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Pirateria militare

Uno dei risvolti meno noti del Decreto legge n. 107 del 12 luglio voluto dal governo – ma votato anche da larga parte della cosiddetta opposizione – sul rifinanziamento delle missioni militari all’estero riguardava l’imbarco di militari e contractor sulle navi italiane per fronteggiare il crescente rischio pirateria (nei primi tre mesi del 2011 è stato toccato il record di 142 attacchi in tutto il mondo).
Secondo quanto previsto dall’articolo 5 – intitolato “Ulteriori misure di contrasto alla pirateria” – il Ministero della Difesa è autorizzato a ”stipulare con l’armatoria privata italiana convenzioni per la protezione delle navi battenti bandiera italiana”. Il distaccamento dei militari, o in alternativa di servizi di vigilanza privata, è ”a richiesta e con oneri a carico degli armatori”.
In questo modo, sulle navi commerciali italiane è divenuta possibile la presenza di Nuclei militari di protezione (Nmp) della Marina, comprendenti anche personale di altre forze armate. Quest’ultima misura a tutela della “sicurezza” in mare, risponde soprattutto alle interessate sollecitazioni del padronato navale (Confederazione Italiana Armatori) costretto a pagare quote sempre più alte alle compagnie assicurative o onerosi riscatti ai pirati e ai loro intermediari (anche europei); sollecitazioni mascherate da preoccupazioni per la difesa dell’interesse nazionale o della vita dei marittimi italiani (esclusi, beninteso, i lavoratori in servizio su navi straniere).
A riguardo persino gli esperti militari hanno più volte esternato la loro contrarietà alla militarizzazione del naviglio civile, come ai tempi dei “bastimenti armati” durante la Seconda guerra mondiale, che al contrario metterebbe ancora più a repentaglio la sicurezza degli equipaggi (basti pensare alle conseguenze, su una petroliera, di una sparatoria tra pirati e il corpo armato di bordo).
Contrario all’impiego di guardie armate sui mercantili si era pronunciato pure l’ammiraglio Paolo La Rosa perché porterebbe ad una «escalation di violenza senza controllo» (Il Secolo XIX, 30.4.2009), oltre ad essere in contrasto con il diritto internazionale come affermato dall’ammiraglio Cristiano Bettini per il quale “l’unica vera terapia è quella di andare alla radice del problema, cioè alla povertà dei paesi costieri da cui partono gli attacchi” (La Nazione, 22.2.2010), tanto che lo stesso Ministro della Difesa La Russa aveva espresso la preferenza per l’arruolamento di guardie dipendenti dalle agenzie private.
Peraltro la marina militare risulta già da anni impegnata in una serie di misure “antipirateria” (sovente equiparate a quelle “antiterrorismo”) a protezione della marina mercantile, attraverso la scorta delle rotte più esposte, ma soprattutto con strumenti di controllo e prevenzione quali il Virtual Regional Maritime Traffic Centre (V-RMTC) con sede nella vicinanze di Roma, ossia un sistema di sorveglianza satellitare dei mari collegato con una ventina di marine di altri Stati.
Gli armatori preferiscono ingaggiare delle guardie private sia italiane – come la Security Consulting Group – che soprattutto straniere in virtù del loro minor costo che per la maggiore dipendenza (inversamente proporzionale all’affidabilità professionale) alle direttive di chi paga. Ed è interessante notare che proprio nelle aree più battute dalla pirateria (a partire dalle acque della Somalia dove si registra il 92% dei sequestri a livello mondiale) stanno proliferando le società di sicurezza private con personale composto da ex militari.

Gli esiti infausti di provvedimenti del genere erano purtroppo prevedibili: infatti, il 15 febbraio è arrivato l’incidente: fucilieri del battaglione S. Marco imbarcati sulla petroliera Enrica Lexie, in navigazione al largo delle coste indiane, hanno mitragliato un peschereccio (si parla di 50/60 colpi), scambiato per un’imbarcazione dei pirati, uccidendo due inermi pescatori indiani.

Radio Blackout ha intervistato Marco Rossi, il primo ad occuparsi di questo caso dalle colonne del settimanale anarchico Umanità Nova.

Ascolta l’intervista a Marco

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CIE di Modena. Sciopero della fame e della sete

Mercoledì 22 febbraio. I reclusi del Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena sono in sciopero della fame e della sete da due giorni. Alla protesta partecipano tutti i 56 reclusi della struttura.
Il CIE di Modena è l’equivalente di un supercarcere per senza documenti. Le condizioni di detenzione sono peggiori che altrove, l’isolamento molto più rigido. Ormai da un paio d’anni anche in altri CIE è stato impedito agli “ospiti” di tenere i propri telefoni cellulari, a Modena non è mai stato possibile comunicare con l’esterno se non dietro stretta sorveglianza dei gestori del Centro, la Misericordia di Giovanardi, fratello gemello dell’ex ministro del PDL.
Nonostante l’isolamento questa volta le notizie sono filtrate all’esterno.
A scatenare la protesta, durissima e compatta dei prigionieri, l’inganno messo in atto dalla Questura modenese, che aveva promesso, che, nonostante il recepimento da parte del governo italiano della direttiva rimpatri, allo scadere del sesto mese di detenzione, nessuno sarebbe rimasto nel CIE.
Nei giorni scorsi diversi immigrati sono passati dal giudice di pace che ha prolungato di altri due mesi il soggiorno forzato a Modena. Chi entra in un CIE passa sempre dal giudice di pace che, di volta in volta, aggiunge due mesi a quelli iniziali.
I reclusi sono decisi a resistere finché non otterranno la libertà.

Circolano indiscrezioni su un possibile cambio della guardia nella gestione della struttura emiliana, poiché la Misericordia che l’ha in gestione sin dall’apertura, potrebbe non presentarsi per la prossima gara di appalto. La riduzione del contributo diario per ogni prigioniero renderebbe meno redditizio l’affare. Secondo le stesse fonti tra i possibili concorrenti ci sarebbe la francese Gepsa, che un anno fa sarebbe dovuta subentrare al consorzio Connecting People nella gestione del CIE di Gradisca d’Isonzo, ma per una serie non troppo chiara di inghippi amministrativi, di fatto è rimasta fuori.
Da senzafrontiere

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Rivolta sociale in Grecia

In Grecia continuano le iniziative di lotta contro il pacchetto di licenziamenti, tagli a pensioni e servizi, svendita di beni comuni prescritte dalla trojka (FMI, UE, BCE) al governo greco in cambio dell’ennesimo prestito per dare ossigeno al malato per poterne spremere le ultime energie prima del default. Il pacchetto avvelenato è stato approvato dal parlamento il 12 febbraio, mentre ad Atene e in numerose altre città greche scoppiava la rivolta popolare. Nella capitale gli scontri sono andati avanti per ore, mentre la popolazione in lotta applaudiva gli anarchici che rispondevano con forza agli attacchi della polizia.
In quella giornata ci sono stati oltre cento arresti. Le accuse sono molto gravi: resistenza, attacco incendiario, lesioni.
Molto intenso è anche il dibattito nel movimento sulle prospettive per l’immediato futuro, poiché in tanti sta crescendo la consapevolezza della necessità di un esodo conflittuale dall’istituito. I primi segni ci sono: i lavoratori dell’azienda elettrica si rifiutano di staccare la luce ai morosi, quelli dell’ospedale di Kirkis decisono di occuparlo e autogestirlo per garantire a tutti l’accesso ai servizi sanitari.

