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15 maggio. Atteso il responso della cassazione sull’accusa di terrorismo per i No Tav

no tav to 10 maggioIl 15 maggio è previsto il pronunciamento della Cassazione, cui si sono appellati gli avvocati degli attivisti arrestati per terrorismo, dopo la sentenza del tribunale dei riesame che ha confermato l’impianto accusatorio della Procura torinese. Se la Cassazione dovesse smontare l’accusa di terrorismo, questa decisione potrebbe in prospettiva cambiare le condizioni detentive di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, ma non modificherebbe l’impianto accusatorio del processo con l’imputazione per 180 e 180 bis, attentato con finalità di terrorismo.
Resta il fatto che il pronunciamento della Cassazione, sia che confermi sia che smentisca Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, i due PM che hanno imbastito il processo, non potrà non influire sullo svolgimento del processo in Corte d’Assise.
Una buona notizia c’é già: la corte d’assise ha eliminato il divieto di incontro tra i quattro No Tav ed ha concesso le visite anche al di fuori della cerchia dei familiari stretti dei compagni.
Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le prese di posizione di giuristi, certamente non sospettabili di simpatie sovversive, che ritengono l’accusa di terrorismo per l’incendio di un compressore una follia. Non solo. Lo stesso articolo 270 sexties, introdotto nell’ordinamento dopo i sanguinosi attentati ai treni a Londra e Madrid, risulta monco, privo dell’aggancio a condotte concrete, contenuto invece nelle normative internazionali sulla materia.
Un segno della natura intrinsecamente politica della norma stessa, che, nella sua voluta genericità, consente di investire con l’accusa di terrorismo chiunque si ritenga abbia danneggiato un bene impalpabile come “l’immagine del paese”. In quest’ottica chiunque potrebbe essere accusato di terrorismo. Anche lo Stato che bombarda, chiude ospedali, consente la devastazione dell’ambiente. Un paradosso che ci consegna intatto un dato chiaro: l’estrema opinabilità della questione, che getta la norma in un gorgo interpretativo che ne dovrebbe rendere impossibile l’applicazione.
Sin qui l’analisi giuridica. Va da se che la partita che si sta giocando sulle vite di Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò è di natura squisitamente politica.

Sulla sentenza della Cassazione attesa per il 15 maggio ascolta la diretta dell’info di Blackout con Eugenio Losco, uno dei difensori dei No Tav accusati di terrorismo.

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10 maggio. Il sole oltre i blindati

2014 05 10 no tav liberi torino (00)Evocare i mostri, suonare le sirene d’allarme, è un modo per dare corpo ai fantasmi, per renderli veri. La costruzione del nemico pubblico, preparata e resa possibile dai media, ha trovato il proprio compimento nell’abnorme apparato di sicurezza che ha investito Torino il 10 maggio.

Qui puoi vedere una galleria di foto dello spezzone rosso e nero al corteo

Qui le foto di un No Tav segusino

Jersey di cemento e acciaio, griglie, decine di blindati, 1600 uomini e donne in armi tra polizia, carabinieri, guardia di finanza e vigili hanno serrato in una morsa d’acciaio il Palagiustizia e l’intero percorso del corteo.
Un’esibizione muscolare per creare un’aura di pericolo intorno alla marcia popolare che il movimento No Tav aveva indetto in solidarietà a Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò. I quattro attivisti No Tav, accusati di un’azione di sabotaggio al cantiere di Chiomonte, trasformata dalla Procura di Torino in “attentato con finalità di terrorismo”, sono in carcere da cinque mesi: il processo contro di loro inizierà il prossimo 22 maggio nell’aula bunker delle Vallette. 2014 05 10 no tav liberi torino (001)
L’ultimo tassello in un dispositivo costruito con cura, pezzo dopo pezzo, per esorcizzare un movimento che resiste e non si arrende, nonostante le botte, i lacrimogeni, le inchieste, il carcere.
Un movimento forte nelle proprie ragioni che non vuole cedere alle ragioni della forza. Chi in questi anni ha attraversato la lotta No Tav sa bene che lo Stato sta giocando tutte le carte a propria disposizione per dimostrare che nessuno può permettersi di contestare il gioco di potere ed affari delle grandi opere.
La violenza dell’occupazione militare si prolunga nell’assedio mediatico al movimento. Anche questa volta giornali, televisioni e radio hanno forzato la realtà, riproponendo lo schema logoro dei pacifici valsusini e dei cattivi anarchici ed antagonisti.
2014 05 10 no tav liberi torino (59)L’urlio rabbioso dei media era tanto più fragoroso se paragonato al silenzio tombale che ha accompagnato l’inchiesta del movimento No Tav sulle amicizie pericolose del PM Antonio Rinaudo, l’uomo che, con il collega Padalino, ha la missione di colpire il movimento, e, con esso, la grande speranza di cambiamento reale che i No Tav hanno suscitato nell’intera penisola.
Il parlamento e i governi che si sono succeduti hanno abdicato a favore della magistratura, cui è stato affidato il compito di regolare i conti con i No Tav. La Procura torinese forza le norme per consentire lunghe carcerazioni e ottenere l’effetto potente che deriva da un’accusa terribile come “terrorismo”.
Non c’è più spazio per la politica. O, meglio, non c’è più spazio per le mediazioni istituzionali. Nel 2005, dopo la rivolta che portò alla ritirata delle truppe di occupazione, il governo decise di aprire un tavolo di mediazione, per far passare con la vaselina quello che non era riuscito con la violenza.
2014 05 10 no tav liberi torino (9)Il fallimento della trattativa, rese chiaro un fatto importante. Le istituzioni locali non controllavano il movimento, non erano in grado di sgretolarne i convincimenti, di spezzarne l’integrità morale.
Chi ci aveva provato, come Antonio Ferrentino, nonostante il prestigio di cui aveva goduto in passato, ha fallito clamorosamente ed oggi regge il cappello alla lobby Si Tav, nella speranza di agguantare una poltrona.
Constatare il fallimento delle mediazioni istituzionali ha aperto la strada alla violenza di Stato, agli sgomberi violenti, agli arresti, ai gas da tempi di guerra, perché non si trattava più solo di soldi, ma era in ballo la legittimità del gioco democratico, smascherato nella concretezza delle proprie dinamiche, che ne hanno messo in luce l’illusione partecipativa.
2014 05 10 no tav liberi torino (32)Sempre più persone hanno imparato a camminare con le proprie gambe, hanno imparato e muovere i primi passi sui sentieri dell’autonomia dall’istituito.
Il tentativo di usare la categoria della legalità per dividere il movimento è clamorosamente fallita. Quando la violenza di Stato si è dispiegata in tutta la sua brutalità, il movimento ha fatto propria la pratica del sabotaggio, riconoscendosi in chi tentava di gettare il proprio zoccolo nell’ingranaggio, per incepparlo, rallentarlo, per indicare una via, una possibilità.
Sabato 10 maggio il popolo No Tav ha invaso le strade della città, portandovi tutta la passione di una lotta che non si fa rinchiudere nei racconti cupi dei giornali, che non si fa annientare dalla durezza della magistratura e della polizia.
2014 05 10 no tav liberi torino (62)Come in Clarea, gli uomini e le donne dello Stato, asserragliati dietro alle barriere d’acciaio, erano come belve chiuse nelle gabbie che loro stessi avevano piazzato a difesa dell’immagine del potere.

