraverso un dispositivo che sposta sempre altrove la controparte, si stanno sgretolando di fronte alla possibilità, che le fabbriche non offrono (quasi) più, di fare male a chi lucra sulle vite dei lavoratori.
Le lunghe file di camion pieni di frutta e verdura, che si sono allungate nella notte del 23 maggio, ne sono l’emblema.
Il conflitto ri-trova un proprio spazio fisico, offrendo occasioni all’incontro tra percorsi diversi che si saldano nella concretezza della lotta.
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– 26 Maggio 2014
L’aula bunker delle Vallette è un’appendice, reale e simbolica, del carcere. Qui si celebrarono i grandi processi alla mafia e alla lotta armata. E’ rimasta chiusa per lunghi anni, finché non è stata riaperta per i No Tav. Qui va avanti a tappe forzate il processo ai resistenti della Maddalena nei giorni dello sgombero della libera Repubblica e del primo assedio alla zona occupata.
Giovedì 22 maggio è stata il teatro perfetto per l’udienza inaugurale del processo ai quattro attivisti No Tav accusati di aver compiuto un sabotaggio al cantiere di Chiomonte il 14 maggio dello scorso anno. In quell’occasione venne danneggiato un compressore, presto riparato e rivenduto. Questo danneggiamento per la Procura di Torino vale un’imputazione di attentato con finalità di terrorismo. Un’imputazione che ha sottratto alle loro vite, ai loro affetti, alle lotte Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, rinchiusi da oltre cinque mesi in regime di alta sorveglianza.
Solo da una settimana erano state cancellate alcune misure particolarmente afflittive nei loro confronti, come il divieto di incontro tra loro, e il blocco delle visite per tutti tranne i familiari più stretti.
Entro il 15 giugno verranno rese note le motivazioni della sentenza della Cassazione, che ha annullato quella del Riesame che aveva confermato l’impianto accusatorio della Procura di Torino.
Una prima crepa nel teorema della premiata coppia Padalino/Rinaudo, che potrebbe, ma il condizionale resta d’obbligo, portare ad un alleggerimento della pressione disciplinare sui quattro No Tav.
Nell’udienza del 22 maggio in corte d’assise il giudice ha concesso che i prigionieri fossero messi insieme nella stessa gabbia, in una zona più vicina ai loro avvocati. Per la prima volta da mesi hanno potuto incontrarsi, parlare, ritrovare un frammento della propria comunità umana e politica.
Fuori dall’aula bunker c’erano centinaia di attivisti No Tav dalla Valle, da Torino, da ogni dove. Musica, interventi, il compressore bruciato in effige hanno accompagnato una mattinata piovosa in questo scampolo di città ai confini del nulla metropolitano.
A turno, con lunghe code ed estenuanti controlli, i No Tav sono entrati in aula. Lo spazio riservato al pubblico è distante un centinaio di metri dalla tribuna dove sono assisi i giudici. La gabbia con i prigionieri è lontana. In mezzo un vetro virato sul verde. Sembra un acquario triste.
Ma non importa. Salendo in piedi sulle sedie si riesce a fare un saluto, che i prigionieri ricambiano arrampicandosi sulla gabbia. Loro, cui spetta la parte più difficile, sembrano più forti di chi sta fuori.
In aula il rito si consuma secondo i propri schemi, con la presentazione delle parti civili. Per mesi i media, echeggiando le carte della Procura, avevano annunciato centinaia di costituzioni. La Commissione Europea, i ministeri, gli operai del cantiere, i poliziotti di guardia non si presentano. Alla fine restano solo il governo, LTF, general contractor per la Torino Lyon, e il sindacato di polizia SAP, quello degli applausi agli assassini di Federico Aldrovandi.
Gli avvocati della difesa hanno presentato numerose questioni di carattere procedurale, compresa l’eccezione di costituzionalità dell’articolo 270 sexies, da cui la Procura di Torino desume la definizione di terrorismo.
E’ stata anche avanzata la richiesta di trasferimento a Torino dei quattro compagni.
Il tribunale si è riservato di rispondere. La prossima udienza si terrà il 6 giugno.
Anarres ne ha parlato con Eugenio Losco, uno degli avvocati che difendono i No Tav.
Ascolta la diretta
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– 25 Maggio 2014
Lo slittamento della Tasi nei comuni dove le amministrazioni non sono riuscite a fissare le aliquote ha messo in secondo pianol’abitudine ormai consolidata nelò nostro paese di cambiare nome alle tasse per aumentarle.
La Tasi è più alta dell’Imu, così come l’IMu era stata più alta dell’ICI. Sul piano tecnico il quadro che emerge è quello di un ginepraio di aliquote e detrazioni diverse, con il rischio di avere 8.092 applicazioni diverse della Tasi con oltre 75mila combinazioni differenti di applicazione dell’imposta. Non solo. Con la Tasi, la Tari e le addizionali comunali si finisce con il neutralizzare il bonus Irpef, il cavallo di Troia del governo Renzi. I lavoratori dipendenti stanno comunque meglio dei pensionati esclusi dal bonus fiscale, che peggiorano ulteriormente la propria condizione economica, aumentando il carico fiscale complessivo. Dalle prime proiezioni emerge che su 32 città capoluogo che hanno deliberato la Tasi, nel 40% di queste, l’imposta è più alta dell’Imu pagata nel 2012.
Pià soldi da sborsare nel solito caos burocrazia, mentre i tre imbonitori da fiera fanno il gioco delle tre carte per vincere al gioco delle poltrone.
Per meglio districarsi a districarci tra sigle, aliquote, scadenze vi suggeriamo di ascoltare l’intervista dell’informazione di radio Blackout all’economista Francesco Carlizza.
Ascolta la diretta
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– 25 Maggio 2014
Dopo lunghe ore di attesa la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dai difensori di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò contro la decisione del Tribunale del Riesame che aveva confermato l’accusa di terrorismo formulata dalla Procura torinese.
Poco prima della mezzanotte di giovedì 15 maggio è stata emessa la sentenza che annulla quella del Riesame, cui sono stati rinviati gli atti per una riformulazione del reato.
Dopo oltre cinque mesi di carcere in regime di alta sorveglianza, qualche crepa si apre nel fronte giudiziario.
Sebbene il pronunciamento della Cassazione riguardi solo le misure cautelari, senza investire direttamente il procedimento in corte d’assise che comincerà il 22 maggio con l’accusa di attentato con finalità di terrorismo, pare tuttavia improbabile che non influisca sullo svolgimento del processo.
Nel frattempo per i quattro No Tav, che già ieri avevano avuto un’attenuazione del duro regime carcerario cui sono sottoposti, con la cancellazione del divieto di incontro e la riapertura dei colloqui con amici e compagni, si apre uno spiraglio.
Una buona conclusione per una giornata che si era aperta con la notizia che l’autista del PM Antonio Rinaudo, che aveva denunciato un’aggressione da parte di tre No Tav mascherati, si era inventato tutto. Chi sa se la messa in scena era interamente frutto dell’immaginazione dell’ex carabiniere o la commedia era stata scritta e sceneggiata a più mani?
Il prossimo appuntamento è per l’apertura del processo giovedì 22 maggio.
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– 16 Maggio 2014