Ascolta l’intervista rilasciata a radio Blackout da un compagno greco, Georgios.
scarica il file 

Ascolta l’intervista della scorsa settimana a Massimo Varengo sulla situazione politica e sociale in Grecia

Scarica qui il manifesto – in italiano e in greco – realizzato congiuntamente dalla Comm. Relazioni Internazionali della FAI e dal gruppo dei Comunisti Libertari di Atene

Di seguito un documento sulla giornata del 12 febbraio del gruppo comunista libertario di Atene, di cui Georgios fa parte:
Siamo stati “misurati” ancora una volta… e le nuove misure di austerità sono ormai un fatto.
Ieri sera (domenica 12 febbraio, NdR), un ex presidente del parlamento, ha elencato tutti i mali che avrebbero colpito il popolo greco se non fosse stata approvata la nuova legge: fame, miseria e freddo. Secondo lui non ci saranno i soldi per importare cibo e petrolio, guerra (con la Turchia), “flagellum dei”.
Un giornalista ha scritto che l’unica cosa che non hanno annunciato è l’alba dei morti viventi.
Un’altra cosa che non hanno annunciato sono le botte ed i lacrimogeni, perche quelli ci sarebbero stati comunque, approvata o no la legge.
Solo che, stavolta, la gente ha reagito.
E per la prima volta, il bilancio dei feriti, almeno quello “ufficiale” e quasi alla pari.
Continued…

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Processo “Borghezio”. Il PM chiede un anno e mezzo, sentenza il 29 febbraio

Martedì 14 febbraio. È il giorno delle arringhe al processo che vede alla sbarra due anarchici accusati di aver diffamato e minacciato Mario Borghezio, in arte europarlamentare della Lega Nord, noto fascista e razzista non pentito.

I fatti sono noti. Alla vigilia del 25 aprile del 2009 venne appeso un fantoccio con la faccia di Borghezio davanti alla sede della Lega Nord, in via Poggio a Torino. Manifesti antileghisti/antifascisti apparvero per le vie di Torino.
Il PM Rinaudo esordisce pasticciando sulle date. E pasticciando continua, senza curarsi del ridicolo, su server posti all’estero e pubblicazione di notizie in internet. Tocca il culmine sostenendo con maschera impassibile che dare del fascista a Borghezio è lesivo della sua immagine e costituisce diffamazione.
Non pago, consapevole di non avere uno straccio di prova contro i nostri due compagni, si arrampica sugli specchi. Sostiene che sebbene non si possa dire che siano stati loro, però è chiaro che c’è il concorso morale… La prova del concorso morale sarebbe nella constatazione che i nostri due compagni fanno parte della Federazione Anarchica Italiana. In altre parole sono colpevoli, perché condividono quel che era scritto nel manifesto diffuso il 25 aprile 2009. Sono convinti che: “Ieri camicie nere… oggi camice verdi / Ieri squadracce… oggi ronde / Ieri leggi razziali… oggi leggi razziste / Ieri ebrei e rom… oggi immigrati e rom / Oggi il fascismo ha il volto della Lega / Bossi, Maroni, Borghezio… / a piazzale Loreto c’è ancora tanto posto!”.
Per il reato di diffamazione a mezzo stampa chiede un anno e tre mesi, per le minacce, altri tre mesi. In tutto un anno e mezzo.

L’avvocato La Macchia, reduce dalla vittoria nel processo “Eternit”, è in gran forma. Esordisce mettendo in rilievo i pasticci di Rinaudo. Non ultima la mancanza di una querela per diffamazione. Non c’è la minima prova che i nostri due compagni abbiano diffuso in internet comunicati, foto o manifesti e non basta, rileva l’avvocato, essere anarchici per essere colpevoli.
Entra infine nel cuore vero dell’accusa: dare del fascista a Borghezio lo diffama? Si diffama qualcuno descrivendolo per quello che è anche se finge di non esserlo?
Borghezio è europarlamentare, e, in quanto tale, è soggetto all’exceptio veritatis: se si dimostra che è fascista l’accusa di diffamazione diventa insostenibile.
Il curriculum di Borghezio è di tutto rispetto. Ci sono i consigli su come meglio mascherarsi da innocui regionalisti fatta ai camerati di “Nissa Rebela” durante un convention dell’estrema destra francese. Si va poi alle imprese come dar fuoco ai pagliericci di immigrati sotto ponte Mosca a Torino, passando per la “disinfezione” delle carrozze dove viaggiavano alcune ragazze nigeriane sul Torino Milano.
Tra le esternazioni più recenti, la descrizione di Mladic, il boia di Sebrenica, come “patriota” o le dichiarazioni di apprezzamento delle idee di Breivik, il nazista norvegese, autore di una strage di ragazzi in vacanza.

Il 29 febbraio verrà pronunciata la sentenza. Allora sapremo se essere anarchici basta per essere condannati ad un anno e mezzo di reclusione.

Di una cosa siamo sicuri. Noi tutti siamo colpevoli. Colpevoli di lottare contro un assetto sociale dove c’è chi per arrivare a fine mese, rischia ogni giorno di morire di lavoro, colpevoli di volere l’eguaglianza e la libertà per tutti. Quelli nati qui e quelli nati altrove.

per info:
Federazione Anarchica Torinese – FAI
corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21

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No Tav arrestati: Tobia, Gabriela, Jacopo, Samuele, Giuseppe, Lorenzo ai domiciliari, restano in carcere Marcelo e Maurizio

Questa mattina si è svolta l’udienza al tribunale del riesame per 13 dei No Tav arrestati il 26 gennaio. Per altri quattro il riesame si era pronunciato la scorsa settimana.
Nella stessa mattinata al tribunale di Torino, oltre a quello per i No Tav arrestati, c’era il presidio indetto dalle associazioni delle vittime dell’Eternit di Casale, riunite per la sentenza al processo che vedeva alla sbarra i due baroni svizzeri responsabili di una strage iniziata nel 1907 e mai finita.
Proprio quest’anno, a Casale, c’è stata un’impennata dei casi di mesotelioma pleurico, il tumore che ammazza gli esposti amianto.
Le bandiere No Tav si sono mescolate a quelle del comitato di Casale, alle associazioni delle vittime della strage di Viareggio, a quelle degli operai Thyssen.
Un filo rosso di solidarietà si è intrecciato tra gente venuta da ogni dove per la sentenza contro i “padroni assassini”, come li ha chiamati un operaio bergamasco delle acciaierie di Dalmine.
I No Tav hanno ricordato gli 83 operai morti per la realizzazione delle gallerie Tav nel Mugello. Hanno ripercorso 23 anni di lotta per impedire un’altra strage, perché c’è amianto e uranio nelle montagne che vogliono bucare per fare le gallerie per la Torino Lyon.
Hanno detto che la lotta per riprendersi il futuro, la libertà di decidere, la lotta per una società dove a nessuno sia consentito di lucrare sulle vite altrui, la lotta per liberare il lavoro è comune patrimonio delle genti che decidono di riprendere nelle loro mani il proprio destino.
In mattinata il tribunale ha condannato a 16 anni i due anziani baroni svizzeri, responsabili della morte di 1800 persone.
In tarda serata sono arrivate le prime notizie sull’esito del tribunale del riesame per i No Tav accusati per la resistenza allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena del 27 giugno e per la giornata di lotta del 3 luglio scorsi.
Tobia, Gabriela, Jacopo, Samuele, Giuseppe, Lorenzo vanno ai domiciliari, restano in carcere a Milano Marcelo e Maurizio.
A Tobia hanno applicato i domiciliari in forma molto restrittiva: non può ricevere visite, né telefonate.
Ma il No Tav non si arresta.

25 febbraio corteo No Tav da Bussoleno a Susa. Appuntamento alle 13.