Al centro del dispositivo si ergeva il Palagiustizia, con la sua mole possente, eccessiva, come si conviene al grande teatro delle vendette di Stato, ai suoi rituali reiterati, sin nella mascherata delle toghe e degli ermellini, per chiarire la natura sacrale della Legge.
Farne cosa sacra è un buon modo per mascherarne l’intima natura di rappresentazione ritualizzata di equilibri di potere.
2014 05 10 no tav liberi torino (28)Per le strade, lontano da quel Palazzo di cemento e acciaio con un cuore di sbarre, ha marciato la gente che ha imparato la differenza tra la Legge e la giustizia, tra quanto è legale e quello che è invece legittimo.
Chi sa che la vita, il futuro dei propri figli e nipoti, la libertà di decidere non hanno prezzo, sa che occorre ripercorrere le strade della lotta e della resistenza, le strade di chi sabota perché non tollera di essere trattato da schiavo.
Il corteo, decine di migliaia di uomini, donne e bambini, ha attraversato le strade della città, portandovi la rabbia contro chi sfrutta, opprime, incarcera, ma anche la gioia per la lotta che insieme si conduce. Lo sappiamo: l’unica battaglia persa è quella che si abbandona.
2014 05 10 no tav liberi torino (29)Tanti gli anarchici e le anarchiche che hanno partecipato allo spezzone sociale, aperto dagli striscioni “azione diretta autogestione” e “Terrorista è chi bombarda, sfrutta, opprime”.
Numerosi gli interventi dal camioncino, che hanno portato la voce delle lotte in ogni dove d’Italia, del loro intrecciarsi con quelle di chi in Piemonte, si batte contro la ferocia dello Stato, contro chi ogni giorno devasta e saccheggia.

Tiziano, della CdC della Federazione Anarchica, ha ricordato che terrorista è lo Stato, lo Stato che detta le leggi che proteggono i padroni. Ha rivolto un ricordo particolare ai morti della TyssenKrupp, i sette uomini assassinati dal padrone, che proprio in questi giorni la magistratura ha deciso di graziare. La stessa magistratura che formula un’imputazione di terrorismo per un compressore bruciato.
2014 05 10 no tav liberi torino (60)Raffaele da Trieste ha ricordato il ragazzo morto in questi giorni all’ospedale della sua città, dopo mesi di coma, dopo una caduta violenta durante una rivolta al CIE di Gradisca: un’altra vittima delle frontiere tra gli Stati, delle leggi razziste che negano un futuro ai “senza carte”.
Salvatore ha parlato del movimento contro il Terzo Valico, che sta cominciando a percorrere le strade dell’azione diretta. Federico è intervenuto sull’opposizione al Tav nel nord est della penisola, Nicco di Reggio ha sottolineato l’importanza di legare le lotte per la difesa del territorio a quelle contro il militarismo e la produzione bellica, Lollo ha messo al centro la grande valenza simbolica della rete di mutuo appoggio che sta crescendo nella pratica quotidiana, tra chi non accetta più di vivere da schiavo, tra chi sempre più, alza la testa.
2014 05 10 no tav liberi torino (43)Una grande giornata. Un grande abbraccio collettivo perché Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò, sappiano di non essere soli, perché quella notte di un altro maggio, in Clarea c’eravamo tutti.
La scommessa, questa sì difficile, è però sempre la stessa.
Creare le condizioni, passo dopo passo, tra una marcia popolare ed un sabotaggio, tra un pranzo condiviso e un blocco, perché il territorio diventi ingovernabile, perché in ogni dove ci sia una barricata. Il potere è molto bravo nel difendere i propri fortilizi, ma quando la lotta si estende, quando in ogni dove si stringono legami, quando ovunque c’è qualcuno che inceppa l’ingranaggio, le truppe non bastano più e comincia una nuova avventura.
2014 05 10 no tav liberi torino (13)
L’emblema della giornata è l’immagine di quattro No Tav, Titti, Giovanni e i loro due nipotini, al collo un cartello con i nomi di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò. Sorridono.
Il bastone che Titti usa dal 29 marzo del 2012, quando le belve in divisa le spaccarono la gamba, è in un angolo.
Sarà sempre più dura.
Per chi bombarda, sfrutta, opprime.