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Grecia. Tra il male e il peggio c’è chi sceglie la libertà

Domenica 12 febbraio. In un clima di nervosa attesa, mentre ad Atene stavano per cominciare le manifestazioni intorno al Parlamento che questa notte potrebbe approvare un nuovo durissimo piano di tagli alla sanità, ai salari, alle pensioni, abbiamo discusso con Massimo Varengo, compagno di Milano che conosce bene la situazione greca e il movimento anarchico di quel paese, delle prospettive di un movimento di opposizione popolare ben deciso a non ingoiare il rospo imposto dalla trojka (FMI, BCE, UE).
Mentre scriviamo Atene brucia: gli scontri intorno al Parlamento sono durissimi, la polizia spazza la piazza con cariche e lacrimogeni, i dimostranti rispondono con pietre, bombe carta e molotov.
La ricetta proposta dal premier Papademos, il tecnocrate chiamato ad eseguire i diktat europei, è particolarmente dura. Papademos, sostenuto in maniera bipartisan dai due principali partiti greci, la conservatrice Nea Democratia e i socialisti del Pasok, vuole servire ai greci altri durissimi sacrifici. Il paese è ormai allo stremo: in alcuni ospedali la gente deve portare da casa aghi e carta igienica, i pronto soccorso straripano di gente che non può pagare il medico di base, la disoccupazione è alle stelle.
Il piano che con ogni probabilità verrà approvato questa notte prevede una radicale riforma del mercato del lavoro, con una profonda deregulation, una diminuzione di oltre il 20% del salario minimo garantito e un taglio delle pensioni. In vendita le quote pubbliche in petrolio, gas e acqua.
È significativo che in questi stessi giorni anche in Spagna dopo la riforma laboral imposta dal governo di Mariano Rajoy, a Madrid ci siano state manifestazioni sfociate in scontri con la polizia.
In Italia Monti si sta accingendo a varare misure analoghe, tentando approcci – poi smentiti con la segretaria CGIL Camusso – per un passaggio morbido delle misure.
Papademos sta sostenendo che la scelta è tra il male e il peggio. Ormai da tempo i lavoratori greci rifiutano la scelta e optano per la libertà.
Assediando il parlamento ma non solo. In alcune località come la cittadina di Kirkis, a 80 chilometri da Salonicco, i lavoratori dell’ospedale locale hanno deciso di autogestire la struttura con criteri di condivisione e solidarietà.
Ascolta l’intervista a Massimo Varengo

Aggiornamento al 13 febbraio. Tutti i giornali definiscono gli anarchici teppisti, black bloc, devastatori. Ma alcuni sono stati costretti ad ammettere che la notte di rivolta che ha accompagnato il voto parlamentare sui tagli di 3,3 miliardi di euro è stata sostenuta e appoggiata dalla popolazione.
Lo scrive Il Giornale:  “sostenuti dalla popolazione, stanca dei continui tagli a pensioni e salari”. E La Stampa nell’edizione on line della notte scrive che gli anarchici sono “accolti dagli applausi della piazza”; nell’edizione di questa mattina la notizia scompare. Nonostante questo il reportage racconta di una popolazione decisa a restare in piazza, nonostante lacrimogeni, manganellate e idranti.

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Torino. Martedì 14 febbraio sentenza al processo “Borghezio”

Martedì 14 febbraio alle ore 10
ultima udienza del processo
Palagiustizia, corso Vittorio Emanuele 130
aula 82, ingresso 22, primo piano.

Venerdì 17 febbraio ore 21
conferenza/dibattito
“Il seme dell’odio. La Lega tra populismo e demagogia”
Interverrà Pietro Stara. Ore 21 in corso Palermo 46

Sabato 18 febbraio
presidio antileghista e antirazzista al Balon – via Borgodora angolo via Andreis. Dalle ore 10

Martedì 14 febbraio ci sarà la sentenza al processo contro due anarchici.
L’accusa? Diffamazione e minacce nei confronti di Mario Borghezio, europarlamentare della Lega Nord e, per inciso, noto razzista e fascista non pentito.
I fatti?
Alla vigilia del 25 aprile del 2009 davanti alla sede della Lega apparve un fantoccio con la faccia di Borghezio appeso a testa in giù, come Mussolini a piazzale Loreto. Manifesti analoghi furono affissi in città. Un gesto simbolico per mostrare che il fascismo è al governo e in parlamento.
Maria ed Emilio sono accusati di aver detto e scritto che Borghezio è un fascista ed un razzista. Borghezio ha sempre proclamato con orgoglio di essere fascista e razzista: nonostante questo i nostri due compagni rischiano una condanna per averlo diffamato.

In tribunale Maria ed Emilio, sulla cui responsabilità nel gesto simbolico il PM Rinaudo non ha uno straccio di prova, hanno letto una dichiarazione spontanea nella quale hanno ribadito la piena condivisione politica e morale delle iniziative di quel 25 aprile.
Ne riportiamo alcuni stralci:

“Noi siamo anarchici. Gli anarchici sono sempre stati in prima fila contro il fascismo.
Oggi il fascismo è tornato. Guerra, razzismo, militari in strada, profughi respinti in mare, campi di concentramento per gli indesiderabili.
La Lega Nord ne è l’emblema.
Siamo accusati di aver appeso un manichino con la faccia di Borghezio davanti alla sede della Lega alla vigilia del 25 aprile.
Un gesto provocatorio per scuotere le coscienze, perché, alla vigilia del giorno in cui si ricorda l’insurrezione contro il fascismo, la memoria della gente di Torino tornasse a quei giorni. Quando nelle strade di Torino i partigiani combattevano per la libertà, la giustizia sociale, la solidarietà.
La Lega Nord promuove continue campagne di odio razzista e xenofobo. Borghezio fa comizi con i neofascisti di Forza Nuova, gli stessi che “festeggiano” in rete la morte di quattro bambini rom, bruciati vivi in una baracca.
Borghezio ha dato fuoco ai ricoveri degli immigrati, ha spruzzato l’insetticida addosso a povere ragazze africane, ha malmenato un bambino marocchino che vendeva accendini.
Siamo processati solo per aver espresso liberamente le nostre opinioni.
Difendiamo anche in quest’aula la libertà di esprimere le nostre idee.
La libertà di dire, oggi come nell’aprile del 2009, che il fascismo colpisce ogni giorno.
La libertà di ricordare le ragioni di chi combatteva il fascismo, portando in se il sogno di un’umanità senza stati né frontiere, solidale. Le ragioni di chi lottava perché uguaglianza/libertà/solidarietà non fossero solo parole ma il cuore stesso della nostra società. Queste ragioni sono state dimenticate o gettate nel fango.
Oggi siamo in quest’aula per queste idee e non per altro.
Se ci condannate, ci condannate per queste idee e non per altro.”
(Maria Matteo, Emilio Penna)

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I No Tav arrestati protestano: 5 trasferiti per punizione. Riesame: restano in carcere Giorgio e Luca, domiciliari per Zeno e Federico

Giovedì 9 febbraio. Il No Tav non si arresta. Nemmeno in carcere. Alle Vallette martedì scorso quattro dei No Tav arrestati il 26 gennaio per le giornate di lotta e di resistenza del 27 giugno e del 3 luglio hanno protestato attivamente contro la cancellazione delle ore di “socialità” concesse dall’amministrazione penitenziaria.
La vendetta non si è fatta attendere: questa mattina l’anarchico Tobia Imperato è stato trasferito nel carcere di Cuneo.
Secondo quanto scrivono i quotidiani La Stampa e CronacaQui direttori e secondini delle carceri di mezza Italia non vorrebbero i detenuti No Tav, perché sono diventati punto di riferimento per gli altri prigionieri e la situazione, già incandescente per il sovraffollamento, rischia di dilagare in proteste più ampie.

Aggiornamento ore 11,39. Luca Cientanni è stato trasferito nel carcere di Ivrea.
Questa mattina, lo riferisce l’avvocato Lamacchia, il tribunale del riesame si è pronunciato sulle richieste di scarcerazione dei quattro No Tav per i quali c’è stata l’udienza il 6 febbraio. Luca Cientanni e Giorgio Rossetto restano in carcere, a Federico Guido e Zeno Rocca sono stati concessi i domiciliari.
L’udienza del riesame per gli altri No Tav è stata fissata il 13 febbraio: l’esito si saprà il prossimo fine settimana.
Giungono notizie dal carcere da Gabriela Avossa, le cui condizioni di detenzione sono particolarmente dure: è rinchiusa in una cella senza finestre e dorme in un letto pieno di pulci.

Aggiornamento. Altri tre No Tav trasferiti per punizione: Matteo Grieco – Mambo – nel carcere di Alessandria, Giorgio Rossetto è stato portato in quello di Saluzzo, Jacopo Bindi è ad Alba

Un motivo in più per essere in tanti alla manifestazione del 25 febbraio da Bussoleno a Susa – dove ci sarà lo spezzone rosso e nero dell’anarchismo sociale.

Di seguito la lettera dalle Vallette di Tobia Imperato e Giorgio Rossetto sulla protesta di martedì 7 febbraio:
A tutti i compagni/e
Vogliamo farvi sapere che ieri, mentre si svolgeva il concerto davanti al carcere, noi abbiamo dato corso a una protesta contro le pesanti condizioni di agibilità interna.
Al detenuto spettano, per disposizione ministeriale, 4 ore d’aria. In più sono concesse 2 ore di socialità, in cui i detenuti dovrebbero, appunto, socializzare tra loro.
Fino a poco tempo fa in queste ore venivano aperte le celle e si poteva passeggiare nel corridoio o, volendo, entrare in un’altra cella. Ultimamente ci fanno uscire e, dopo un quarto d’ora, ci fanno entrare nelle celle in cui vogliamo stare.
In questi giorni d’emergenza freddo è impossibile uscire all’aria anche perché i cortili sono invasi dalla neve e non si sono attrezzati con scarpe adatte. Se non vai all’aria ti obbligano a stare chiuso in cella.
Ieri sera, nella nostra sezione le condizioni sono state inasprite. Invece di aprire tutte le celle contemporaneamente venivano aperte una alla volta, ti portavano alla cella che volevi e ti richiudevano nuovamente.
Quando ci hanno aperto noi (Tobia e Giorgio) siamo rimasti in corridoio rifiutando di farci nuovamente rinchiudere. Allora han provato a metterci contro gli altri, dicendo che fino a quando noi eravamo in corridoio non avrebbero più aperto a nessuno. Dopo esserci consultati con gli altri detenuti, abbiamo deciso di non desistere.
Dopo un po’ di minacce, hanno chiamato la squadretta, composta da mezza dozzina di agenti nerboruti, con il chiaro intento di intimidirci. Al nostro netto rifiuto di rientrare in cella, ci hanno presi di peso e sbattuti dentro, senza però usare violenza.
Dopo una decina di minuti siamo stati convocati dal Direttore che, con modi gentili e molto paternalismo si lamentava che era la terza protesta di questo tipo che avevano messo in atto.
Noi, dopo aver precisato che non volevamo favori ne privilegi personali, abbiamo presentato a nome di tutti i detenuti della sezione una serie di richieste di agibilità minima.
Il direttore ha risposto che ci avrebbe riflettuto sopra e ci avrebbe fatto sapere.
Adesso stiamo valutando il da farsi.
Come i banchieri cercano di far pagare la crisi ai lavoratori, in carcere si cerca di far pagare il sovraffollamento ai detenuti. Vengono progressivamente ridotte le dotazioni (detersivi, carta igienica, ecc.) e, con la scusa di maggiori difficoltà di gestione, gli spazi di agibilità.
La lotta non si fermerà.
i detenuti del 26 gennaio 2012
Giorgio e Tobia

Per chi volesse scrivere, inviare telegrammi di solidarietà a Tobia questo è l’indirizzo del carcere:
Tobia Imperato
Casa Circondariale
via Roncata 75,
12100 Cuneo

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Ancora in marcia. 25 febbraio corteo No Tav

Lunedì 6 febbraio. Domani ci sarà la prima udienza al tribunale del riesame per i No Tav arrestati il 26 gennaio e un concerto di solidarietà davanti al carcere delle Vallette a Torino.

Di seguito l’articolo che uscirà sul prossimo numero di Umanità Nova con gli aggiornamenti sugli arresti No Tav, la firma dell’accordo sulla Torino Lyon del 31 gennaio e un approfondimento sulla prossima manifestazione No Tav del 25 febbraio da Bussoleno a Susa.

25 febbraio. Corteo No Tav da Bussoleno a Susa
Ancora in marcia
Il 6 febbraio si terrà la prima delle udienze al tribunale del riesame per i No Tav arrestati il 26 gennaio: ci vorranno alcuni giorni per sapere se i compagni rinchiusi nei carceri di Torino, Asti, Milano, Padova, Trento, Genova, Pistoia e Roma riacquisteranno almeno un pezzetto di libertà.
Nell’ultima settimana il Gip ha deciso di attenuare le misure restrittive nei confronti di Mario di Bussoleno, inviato ai domiciliari come già Guido di Villarfocchiardo. Ai domiciliari c’è anche Maja, ormai al settimo mese di gravidanza. Restano liberi i tre No Tav sfuggiti all’arresto.
Respinta l’istanza di scarcerazione di Tobia, nonostante le accuse nei suoi confronti siano esilissime. Evidente la volontà della magistratura torinese di farla pagare ad un compagno che ne aveva denunciato le malefatte nel libro dedicato a Soledad Rosas e ad Edoardo Massari, entrambi morti suicidi in stato di detenzione, il 27 marzo e l’11 luglio del 1998.
Probabilmente i domiciliari concessi ai due valsusini fanno parte della strategia della Procura torinese per cercare di creare una divisione tra buoni e cattivi, che il movimento nel suo complesso ha respinto al mittente da lunghi mesi.
Sul fronte istituzionale si distingue l’onorevole democratico Esposito, paladino del Tav da sempre in prima fila nella criminalizzazione del movimento. Esposito lancia un “j’accuse” contro Livio Pepino. Pepino, magistrato in pensione e collaboratore del Manifesto, è colpevole di aver scritto un articolo nel quale – da magistrato – sostiene gli elementi d’accusa a carico dei No Tav arrestati non giustificano il carcere preventivo. Esposito si guarda bene dall’intervenire nel merito, ma si limita a sostenere che Pepino è uomo di parte, poiché suo figlio è un anarchico attivamente impegnato nel movimento No Tav.
In tutta Italia si stanno moltiplicando le iniziative di solidarietà e sostegno ai No Tav vittime della repressione: non si contano più i presidi, le azioni di blocco, le cene benefit, le serate informative.
Un segno concreto del sostegno che la lotta contro il supertreno si è guadagnata in questi anni.
Indiscrezioni de La Stampa annunciano l’arrivo di nuove operazioni repressive: nel mirino della magistratura la giornata di lotta No Tav dell’8 dicembre, con l’occupazione per 14 ore dell’autostrada e l’assedio al non cantiere, culminato con cariche violente e tre No Tav feriti gravemente.

L’accordo tra la Francia e l’Italia per la Torino Lyon
Il 31 gennaio a Roma i ministri delle infrastrutture italiano e francese hanno firmato l’accordo per la realizzazione della Torino Lyon, che prevede che si cominci dal tunnel di base, dalle due stazioni internazionali di Susa e San Jean de Mauriuenne, rimandando a un fase successiva la realizzazione delle due tratte nazionali dell’opera.
I giornali hanno dato gran risalto a questa firma, che nei fatti avrà un solo effetto pratico: sbloccare definitivamente i 671 milioni di euro stanziati dall’Unione Europea per la tratta internazionale dell’opera.
Vale la pena ricordare che è la seconda volta che Italia e Francia siglano in pompa magna un accordo per il Tav. La prima volta fecero la cerimonia a Torino, alla presenza del presidente francese e del primo ministro italiano. Fuori, nel centro di Torino blindato per la visita, c’erano i No Tav – tante le famiglie con bambini – che manifestavano in piazza San Carlo tenuti lontani da piazza Castello, dove era in corso l’incontro. Finì con una carica. Era il 29 gennaio del 2000. Cinque anni dopo tre giorni di rivolta popolare bloccarono per sempre quel progetto e l’accordo divenne carta straccia. Oggi ci riprovano con un nuovo percorso e con sette mesi di occupazione militare dell’area dove dovrebbero iniziare ma non sono mai cominciati i lavori per la realizzazione di un tunnel geognostico.