Maria Matteo
(questo articolo è uscito sul settimanale Umanità Nova)

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10 maggio 2014. Le ragioni della libertà contro la ragion di Stato

DSCN0039Negli ultimi due giorni la canea mediatica si è scatenata contro la manifestazione del 10 maggio in solidarietà con Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò. Provano a seminare la paura, perché sanno bene che domani a Torino ci sarà una grande manifestazione No Tav, che si stringerà solidale ai quattro attivisti, che, esattamente cinque mesi fa, sono stati sottratti alle loro vite, ai loro affetti, alla lotta comune.
Domani ci sarà una marcia popolare, aperta a tutti, giovani e meno giovani, bambini, disabili. Tutti e tutte No Tav, tutti e tutte decisi a testimoniare con la loro presenza che quella notte del 14 maggio di un anno fa, in Clarea c’eravamo tutti. Tutti sabotatori, tutti, dice la Procura “terroristi”.
Tutti “colpevoli di resistere”, ma soprattutto colpevoli di volere un mondo di libertà e giustizia sociale, colpevoli di lottare per farne una realtà.
L’accanimento della Procura torinese contro i No Tav è testimoniato dalla decisione del Procuratore generale Maddalena di evacuare i locali del Palagiustizia a mezzogiorno di sabato, dalla scelta di far piazzare jersey di cemento armato e metallo intorno al Palagiustizia.
Come in Clarea, nel cantiere/fortino divenuto simbolo dell’arroganza di Stato.
Come in Clarea i difensori delle lobby che si contendono le nostre, vite, il nostro futuro, la nostra libertà, domani saranno asserragliati dietro a quelle reti. Come belve feroci.

Noi saremo fuori, per le strade di Torino, per ricordare ai signori dei palazzi che il patto di mutuo soccorso che abbiamo stilato tra di noi, attraversa le generazioni e i territori. Questo patto non è scritto nella carta, ma nei sentieri di lotta dove ci incontriamo e riconosciamo, parte di un grande cammino di libertà.

Ore 14 piazza Adriano.

Lo spezzone rosso e nero sarà aperto dallo striscione “Terrorista è chi bombarda, sfrutta, opprime”

Ascolta cronache ed analisi proposte oggi ad Anarres

Di seguito alcune riflessioni sulla vicenda di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò uscite sull’ultimo numero del settimanale Umanità Nova.

Continued…

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Assemblea popolare No Tav A Susa: il video

In un salone affollato si è svolta l’assemblea del movimento No Tav, in vista della manifestazione popolare del 10 maggio a Torino. Tutti gli interventi della serata hanno messo al centro l’importanza della campagna per la liberazione dei quattro attivisti in carcere dal 9 dicembre con l’accusa di “terrorismo” per aver sabotato un compressore. La loro libertà è la libertà di tutti.
Sono anche state annunciate nuove iniziative in vista della prima udienza del processo, fissata in aula bunker il 22 maggio. Il 14 maggio, ad un anno dal sabotaggio in Clarea, ci sarà una marcia notturna aperta a tutti e tutte. Lo stesso giorno, in piazza Castello, torneo No Tav di calcio, in contemporanea con la finale di Champions League.
Nel corso della serata sono stati proiettati alcuni video: “colpevoli di resistere”, un breve filmato sull’azione di disturbo di un paio di notti prima in Clarea, descritta dai giornali in termini apocalittici, la video/intervista a vari avvocati No Tav sull’accusa di terrorismo.

Qui una galleria fotografica della serata segusina

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Giro a sorpresa al cantiere di Chiomonte

Nella notte tra il 3 e il 4 maggio un gruppetto di No Tav ha fatto visita al cantiere di Chiomonte, segno che “la tregua elettorale” era solo una favola cara a ad alcuni giornalisti.
Come emerge dal video pubblicato da Indymedia Piemonte, nonostante il dispositivo di sicurezza milionario, le forze dell’ordine e i militari sono stati presi alla sprovvista.
Inutile dire che il giorno dopo sulle pagine della Stampa e della Repubblica l’episodio si era trasformato in attacco con bazooka, bombe carta lanciate ad altezza d’uomo.
Come emerge dal filmato e dalle stesse foto fatte girare dalla Questura le armi usate, oltre a qualche attrezzo per tagliare il filo spinato, erano fuochi d’artificio in vendita ovunque.

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Il Tav? In Val Susa c’é già!

Armatevi di telecamera. Prendete l’auto e fatevi un giro in Val Susa. Farete alcune scoperte interessanti. In ogni paese c’é una stazione ferroviaria, dove fermano i treni locali. Sulla linea passano numerosi treni merci, alcuni a pieno carico, altri mezzi vuoti. C’é anche “l’autostrada ferroviaria”! Alcuni treni, i modelor, caricano motrici e container dei Tir, sin dal gennaio 2006, quando in sordina vennero teminati i lavori di ammodernamento delle gallerie, per consentire al modelor di passare.
Incredibile ma vero su quelle stesse linee passano treni internazionali ad alta velocità, ossia Tav. Sui treni c’é scritto TGV – Trein grande vitesse. In francese vuol dire TAV, ma chi da decenni spera di fare scempio della valle per spartirsi una ricca fetta di finanziamenti pubblici per la realizzazione di una nuova inutile linea ad alta velocità, preferisce dirlo in francese nella speranza che nessuno se ne accorga.
A proposito… se andate a Oulx, nel cuore dell’alta valle, scoprite che il TGV/TAV Milano – Torino – Lyon – Paris vi si ferma regolarmente. Ma come? State dicendo che gli sciatori possono già raggiungere con un treno veloce le piste?
In questo caso a cosa servirebbe la mega stazione internazionale che vogliono costruire a Susa, spostando l’autoporto e cacciando i cittadini della Frazione San Giuliano? Susa è in bassa valle lontano dalle piste, perché i turisti delle neve dovrebbero scendere a Susa e non a Oulx?
Misteri della fede nel dio del progresso. Misteri che si risolvono quando si pensa alla montagna di quattrini pubblici che i cementificatori di destra, di sinistra e di centro intendono spartirsi.