La manifestazione No Tav del 25 febbraio
Circa un mese prima degli arresti del 26 gennaio la Comunità Montana Valli Susa e Sangone ha proposto al movimento No Tav un corteo contro la militarizzazione, per il blocco del non/cantiere della Maddalena, per investimenti in scuole e ospedali.
Una partita complessa nella quale si mescola la lotta di parte del ceto politico contro l’abolizione di Comunità Montane e piccoli comuni, con il difficile equilibrio di forze che regge la maggioranza in Comunità Montana, una maggioranza sostenuta dalle liste civiche vicine ai No Tav, da una parte del PD e da SEL. L’ex presidente della Comunità Montana Ferrentino gioca la sua partita per tornare in pista, spingendo la richiesta di un nuovo tavolo di trattative.
Gli arresti complicano il quadro, perché solo una parte dell’assemblea dei sindaci esprime posizioni garantiste. Alla fine nel manifesto di indizione dell’iniziativa firmato dalla Comunità Montana – ma pagato dal movimento No Tav – ci sarà solo un esile “sì alla libertà di dissenso”.
Nei fatti al di là del consueto gioco istituzionale la manifestazione del 25 febbraio sarà una manifestazione nazionale, con al centro la solidarietà ai No Tav arrestati per la resistenza alla Maddalena di Chiomonte del 27 giugno e del 3 luglio. I comitati No Tav avranno un loro manifesto di indizione con una piattaforma più ampia di quella mediata con l’assemblea dei sindaci.
Da ogni dove sono annunciati pullman, treni, macchinate.
Il 25 febbraio sarà un appuntamento importante. Non per il ritorno in piazza delle fasce tricolori, delle quali in tanti avremmo fatto volentieri a meno: sei anni di tavoli di trattative e cambiamenti repentini di fronte sono indice del fallimento del fronte istituzionale, ben al di là della naturale diffidenza degli anarchici verso chi fa il gioco delle poltrone.
Il 25 febbraio sarà importante, perché un corteo grande, plurale è la miglior risposta agli arresti e, soprattutto, ai tentativi di divisione tra buoni e cattivi, valligiani e gente di fuori.
Gli anarchici sociali organizzano uno spezzone rosso e nero al corteo di Susa. Siamo convinti che i prossimi mesi saranno cruciali per la partita che si sta giocando sul Tav.
Anche all’interno del movimento di opposizione all’opera, dove da mesi si gioca una partita complicata tra chi punta ad una lotta di grande durata, tra momenti di calma e manifestazioni per tutti, e altri più caldi per gli attivisti, e chi invece mira a creare le condizioni perché la lotta al Tav sia sempre di tutti, mettendo al centro il movimento popolare.
Il governo sta cercando di intrappolare il movimento nell’assedio al non cantiere della Maddalena: una trappola da evitare. Il conflitto deve estendersi, inceppando la macchina del Tav ovunque: dalle autostrade, dove passano le truppe ed i mezzi, alle ditte che partecipano agli appalti, sino, quando ci saranno le condizioni, allo sciopero generale e al blocco di paesi e città.
L’alternativa è divenire un movimento di testimonianza con qualche scoppio di vivacità estiva.
Si può fare di meglio, si può fare di più. Anche per i compagni e le compagne che in questo momento sono in carcere.
Maria Matteo

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Liberi tutti! Le macerie del Tav a Torino

Diecimila solidali con gli attivisti in carcere

Sabato 28 gennaio. Una nevicata di quelle che non si vedevano da tempo a Torino. Una boccata d’aria dopo mesi di siccità e smog. Gennaio si è ripreso il suo mantello di freddo e ghiaccio.
I No Tav, nonostante la giornata da lupi, si sono raccolti in molte migliaia in piazza Carlo Felice. C’erano tutti: i comitati della Val Susa, di Torino, dei paesi intorno, e tanti solidali arrivati da tutta Italia per sostenere ancora una volta una lotta che è divenuta punto di riferimento per tanti che si oppongono alle grandi opere inutili, alle installazioni militari, alla devastazione del territorio ed allo spreco delle risorse.
Il primo gennaio l’area del non/cantiere della Maddalena è divenuta area strategico-militare. L’ultimo tassello di una strategia disciplinare che l’intera classe politica, compresi i tecnocrati oggi al governo, hanno deciso di mettere in campo per piegare la resistenza dei No Tav.
Il 28 gennaio era stata organizzata come giornata di informazione e lotta alla militarizzazione, al Tav, alla lobby che lo sostiene
L’indignazione per gli arresti del 26 gennaio ha fatto sì che la manifestazione si allargasse, dilagando per le strade, invadendo il centro di Torino, assediando il palazzo della Regione.
In apertura c’erano le carriole cariche di una manciata delle macerie prodotte per allestire il fortino della Maddalena. C’erano pezzi degli alberi tagliati per il non cantiere, filo spinato, bossoli dei lacrimogeni che ci hanno soffocati e feriti. Il segno tangibile della violenza dello Stato.
Uno Stato che ha dichiarato guerra ai No Tav: occupare un territorio per imporre un opera non voluta, cintarlo come una fortezza, impiegando blindati e soldati reduci dalla guerra in Afganistan, è vera guerra.
Il 28 gennaio abbiamo voluto, in modo simbolico ma concreto restituire ai signori del Tav le loro macerie. Le macerie della libertà di tutti ferita dalla militarizzazione di un’intera valle.
La frivolezza tattica della Clown Army ha accompagnato le carriole di fronte al Palazzo della Regione, dove i soldati/vestiti da pagliacci hanno irriso i pagliacci in divisa che presidiavano l’ingresso.
In testa, dietro allo striscione “No Tav, una garanzia per il futuro”, c’era anche il grande striscione “il No Tav non si arresta”.
Dal camioncino per l’intero percorso si sono ricordate le ragioni dei No Tav. Le ragioni di chi si mette di mezzo, di chi non ci sta, di chi pensa a quante scuole, ospedali, ferrovie per i pendolari si potrebbero costruire con i 22 miliardi destinati ad un’opera che serve solo ad arricchire la lobby del cemento e del tondino e i suoi padrini politici, a destra come a sinistra.
In tutto il corteo più volte è echeggiato lo slogan “libertà, libertà!
Un corteo bello, multiforme, con tante anime. C’erano decine e decine di cartelli autoprodotti, in cui ciascuno aveva scritto una delle tante ragioni della lotta.
Non potevano mancare le foto degli arrestati, i cartelli di saluto per l’uno e per l’altro. Sul furgone di apertura c’era scritto “Liberi tutti!”
Il prossimo appuntamento sarà il 25 febbraio. Una grande manifestazione da Bussoleno a Susa, la marcia di un popolo che non si arresta, un popolo che ormai è in tutta Italia.

su “Movimenti e strategie disciplinari” ascolta l’intervista a Massimo Varengo su radio Blackout

Sempre su radio Blackout puoi ascoltare le cronache ed analisi di anarres e le interviste compagni di Reggio Emilia, Parma e Trieste sulle iniziative di lotta, solidarietà e informazione che ci sono state nelle loro città.

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No Tav. Quelli che si mettono di mezzo