Con la vostra telecamera non dimenticate di fare un giro a Bardonecchia, città monumento dei legami tra cemento, devastazione ambientale, potere politico e n’drine.
Lì scoprirete che i treni escono da una lunga galleria ferroviaria di montagna.
Si. Anche il tunnel ferroviario c’é già.
C’è chi sostiene che i No Tav sono folli visionari che vogliono bloccare il progresso, noi siamo convinti che l’unica follia sia spostare merci identiche ad ogni angolo del globo, noi siamo convinti che gli unici visionari sono quelli che non si accorgono che il Tav c’é gia. Basta e avanza così com’é.

Se siete pigri e non avete voglia di girare per stazioni e ferrovie, potete dare un’occhiata al video che abbiamo postato sopra.

Dicono che chi si oppone attivamente al Tav è un terrorista: noi crediamo che terrorista sia chi sfrutta, bombarda, devasta il territorio.

Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò liberi!

Sabato 10 maggio corteo popolare a Torino.
Appuntamento alle 14 in piazza Adriano.

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Dal Rinaudo muratore al Rinaudo furioso

rinaudo 2La seconda parte dell’inchiesta sul PM Antonio Rinaudo, pubblicata il 2 maggio dal sito Notavinfo mette a nudo l’ampiezza delle amicizie pericolose di questo PM di secondo piano, divenuto in poco tempo protagonista dei processi ai No Tav. Fedele al un proprio vecchio principio, quello di sparare grosso, è l’uomo che ha confezionato un’accusa di terrorismo per un compressore bruciato.
Qui potete rileggere la prima puntata “Rinaudo, Moggi e l’ndrangheta.
In questa seconda puntata vengono raccontate le amicizie di cemento e la stagione della grande furia contro il movimento No Tav. La stagione che stiamo vivendo.
Buona lettura.
Continued…

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Primo Maggio a Parma, Trieste, Carrara

A Parma, ormai da qualche anno, si svolge un corteo autorganizzato, fuori dai riti ormai esausti della piazza confederale, che, anno dopo anno, è sempre più vuota.
Di seguito il resoconto degli organizzatori in prossima uscita sul settimanale Umanità Nova.

“Primo Maggio, in centinaia a Parma per respirare autogestione e lotta
Prima dell’inizio del corteo, fissato per le ore 10 da piazzale Barbieri, cuore nell’Oltretorrente in rivolta -oggi come ieri – alcuni lavoratori e compagni dell’Usi e del gruppo anarchico Antonio Cieri hanno messo in atto un’altra azione di lotta sulla questione del lavoro domenicale, la terza svoltasi a Parma nel corso degli ultimi mesi. Con striscione, megafono e volantini sono entrati all’interno del supermercato Billa, aperto tutto il giorno nonostante la Festa, gridando slogan contro il precariato e il lavoro festivo e domenicale. Hanno distribuito volantini, raccogliendo la solidarietà dei lavoratori e dei clienti. Dopo un breve corteo spontaneo, pre-Primo Maggio, i compagni sono tornati al concentramento.

Più di 700 persone hanno preso parte al corteo popolare indetto dall’Usi e sostenuto dal gruppo anarchico Cieri. La composizione era una somma delle lotte sul territorio: gli occupanti dello Spazio Popolare Autogestito Sovescio, sotto sgombero grazie ad un’ordinanza del sindaco grillino Pizzarotti, gli occupanti dell’ex cinema Lux, restituito alla collettività grazie all’azione diretta della Rete Diritti in Casa, i giovani del Kollettivo Autogestito Giovanile, i ragazzi e le ragazze della Mercatiniera, che cercano di sviluppare l’autogestione della produzione alimentare, tanti cittadini e cittadine che non si riconoscono più nell’inganno dei sindacati confederali che hanno dato vita ad un corteo morto, senza partecipazione e rituale.
Il corteo dell’Usi invece ha sostenuto l’occupazione del Sovescio e la sua futura difesa, ha contestato Confindustria, casa del palazzinari che cotringono centinaia di migranti a vivere in strada o in cantine umide. Fumogeni, slogan, striscioni e interventi al megafono contro il Job Acts, i sindacati confederali e la precarietà lavorativa. Davanti alla casa dell’Unione Industriali i manifestanti si sono fermati, hanno espresso la loro rabbia e la rabbia dei tanti precari e senza casa che, di quello stesso corteo, hanno voluto far parte in prima persona. Senza deleghe.
Poi da Torino sono arrivate le notizie dei pestaggi della polizia e delle provocazioni squadriste del Pd: la piazza parmigiana si è fermata per dare massima solidarietà ai feriti e ai fermati. E non mancherà di esprimerla nei prossimi giorni. Per condividere una lotta che non può essere interrotta. Dopo il saluto agli occupanti dell’ex cinema Lux la posa di un mazzo di fiori all’anarchico Antonio Cieri. Poi il corteo è proseguito fino alla Festa al Parco Pellegrini che, nonostante la pioggia del giorno prima, ha retto la festa autogestita che si è svolta per tutto il pomeriggio con la partecipazione di più di mille persone. Una giornata totalmente autogestita per un futuro di lotte sul territorio.
Come anarchici e libertari di Parma da qui ripartiamo.”