Arresti, perquisizioni, obblighi di dimora. Questa la ricetta della Procura di Torino, che da lunghi mesi si è assunta l’incarico di regolare i conti con il movimento No Tav. Sin dal giugno scorso si sono moltiplicati avvisi di garanzia, arresti, denunce, fogli di via nei confronti degli attivisti No Tav. Tutti firmati da Giancarlo Caselli, l’eroe della sinistra giustizialista, che vuole farla finita con un movimento cui si sono ispirati i tanti che si battono contro lo devastazione del territorio, contro un’idea di sviluppo folle e distruttiva, contrastando discariche, centrali, fabbriche inquinanti e installazioni militari. Giancarlo Caselli, il procuratore antimafia, che si schiera con la mafia del Tav.
La strategia della lobby Si Tav è molto chiara: trasformare la protesta nei confronti di un’opera inutile, dannosa, follemente costosa in una questione di ordine pubblico.
La scelta di occupare militarmente il territorio, di invadere l’area archeologica, trasformandola in un bivacco per le truppe di occupazione, culminata a gennaio nella trasformazione della zona in area di interesse strategico, la dice lunga sulla volontà di imporre con la forza la nuova linea ad alta velocità tra Torino e Lyon.
Le ragioni della forza contro la forza delle ragioni.
In tanti anni i sostenitori dell’alta velocità hanno saputo articolare solo discorsi densi di vuota retorica. La retorica della piccola Italia schiacciata dietro le Alpi, isolata dall’Europa, condannata al declino. Una retorica falsa che nasconde dietro una foglia di fico un sistema di drenaggio di denaro pubblico a fini privatissimi, sostenuto in maniera bipartisan dalla destra come dalla sinistra, pronte a spartirsi la torta.
I No Tav sono colpevoli.
Sono colpevoli di aver mostrato la trama sottile che sostiene la tela delle grandi opere. Sono colpevoli di essersi schierati dalla parte dei tanti che non ce la fanno ad arrivare a fine mese. Sono colpevoli di stare con chi vorrebbe che i 22 miliardi della Torino Lyon fossero usati migliorare la vita di noi tutti, garantendo ospedali, pensioni, trasporti pubblici, scuole a tutti in modo eguale.
Sono colpevoli di aver pensato che un altro mondo è possibile. Sono colpevoli di aver cominciato a vivere frammenti di relazioni politiche e sociali che vivono già oggi l’utopia concreta della partecipazione diretta alle scelte, della solidarietà, del mutuo appoggio.
Sono colpevoli di sapere che la testimonianza non basta, che occorre mettersi in mezzo, anche a rischio della propria libertà, per offrire uno scampolo di libertà a tutti.
Sono colpevoli di pensare che l’ordine ingiusto e predatorio in cui siamo forzati a vivere possa e debba essere spezzato, sono colpevoli di sapere che il futuro non è già segnato, che la precarietà, lo sfruttamento, la fame dei poveri, le guerre debbano divenire retaggio di un passato da dimenticare.
Sono colpevoli di non essersi mai tirati indietro, di aver resistito per oltre vent’anni.
Dopo la rivolta popolare del 2005, sindaci ed amministratori locali sedotti dalle sirene del denaro e del potere, hanno fatto il salto della quaglia, ma non sono riusciti a spezzare il movimento.
Lo scorso maggio, il governo, smessa la finzione della mediazione politica, ha deciso di passare nuovamente alle maniere forti. Manganelli, lacrimogeni, botte, denunce e carcere. Gran parte degli organi di informazione si sono messi al servizio per diffamare e falsificare, sperando in una divisione tra “buoni” e “cattivi”.
Hanno fallito.
Un movimento popolare, un movimento tanto radicato quanto radicale, sa che di fronte alla violenza di carabinieri, poliziotti, militari reduci dalla guerra in Afganistan, di fronte all’occupazione militare, di fronte alla violenza legale ma non legittima dello Stato, ribellarsi è giusto.
Mettersi in mezzo è un impegno morale.
I No Tav arrestati il 26 gennaio sono colpevoli. Colpevoli di aver tenuto fede all’impegno che tutti ci siamo presi. Colpevoli di resistere. Partigiani della libertà di tutti.
Li vogliamo liberi. Liberi subito.

Torino
Sabato 28 gennaio
Manifestazione No Tav
ore 14,30 piazza Carlo Felice – di fronte alla stazione FS

Federazione Anarchica Torino
Corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21

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Altri comunicati ed appuntamenti
Trieste
27 gennaio
In occasione dello sciopero di USB e USI AIT e delle iniziative alla risiera di San Sabba per la giornata della memoria è stato distribuito il seguente volantino:
La logica rovesciata
Chi difende la natura, il diritto degli alberi ad esistere, dei contadini a coltivare, dei sentieri a rimanere aperti ai gitanti, del paese a non venir distrutto da opere di grande impatto e dall’enorme costo
Viene accusato di devastazione
Da chi usa ruspe per abbattere gli alberi, recinti per bloccare i sentieri, distrugge i campi coltivati, perfora le montagne con tritolo e modifica irreparabilmente l’ambiente naturale, creando un enorme buco economico per realizzare dei buchi nella natura

Chi cerca di garantire la libertà dei cittadini a vivere sulla propria terra, del proprio lavoro, nella propria natura
Viene accusato di essere violento
Da chi gasa chi si oppone alle distruzioni usando gas proibiti dalle convenzioni internazionali, posa filo spinato, usa carri armati militari, manganelli, fogli di via e mandati di cattura…

la loro violenza non fermerà l’opposizione popolare contro la devastazione fisica ed economica che vogliono imporci.
NoTav
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Parma
Ieri, 26 Gennaio 2012, all’alba, un nostro compagno ha subito la perquisizione del suo appartamento, è stato sottoposto a fermo e poi rilasciato con obbligo di dimora. Si è trattato di un’operazione che rientra nell’azione repressiva  condotta nei confronti del movimento NO TAV della Val di Susa che, come noto, da anni si oppone alla costruzione di un opera inutile, dannosa, e che ci costerà almeno tra i 15 e i 20 miliardi di euro. Oltre al nostro compagno, nell’ambito dell’inchiesta più di quaranta persone sono state colpite con perquisizioni, obblighi di dimora e 26 arresti. Questo atto repressivo, preparato ad arte per avere un forte impatto mediatico, è volto alla criminalizzazione di un intero e composito movimento, evidentemente pericoloso per chi vuole speculare e trarre profitto dalla devastazione di un territorio.
La repressione è uno dei tanti mezzi con cui si tenta di fermare una legittima lotta popolare, con la quale siamo da sempre solidali. Nell’Italia di Monti e della crisi, i NoTav costituiscono un esempio pericoloso per determinazione, costanza, dimensioni e incisività, un esempio al quale tutti quelli che si oppongono al governo delle banche potrebbero guardare per trarre ispirazione e fiducia. Un esempio che come tale va colpito in modo esemplare.
Se questi arresti contengono anche un messaggio alle opposizioni e alle resistenze, lo rispediremo prontamente al mittente.
Sabato 28 Gennaio alle 14,30 ci ritroveremo uniti in piazza Garibaldi, per chiedere la liberazione di tutt* gli arrestati e ribadire la nostra ferma opposizione nei confronti di chi senza pietà sfrutta, distrugge e guadagna sulla nostra vita.
Solidarietà a tutti coloro che si oppongono al Tav e a simili mostruosità.
Parma NO TAV
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Reggio Emilia
sabato 28 gennaio ore 15
presidio in piazzale Marconi

Giovedì 26 gennaio è stata avviata una vasta operazione repressiva nei confronti del movimento NoTav. Questo movimento ha dimostrato, in quasi venti anni di lotte, che opporsi ai soprusi dello stato, delle mafie e del capitale è possibile. E lo ha dimostrato con una lotta quotidiana portata avanti da decine di migliaia di persone della Valle e da migliaia di solidali. Lo ha dimostrato tramite una pratica assembleare e dal basso, con la volontà di creare una mobilitazione condivisa e ampia.
Ora, come già altre volte, lo stato italiano e i media vogliono creare terra bruciata intorno a questo movimento. E lo fanno con i mezzi che sono a loro più congeniali: denunce, carcere, manganellate, lacrimogeni e falsità scritte sui media.
I giornali e i telegiornali, a parte qualche rara eccezione, hanno ripreso in pieno la favola raccontata dal procuratore Caselli: esiste da una parte un dissenso – ma che non sia mai resistenza! – legittimo e dall’altra dei facinorosi devastatori, per cui ogni occasione è buona per lanciare sassi.
È una distinzione che il movimento NoTav ha sempre rifiutato dato che ha sempre voluto tenere al suo interno un’ampia varietà di pratiche di resistenza ai soprusi e agli abusi perpetrati da chi vuole imporre un’opera devastante e inutile ad un paese.
I comitati popolari che si oppongono al TAV non sono composti da ingenui nemici del progresso e del lavoro; al contrario, si tratta di donne e uomini, che non vogliono vedere devastato il territorio in cui vivono; donne e uomini che vogliono il miglioramento dei servizi utili alla collettività e non agli interessi delle multinazionali e degli speculatori; donne e uomini che alla voracità del sistema produttivo vigente preferiscono un’economia rispettosa dell’ambiente e dei bisogni umani.
È questa volontà che gli arresti di giovedì 26 gennaio vogliono svilire, affermando con militarizzazioni e abusi che un territorio non è di chi lo abita e che i politici eletti diventano di fatto i proprietari, contro i quali non è possibile manifestare dissenso e contrarietà.
Il messaggio che i vari poteri vogliono lanciare è che per spartirsi la torta dei finanziamenti e degli appalti al TAV si è disposti a tutto: occupazione militare, criminalizzazione, intimidazioni, fogli di via.
La Federazione Anarchica Reggiana sostiene il movimento NoTav, rivendica la legittimità del dissenso e della resistenza ed esprime solidarietà agli arrestati, ai denunciati e ai perquisiti.
Federazione Anarchica Reggiana – Via Don Minzoni 1/d Reggio Emilia
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Carrara

 

Sabato 28 gennaio
punto informativo/presidio
Solidale con gli occupanti del palazzo di via Conciatori a Firenze sgomberato la scorsa settimana
Solidale con gli attivisti No Tav arrestati il 26 gennaio

Non abbiate paura
Da sempre lo stato si è posto a difesa di lobby massonico-mafiose ed economiche utilizzando gli stessi metodi per opprimere e terrorizzare chi manifesta contro.
Quando si alza il livello dello scontro sociale scatta immediatamente la repressione.
Gli ultimi arresti dei militanti No Tav sono un monito contro chi in questi giorni si oppone alla macelleria sociale dei governi europei.
Come nel Ventennio anche nella repubblica fondata sul lavoro abbiamo assistito allo sgombero di una sede del più antico sindacato italiano.
A Firenze, la “sinistra” giunta Renzi la mattina del 19 gennaio ha spedito i suoi sgherri a sgomberare un palazzo che ospitava numerosi collettivi di movimento tra cui la sede dell’Unione Sindacale Italiana.
Opporsi è un diritto inalienabile, non facciamoci fermare da questi tentativi terroristici e intimidatori che hanno il solo scopo di annullare il dissenso.
Esprimiamo la nostra solidarietà ai compagni colpiti dalla repressione
Germinal-FAI Carrara – USI-AIT sez. Carrara

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Arresti No Tav

È scattata all’alba di stamane un’operazione di polizia nei confronti del movimento No Tav. Arresti e perquisizioni in varie parti della penisola.

Un motivo in più per partecipare alla manifestazione di sabato 28 a Torino

La Questura di Torino ha emesso venticinque ordinanze di custodia cautelare in carcere, quindici con obbligo di dimora, un compagno è agli arresti domiciliari.
Perquisiti a lungo il Mezcal di Collegno e il Barocchio di Grugliasco e il Paso di Torino, dove hanno arrestato Gabriela. Un arresto anche alla casa occupata di via Muriaglio a Torino, dove hanno portato via Mambo.
Tra gli arrestati c’è anche Tobia Imperato, l’autore de “le scarpe dei suicidi”, Guido Fissore del Comitato No Tav di Fillarfocchiardo, tre esponenti del centro sociale Askatasuna.
A Torino è ancora trattenuta in questura Maja di Macerie, nei cui confronti l’ordine di arresto potrebbe non essere eseguito, perché è incinta.
A Milano hanno arrestato tre compagni, ne stanno ricercando altri tre. Ad Asti è stato arrestato Samuele, un compagno del movimento per la casa. A Robassomero hanno perquisito e arrestato Federico, a Rovereto Juan. Due arresti a Roma e uno a Genova.
I vari provvedimenti sono relativi allo sgombero – il 27 giugno – della Libera Repubblica della Maddalena e alla manifestazione del 3 luglio a Chiomonte.
La regia dell’operazione è di Giancarlo Caselli, che da maggio sta coordinando le numerose operazioni repressive che hanno colpito i No Tav.
I PM sono Giuseppe Ferrando e Manuela Pedrotta.
Di seguito una prima rassegna stampa:
Il Corriere della sera
La Stampa
Repubblica

Prime iniziative di lotta:
Giovedì 26 gennaio:
– Torino ore 17 appuntamento in piazza Castello
– Bussoleno ore 20,30 fiaccolata

Sabato 28 gennaio
Torino. Manifestazione No Tav – ore 14,30 piazza Carlo Felice
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Aggiornamenti
Torino
. Nel tardo pomeriggio del 26 gennaio circa trecento persone si sono date appuntamento in piazza Castello per un presidio solidale con gli arrestati No Tav. Il presidio presto si trasforma in una blocco della piazza e di via Roma che dura una quindicina di minuti. Poi parte un corteo percorre via Po, attraversa piazza Vittorio, arriva alla Gran Madre, sosta per un po’ interrompendo il traffico e poi torna in piazza Castello.

Bussoleno. Diverse migliaia di No Tav danno vita ad una fiaccolata che attraversa il paese. I negozi sono aperti in segno di solidarietà con il barbiere No Tav, arrestato la mattina. I suoi colleghi terranno aperto il suo negozio finché lui non tornerà libero.

Di seguito il comunicato di Spinta dal Bass – Centro sociale Libertario Takuma:
Dopo gli arresti e le viscide dichiarazioni di Caselli, ecco la straordinaria risposta della Valle di Susa. Sbagliava di grosso chi credeva di dividerci in buoni e cattivi. 8000 le persone che hanno risposto all’appello lanciato solo oggi pomeriggio; come sempre il solito colorato mondo no tav con bambini, nonni, giovani studenti… tutti insieme per chiedere l’immediato rilascio di tutti gli arrestati.
Da sottolineare poi la risposta dei commercianti di Bussoleno che in solidarietà a Mario, il barbiere arrestato, hanno tenuto i negozi aperti, nonostante l’ora, ed esposto bandiere no tav e locandine di solidarietà.
Etinomia, la neo-associazione che si batte per un economia etica al di fuori di grandi opere inutili e distruttive,
ha in progetto di tenere aperto il negozio di Mario. I parrucchieri iscritti a Etinomia hanno già dato la loro disponibilità a turnare. Un gesto di straordinaria generosità che poteva avvenire solo in una valle come la nostra, dove al primo posto ci sono i rapporti umani, le relazioni tra paesani e non il profitto.
Un pensiero particolare va al nostro Guido. Per noi di Spinta dal bass è zio Guido, uno di famiglia con cui si è condiviso  anni di lotta ma anche e sopratuttp di amicizia sincera. Zio Guido non è solo un volto conosciuto del movimento, non è solo un bravo consigliere comunale nè solo un presidiante di ferro… Zio Guido è una persona che sa farsi amare e noi lo rivogliamo immediatamente in mezzo a noi. Così come rivogliamo liberi tutti!
La lotta della Valle di Susa non si arresta!

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Il business dell’emergenza: chi lucra su profughi e migranti?

Lunedì 23 gennaio
punto info sulle politiche di esclusione e sfruttamento di immigrati e profughi
ore 17
via Po 16

Le scelte del governo nell’ultimo anno sono state un mix di criminalità e cialtroneria.
È stato un anno di “emergenze” costruite per poter meglio modellare un dispositivo securitario, che punta sul disciplinamento del lavoro migrante, come grimaldello per eliminare ogni tutela per tutti i lavoratori, immigrati o “indigeni”.

Ascolta l’intervista a radio Blackout dell’avvocato Giancluca Vitale, da sempre in prima fila sul fronte dell’immigrazione

Dal primo febbraio, in base al pacchetto sicurezza voluto da Maroni nel 2009, tutti coloro che fanno richiesta del permesso dovranno versare allo Stato una “tassa di soggiorno”.
Lo Stato ne userà metà per espellere i “senza carte”. Un meccanismo razzista che è degno suggello della politica del ministro leghista, che ha lavorato per aumentare gli ostacoli in quella corsa con handicap che è la vita degli immigrati poveri nel nostro paese.
L’altra metà di questa estorsione legale andrà al Viminale per finanziare l’apparato repressivo e per finanziare gli sportelli unici. Nel caso qualcuno non l’avesse ancora capito gli immigrati per lo Stato italiano sono in primo luogo una questione di ordine pubblico. E tali devono rimanere, altrimenti chi lucra sulla vita dei lavoratori non potrebbe profittare di chi, per legge, è uno schiavo. Uno schiavo che paga le tasse, non ha diritti e deve pagare per mantenere ben oliata la macchina delle espulsioni.