Ascolta la diretta realizzata da Anarres con Emilia, una compagna di Parma

Trieste. Il tradizionale corteo del primo maggio quest’anno è stato un po’ particolare. Ad organizzare l’evento non è stata la triplice ma, per la prima volta, di malavoglia, la sola Cgil: i tre sindacati di stato avevano dato indicazione di convergere a Pordenone per la manifestazione nazionale alla presenza dei tre leader, mentre sarebbero dovuti saltare tutti gli appuntamenti locali. Ma a Trieste il corteo vede una partecipazione ancora numerosa e sentita (seppur in calo) e la Cgil, su pressione della sua “ala sinistra”, non ha potuto lasciare sguarnita la piazza, per quanto con un impegno davvero minimo nell’organizzazione. A causa anche di questa confusione e incertezza sulle sorti dell’appuntamento, la partecipazione è stata significativamente ridotta rispetto agli anni precedenti; a sfilare sono state comunque tra le due e le tremila persone.

Il corteo è partito dallo storico quartiere operaio e proletario di San Giacomo, per poi dirigersi verso il centro ingrossandosi man mano. In testa, come sempre, gli spezzoni sindacali ufficiali, quest’anno di fatto limitati ad alcuni federazioni della Cgil, seguiti dalla Rete 28 Aprile, “dissidenza interna” dello stesso sindacato, dall’Anpi e da associazioni di donne. Ad aprire la seconda parte del corteo lo spezzone anarchico, libertario ed anarcosindacalista, poi a seguire Radio Fragola (una piccola radio locale legata al circuito di Popolare network, ma completamente autogestita, che quest’anno ha scelto di mettersi vicino al nostro spezzone), la lista tsipras, i disobbedienti e qualche pezzetto della sinistra ex-parlamentare. Sono stati contestati rumorosamente alcuni grandi negozi e catene del consumo ad ogni costo che, con il solito ricatto occupazionale, avevano costretto i dipendenti a lavorare.

Il nostro spezzone è stato anche quest’anno molto rumoroso: tamburi, maracas, interventi al microfono, slogan, canti e tantissime bandiere rossonere, della FAI, dell’USI e anche bandiere NOTAV e NOMUOS. Oltre 150 i partecipanti, fra cui alcun* compagn* provenienti dall’Isontino, dal Veneto, dalla Slovenia e dalla Sicilia. Come lo scorso anno il nostro settore di corteo è diventato la “casa” di tanti altri partecipanti senza un settore specifico: sindacati di base, notav, marxisti senza partito e individualità varie, a dimostrazione della radicamento e della credibilità crescente dell’area anarchica e libertaria all’interno del frammentato mondo della sinistra di movimento in città. Tra i numerosi slogan anche il grido di “NOTAV liberi” con il cuore rivolto a Claudio, Mattia, Niccolò e Chiara. Temi centrali dello spezzone erano l’azione diretta e l’autogestione come proposte pratiche di lotta nella vita di ogni giorno.

Quest’anno abbiamo scelto di non fermarci in piazza Unità, tradizionale punto di arrivo del corteo, ma di proseguire fino alla vicina piazza della Borsa, dando vita ad un’assemblea aperta. E’ stata una prima volta ma è andata bene! All’assemblea hanno partecipato decine di persone fra manifestanti e passanti e ci sono stati vari interventi, la maggior parte di non anarchici, su svariati temi. E’ stato rinnovato l’invito a partecipare al corteo del 10 maggio a Torino ed è stata espressa solidarietà ai manifestanti caricati a Torino nella stessa mattinata. Un banchetto informativo con la stampa anarchica, già presente da metà mattina in piazza Unità, ha suscitato l’interesse di parecchie persone.

Il palco appena montato dal Comune per i prossimi comizi elettorali, ricoperto di bandiere e striscioni, ha fatto da sfondo ai canti sociali e di lotta di un piccolo coro autoorganizzato coinvolgendo i presenti e chiudendo nel migliore dei modi la mattinata. Nel pomeriggio var* compagn* hanno partecipato alla festa dell’USI-AIT sul Carso.”
(liberamente tratto dal report di un compagno presente in uscita sul settimanale Umanità Nova).

Ascolta la diretta con Federico

Qui trovi alcune foto del primo maggio triestino

Carrara, un’immagine del Primo Maggio 2014

carrara1Il Primo Maggio a Carrara è un appuntamento tradizionalmente antiistituzionale.
Sin dal 1945, quando le brigate partigiane anarchiche liberarono la città dagli occupanti nazifascisti, il corteo che, ogni primo maggio, attraversa il centro cittadino, con comizi, interventi, canti per concludersi con cibo condiviso e festa, viene organizzato e gestito dagli anarchici.
Anche quest’anno qualche centinaio di anarchici ha partecipato al corteo.

Ascolta il resoconto di Tiziano, della CdC della FAI, che ha tenuto il comizio di apertura

 

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Primo Maggio a Torino. Una giornata di lotta

Il Primo Maggio imbalsamato, chiuso nelle cerimonie istituzionali, consacrato ai riti stanchi di una sinistra cittadina che governa Torino da decenni, non c’è più.
Il Partito Democratico ha costruito le proprie fortune nel segno delle grandi opere, della kermesse olimpica e del Tav. Delle Olimpiadi restano le inutili cattedrali di cemento e tanti debiti. Resta il grattacielo di Intesa/San Paolo, costruito su terreni pubblici ceduti per un tozzo di pane dall’amministrazione Chiamparino alla banca, che l’aveva salvato dalla bancarotta pochi giorni prima della sua trionfale rielezione a sindaco. Alla fine di qual mandato Chiamparino divenne presidente della Compagnia di San Paolo, oggi è il candidato del PD per la Regione Piemonte.
A far le spese delle politiche del PD di governo, a Torino come nel resto del paese, i lavoratori, che i provvedimenti del primo ministro Renzi condannano alla precarietà a vita e salari da fame senza tutele, senza futuro.
In questi anni di cemento le scuole della città sono andate a pezzi: i soldi destinati all’edilizia scolastica sono stati usati per il Tav, i piccoli, preziosi ospedali sono stati chiusi, continui sono stati i tagli al trasporto locale.
Torino è diventata la capitale degli sfratti, perché tra disoccupazione e precarietà tanti, troppi, non ce la fanno più a pagare il fitto o il mutuo.
Tanti, sempre più, non sono più disposti a subire, alzano la testa, scelgono di lottare per riprendersi gli spazi, per contrastare le politiche dei padroni di una città che ha cambiato pelle, ma dove lo sfruttamento è sempre più duro, la precarietà è la norma.

image 02Le ragioni di chi non intende subire la schiavitù salariata come destino, le ragioni di chi lotta contro il razzismo, la violenza poliziesca, il Tav, di chi non accetta che si spendano milioni per costruire e comperare cacciabombardieri, di chi occupa le case vuote, di chi non china la testa hanno dilagato nella piazza del Primo Maggio torinese.
L’altra Torino, quella degli anarchici, degli antagonisti, del No Tav, dei lavoratori ribelli, ha riempito piazza Vittorio, soverchiando con la forza dei numeri e delle proprie ragioni, la piazza istituzionale.

Qui una piccola galleria di foto dello spezzone rosso e nero

DSCN0025Sin dal giorno precedente i due quotidiani torinesi, La Stampa e Repubblica, avevano annunciato un dispiegamento straordinario di polizia. Nel mirino gli antagonisti, ma soprattutto gli anarchici che avevano promosso uno spezzone contro la guerra interna e quella esterna, contro la repressione e le fabbriche d’armi, uno spezzone che portasse in piazza le regioni di chi pensa che di padroni e governanti si possa e si debba fare a meno.
Che aria tirava era sin troppo evidente.
Il Partito Democratico, che in questi anni aveva fatto fatica ad entrare in piazza, nonostante il servizio d’ordine di picchiatori professionisti, nonostante la tutela della polizia, è stato circondato completamente. C’erano gli attivisti politici, c’erano i No Tav e gli occupanti di case, c’era tanta, tanta gente senza bandiere ma con le idee chiare. Non c’è posto nel corteo del Primo Maggio per il Partito Democratico, non c’è posto per chi sta dalla parte dei padroni.
Quando in piazza è comparso il senatore/questurino Stefano Esposito, fanatico del Tav, sempre in prima fila nel benedire le operazioni repressive contro i No Tav, sono partiti slogan e qualche spinta con i picchiatori professionisti del PD. La polizia ha caricato più volte, ferendo numerosi manifestanti, travolgendo anziani e banchetti, ma non è riuscita a fermarci.
La gente sotto i portici si è unita alla resistenza: sono volate sedie tra le gambe dei celerini che manganellavano, insultati da tutti, mentre l’indignazione diveniva rabbia.

Il video del fatto quotidiano

I celerini hanno provato a strappare dal furgone degli anarchici lo striscione con la scritta “Chiara, Claudio, Mattia, Nicolò liberi. Terrorista è il Tav”, ma i compagni e le compagne dello spezzone rosso e nero se lo sono ripreso. Con i segni delle manganellate sul corpo ma sempre più determinati ad andare avanti, ad non farci chiudere nella piazza, dopo una seconda carica, siamo finalmente partiti.
In testa allo spezzone anarchico lo striscione “Terrorista è chi bombarda, sfrutta, opprime”.

DSCN0039Il corteo si è infine dispiegato lungo via Po. La fotografia dei numeri era impietosa: un piccolo corteo istituzionale, difeso passo a passo dalla polizia era seguito, circondato, assediato dalla Torino che il prossimo 25 maggio diserterà le urne, perché riempie, ogni giorno le piazze, perché non è più disposta a delegare la propria vita a chi bombarda, sfrutta, opprime.

Una sfida intollerabile per il PD. In via Roma, quando ormai il corteo aveva assunto le caratteristiche di ogni Primo Maggio, con famiglie, bambini, anziani e disabili, la polizia ha nuovamente caricato più volte per impedire l’ingresso in piazza San Carlo.

Durante le cariche la gente ai lati plaudiva chi resisteva. Nonostante la violenza della polizia, che si accaniva anche sotto i portici, il corteo non si è scomposto.
Una giovane mamma ci ha allungato la sua bambina perché la facessimo salire sul furgone, ma non è fuggita.
In via Roma la polizia ha fatto il proprio bottino, fermando tre manifestanti. Per uno di loro, Marco, “Boba”, anarchico e redattore di radio Blackout, è scattato l’arresto.
Poi il corteo è entrato in piazza San Carlo, da dove sindacati di Stato e PD se ne erano andati via in fretta e furia.
Gli ultimi comizi. Un po’ di ghiaccio per i feriti e poi via. Il pranzo anarchico, che come ogni anno ha riempito la sede della Federazione Anarchica in corso Palermo 46, non ha chiuso la giornata di lotta.

DSCN0075Davanti a Eataly, il supermercato del gusto di Oscar Farinetti, l’uomo che Renzi avrebbe voluto al dicastero dell’economia, c’erano due camionette della guardia di finanza e un folto nugolo di digos della “squadra anarchici”. Poliziotti dell’antisommossa presidiavano il retro dell’edificio.
Sulla porta a braccia incrociate gli uomini della security del supermercato. Sulla schiena lo slogan Italy is Eataly, che trovava un’eco nello striscione aperto davanti al supermercato “Fruttamento e precarietà made in Eataly”.