La “direttiva rimpatri” dell’Unione Europea è stata interpretata nel senso più restrittivo possibile: smontata in gran parte la procedura del “rimpatrio volontario”, che impedirebbe l’automatica reclusione nei CIE, il governo si è invece subito adeguato a quanto prescrive la normativa sulla durata massima della reclusione nei Centri, ormai estesa a un anno e mezzo.

Il 21 gennaio Monti è andato in Libia per discutere, di soldi, ENI, petrolio ed immigrati. In ballo è la ripresa della cooperazione nel respingimento in mare di profughi e migranti. Con il governo Gheddafi – prima che l’Italia entrasse guerra – le cose andavano a gonfie vele per i razzisti: respingimenti di massa, detenzione nelle galere libiche, netta riduzione degli sbarchi in Sicilia. Tripoli faceva il lavoro sporco, Roma pagava. Chi fuggiva da guerre e persecuzioni trovava galere, torture, stupri e ricatti. Il ministro della difesa Di Paola ha sottoscritto una lettera di intenti con il collega libico Osama al-Juwali per addestrare 300 poliziotti libici in Italia e per il controllo elettronico delle frontiere. La prossima volta andrà in Libia il ministro dell’interno Cancellieri per fissare il nuovo accordo sui flussi migratori. Tutto cambia perché tutto resti uguale.
La Lega Nord scalpita per cacciare via le 22.000 persone sbarcate nel nostro paese per fuggire la guerra in Libia cercando un’opportunità di vita in Europa.
Profughi e richiedenti asilo sono stati affidati alla Protezione Civile, per gestire quella che Berlusconi ha chiamato “emergenza Nord Africa”. La protezione civile anche in questa occasione si è esibita nel solito show. La gente che nel nostro paese ha subito alluvioni, terremoti, frane sa bene che il peggio è venuto dopo. Militarizzazione del territorio, clientelismo, mostruose spese per l’apparato, nulla per chi si trova senza casa e senza lavoro.
I profughi provenienti dalla Libia sono stati dimenticati in migliaia di piccoli centri di accoglienza sparsi per il nostro paese. La protezione civile fa affari, “l’emergenza” diventa una triste normalità.
Tanto “normale” che tanti non se ne accorgono nemmeno, nonostante in ballo ci siano le vite di migliaia di persone.
“Normali” sono diventati anche i CIE, vere galere che lo Stato italiano riserva a quelli che non servono più. Sono posti dove finisci per quello che sei, non per quello che fai. Come nei lager nazisti. Nei CIE rinchiudono chi ha perso il lavoro e, quindi, anche le carte, oppure chi un lavoro a posto con i libretti non l’ha mai avuto e quindi nemmeno le carte in regola.
Chi gestisce un CIE, come la Croce Rossa a Torino, è complice di una macchina fatta per rinchiudere ed eliminare braccia in eccesso, per disciplinare con la sua stessa esistenza le vite di tutti gli altri.
Nella Germania nazista si chiamavano kapò, nell’Italia democratica sono “operatori umanitari”. Per gli operatori umanitari della Croce Rossa la gestione del CIE è un lucroso affare.
Viviamo tempi di guerra. La guerra contro i poveri e gli immigrati, la guerra contro chiunque si opponga alla barbarie.
Ci vogliono nemici dei lavoratori immigrati, per farci dimenticare che il nemico, quello vero, sfrutta e comanda le nostre vite, siede nei consigli di amministrazione delle aziende, sui banchi del governo.
Il filo spinato e le mura dei CIE sono il simbolo concreto della frontiera d’odio che attraversa la nostra società. Una delle tante frontiere da abbattere.

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torino
Corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21

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Assolti i due anarchici accusati di scritte alla sede della Croce Rossa

Il 15 ottobre del 2009 sui muri della sede della Croce Rossa in via Bologna comparvero le scritte “CRI complice dei pestaggi al CIE. Rompere le gabbie!”
Per quelle scritte sono stati processati la scorsa settimana due anarchici della FAI.

Nell’udienza del 12 gennaio sono stati sentiti i testimoni dell’accusa: un poliziotto che ha detto di aver visto le scritte sui muri, Antonino Calvano, ex responsabile della struttura di via Bologna, che ha dichiarato di aver visto le scritte sui muri, il maggiore della Croce Rossa militare, Liguori, che ha visto anche lui le scritte sui muri.
Infine Cambria della Digos, che ha riconosciuto senza alcun dubbio gli autori delle scritte, anarchici a lui ben noti perché tenerli d’occhio è il suo mestiere. Non ha problemi il sovraintentente ad ammettere che il suo lavoro consiste nel tenere sotto controllo gli oppositori politici. Lo fa tanto bene da riconoscerli guardando le riprese della telecamera della ditta di sorveglianza, la CGS. Il video sgranato e grigio, proiettato in aula, mostra tre persone che fanno scritte e scattano foto.
Nessuno li potrebbe riconoscere, tanto le immagini sono confuse. Occhio di lince Cambria, il poliziotto che di mestiere osserva gli anarchici, invece non ha dubbi: sono proprio quei tre. Gli stessi che ha osservato decine di volte mentre manifestavano contro i CIE e chi ci lucra.
Anche noi abbiamo pochi dubbi: in quelle figure grigie e sfocate si sono di sicuro riconosciuti tutti coloro che lottano contro il razzismo di Stato, che condanna ad un anno e mezzo di reclusione amministrativa uomini e donne colpevoli di non essere riusciti ad ottenere il pezzo di carta che li rende legali. Li condanna ad una prigione che è anche un lucroso business per chi, come la Croce Rossa, ne gestisce numerosi.

Il 20 gennaio è arrivata l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

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Processo Cà Neira: assolti i quattro compagni

Mercoledì 18 gennaio. Il processo per l’occupazione dell’ex cinema Zeta, Cà Neira, si è chiuso con un repentino dietrofront dell’accusa.
Il PM Rinaudo, sostituito per l’occasione da una collega, ha bucato ancora una volta l’obiettivo.
I quattro anarchici accusati di occupazione dell’ex cinema Zeta di via Colleasca sono stati prosciolti dalle accuse per non luogo a procedere.
Un processo che non avrebbe nemmeno dovuto cominciare, perché mancava la querela di parte, necessaria se gli occupanti sono meno di dieci e l’edificio non è di uso pubblico.
Rinaudo ci ha provato lo stesso, tentando di attribuire ai compagni anche la responsabilità dei danneggiamenti alla serranda di fronte all’ingresso principale forzata dai poliziotti al momento dell’irruzione per lo sgombero.
Le foto pubblicate da Cronacaqui ritraevano esponenti dell’antisommossa e della digos che forzavano la serranda. La relazione dei periti ha dimostrato in aula quello che tutti gli abitanti del borgo e buona parte dei Torinesi sanno bene: il vecchio cinema di via Colleasca è abbandonato da molti anni.
Quando si è accorto che le cose andavano male Rinaudo ha pensato bene di fare marcia indietro.
Resta il fatto che in questi anni la procura di Torino ha deciso di trattare come questioni di ordine pubblico le lotte politiche e sociali in questa nostra città, dove ci sono 150.000 appartamenti sfitti, mentre chi occupa le case vuote per restituirle ad un uso pubblico finisce alla sbarra.

Quando, nel dicembre del 2010, gli anarchici della FAI torinese lo occuparono non era la prima volta che la storia del vecchio cinema Zeta si intersecava con le lotte di libertà degli anarchici.

Ne approfittiamo per ricordare un episodio del lontano 1975.
Lo Zeta, allora cinema d’essai, dove proiettavano le pellicole che non passavano dai cinema del centro, venne affittato per una manifestazione antimilitarista. Oltre quattrocento compagni e compagne gremirono la sala.

In quell’occasione Mimmo Pucciarelli, un giovane anarchico campano, lesse una dichiarazione nella quale annunciava la decisione di non fare il servizio militare allora obbligatorio. Dopo l’intervento di Mimmo, la sala calò nel buio. Prima che la polizia potesse intervenire, Mimmo si era dileguato. Si rifugerà in Francia, dove vive ancora oggi, proseguendo nella lotta intrapresa tanti anni fa.

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