Eataly è il simbolo dell’Italia ai tempi di Renzi, un luogo dove si lavora 365 giorni l’anno, dove la precarietà è la norma e la disciplina durissima.
I lavoratori, tutti italiani, del supermercato più eco, green e costoso d’Italia, vengono pagati 8 euro (lordi) l’ora. I pochi con contratto a tempo indeterminato sono tutti part time a 30 ore, ma di ore ne fanno molte di più. Sempre.
In media chi lavora dietro ai banchi o nei ristorantini dove si affacciano anche facoltosi turisti stranieri, porta a casa 800 euro al mese. Niente domeniche, niente festività, niente 25 aprile, niente Primo Maggio.

Il video del Fatto Quotidiano

La gente che passava ascoltava con attenzione, si fermava, chiedeva notizie, voleva sapere. Numerosi gli interventi, tra cui vogliamo segnalare quelli di Pino Larobina, operaio dell’Iveco licenziato per la propria attività sindacale nell’USB, e quello di Marco, un giovane compagno torinese, che per fuggire la disoccupazione da cinque anni è emigrato in Polonia.
Abbiamo intrecciato i fili delle lotte, nella comune consapevolezza, che viviamo tempi duri ma sempre più gente si sta disintossicando dalle illusioni istituzionali e sceglie la lotta.

Solidarietà a Marco, “Boba” arrestato nella Piazza del Primo Maggio. Una piazza di lotta.
Lo vogliamo libero, vogliamo liberi tutti e tutte!

Vogliamo liberi Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò.
Sabato 10 maggio marcia popolare No Tav a Torino

Appuntamento alle 14 in piazza Adriano.

Aggiornamento. Torino. 3 maggio
Nel tardo pomeriggio duecento solidali si sono raccolti nel pratone limitrofo al blocco C del carcere delle Vallette.
Musica, interventi, slogan e qualche fumogeno, per farsi vedere e sentire oltre le sbarre.
Il presidio era stato indetto in solidarietà a Marco, “Boba”, anarchico e redattore di radio Blackout, arrestato il Primo Maggio mentre provava a liberare una ragazza strattonata e trascinata da numerosi agenti della Digos.
Con con il collare prescrittole al pronto soccorso dopo la brutale stretta di un poliziotto, è intervenuta anche lei, per ringraziare Marco della solidarietà attiva dimostratale.
Mentre il presidio si avviava alla conclusione è arrivata la notizia che il GIP aveva convalidato l’arresto, inviando ai domiciliari senza restrizioni Marco.
La notizia dell’attenuazione delle misure di custodia cautelare è stata accolta con gioia da tutt*.

 

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Primo Maggio. La rivolta di Haymarket

maggioIl primo maggio 1886 a Chicago, oltre 50.000 lavoratori proclamano lo sciopero per imporre al padronato le otto ore lavorative. In un clima di tensione, e di numerose provocazioni poliziesche, si susseguono cortei, comizi ed picchetti. Il 3 maggio, davanti alle fabbriche Mc Cormick, in Haymarket square, si svolge un presidio di lavoratori per impedire azioni di crumiraggio, durante il quale prendono la parola gli esponenti di maggior spicco del movimento operaio, tra cui gli anarchici, che consideravano la campagna per le otto ore solo come un primo passo verso la rivoluzione sociale. Al termine della giornata, la polizia carica i manifestanti, sparando all’impazzata. Il bilancio è di quattro morti e centinaia di feriti.

La reazione operaia non si fa attendere. Il giorno seguente, 4 maggio, ventimila lavoratori e lavoratrici si ritrovano in Haymarket square, il luogo della strage. Gli anarchici, Spies, Parsons e Fielden, parlano alla folla, in un clima carico di tensione, ma fondamentalmente tranquillo. La polizia inizia comunque a caricare i manifestanti. Una bomba scoppia in mezzo ad un plotone di poliziotti, uccidendone uno. La polizia spara nuovamente sulla folla. La campagna repressiva contro operai e sindacalisti è immediata: parte una vera caccia al sovversivo.
Le prime vittime sono gli esponenti più noto del movimento dei lavoratori, ovvero gli anarchici che avevano dato forza e coscienza al movimento di lotta: August Spies, Samuel Fielden, Adolph Fischer, George Engel, Michael Schwab, Louis Lingg, Oscar Neebe e Albert Parsons. In buona parte sono lavoratori immigrati dalla Germania.

Il processo inizia il 21 giugno 1886 alla Cooke County. Già la composizione della giuria- uomini d’affari, loro impiegati ed un parente di uno dei poliziotti morti – lascia supporre che la sentenza sia già stata scritta.
Non c’è nessuna prova a carico degli anarchici; tre di loro erano stati oratori al comizio di Haymarket, altri due non c’erano nemmeno andati, gli ultimi tre avevano lasciato la manifestazione prima dello scoppio della bomba. Il processo si svolge su un piano puramente ideologico: sotto accusa sono in realtà l’anarchismo, il socialismo e il movimento operaio.
Il 19 agosto sette degli otto imputati vengono condannati a morte: Adolph Fischer, August Spies, George Engel e Albert Parsons vengono impiccati l’11 novembre del 1887. Louis Lingg sfugge alla forca, a cui era stato condannato, suicidandosi in carcere il giorno prima dell’esecuzione. Samuel Fielden e Michael Schwab, in seguito alla domanda di clemenza, vengono graziati nel 1893, così come Oscar Neebe, condannato inizialmente a 15 anni.

Il primo Maggio, il giorno della rivolta di Haymarket, è divenuto giorno di lotta per i lavoratori di ogni parte del mondo.
Un giorno che oggi troppi vorrebbero seppellire nella memoria e nella pratica concreta degli sfruttati, ma la memoria, quando è memoria resistente, è una memoria che dura. In tanti ricordano le lotte durissime degli operai di Chicago che nel lontano 1886 si battevano per le otto ore.
Cinque di loro vennero impiccati per stroncare quella lotta. Ma i padroni e i governanti dovettero pentirsene, perché la loro morte accese fuochi in ogni dove. Quei fuochi ardono ancora.

Delle origini del Primo Maggio l’info di blackout ha parlato con Claudio Venza, docente di Storia contemporanea all’Università di Trieste.

Ascolta la diretta

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Libia. Il vaso di Pandora

petrolio_libiaIeri uomini armati hanno fatto irruzione nel Congresso generale nazionale di Tripoli, il parlamento libico, riunito per eleggere un nuovo primo ministro, costringendo l’assemblea a interrompere i lavori.
Secondo il portavoce del governo, Omar Hmeidan, i deputati hanno abbandonato l’edificio dove ci sarebbero stati anche decine di feriti. I miliziani sarebbero riconducibili a uno dei sette candidati che ieri non è riuscito a superare il quorum del 50% per essere eletto. Il voto è stato rinviato alla prossima settimana.
Sono continui gli attentati in tutto il paese. Almeno due soldati sono rimasti uccisi il 28 aprile nell’esplosione di un’autobomba deflagrata all’ingresso di una caserma delle forze speciali a Bengàsi, principale città della Cirenaica. L’esplosione è avvenuta lungo la strada che porta all’aeroporto locale e sarebbe stata messa a segno da un attentatore suicida.
Intanto, sul fronte economico, la Compagnia nazionale di petrolio (Noc) ha annunciato ieri la ripresa delle esportazioni di greggio dal porto di Zwitina, bloccato per nove mesi dai gruppi armati indipendentisti cireaici.
L’attacco al parlamento dimostra che la Libia è ormai uno Stato fallito. Se le milizie riescono ad agire anche nella capitale, è segno che non solo la Cirenaica e il Fezzan sfuggono al controllo di Tripoli, ma nel cuore stesso della Tripolitania agiscono forze centripete, che, non riuscendo a prendere il controllo, fanno saltare regolarmente il banco.
In Libia si intersecano sia dinamiche di tipo tribale che religioso.
Anche nei decenni della dittatura di Gheddafi, nonostante i riferimenti al socialismo, le dinamiche tribali avevano continuato a determinare un gioco politico che si reggeva sul pugno di ferro e su una sapiente distribuzione delle risorse petrolifere che garantiva un buono standard di vita a gran parte dei libici, che potevano permettersi di affidare gram parte dei lavori meno gradevoli ad una vasta popolazione immigrata, trattata a condizioni da fame.
La rottura di quest’equilibrio, determinata dalla guerra voluta da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, e a ruota, dall’Italia per il controllo del paese, ha aperto un vaso di Pandora, che ha reso incontrollabile la situazione. In Libia, come già in Afganistan, Iraq, Siria, i paesi occidentali stringono alleanze con le forze islamiste radicali per contrastare i nazionalismi laici, venati di un terzomondismo in via di estinzione. Queste alleanze si rivelano “liason dangereuse”, legami molto pericolosi, che innescano situazioni in cui le potenze occidentali vincono le guerre e perdono la pace.
L’Iraq, dove oggi si tengono le elezioni, l’Afganistan e la stessa Siria, sono nazioni fuori controllo, dove diviene impossibile fare affari in sicurezza.
La Libia è diventato un boomerang per chi a cent’anni dalla guerra italo-turca che spostò le regioni della Cirenaica, della Tripolitania e del Fezzan dal controllo della mezzaluna turca a quello del regno d’Italia, ha provato a spostare il paese dall’area di influenza italiana a quella francese, inglese, statunitense.

Ascolta la diretta realizzata dall’info di Blackout con Stefano Capello, autore, tra gli altri, di “Oltre il giardino”.

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25 aprile a Niscemi. Una boccata d’acqua fresca

no_muosIl 30 aprile a Niscemi dai rubinetti tornerà a uscire l’acqua. Non potranno però berla, perché quest’acqua non è potabile.
La carenza d’acqua a Niscemi non è un fatto accezionale, ma un’emergenza quotidiana.
Nella base militare statunitense nel cuore della sughereta del paese, nel luogo dove con la forza e la complicità delle autorità locali e nazionali, è stata imposta l’installazione delle parabole del sistema satellitare di controllo MUOS, l’acqua c’é sempre. Ed è acqua buona, che si può bere.
Un indicatore chiaro dell’occupazione militare del territorio è l’accaparramento di beni primari come l’acqua potabile da parte della Marina Statunitense.
Per questa ragione, in occasione della due giorni contro il Muos del 25 e 26 aprile, centinaia di attivisti contro la base hanno buttato giù le recinzioni e hanno liberato un pozzo, rinchiuso nel perimetro della base.
Un’azione diretta, che, pur simbolicamente, che segnalato che il movimento contro il Muos, nonostante l’installazione delle antenne, non si arrende. Anzi!
Nell’assemblea svoltasi il giorno successivo i No Muos ed attivisti di altre lotte territoriali si sono lasciati con l’impegno ad un maggiore coordinamento pratico tra le resistenze, all’insegna del muotuo soccorso e dell’autogestione delle lotte.
In agosto ci sarà un campeggio di lotta a Niscemi dal 6 al 14. Sabato 9, anniversario della distruzione di Hiroshima, ad un anno esatto dalla manifestazione culminata con l’invasione della base, si svolgerà intorno alle recinzioni una nuova manifestazione nazionale No Muos.

Ascolta la diretta realizzata dall’info di blackout con Pippo Gurrieri, attivista No Muos. E’ stata anche l’occasione per fare il punto sulle difficoltà di una lotta che, al di là dell’emergenza per l’ambiente e la salute, rappresenta uno dei gangli più vitali dell’opposizione al militarismo e alla guerra. Un’opposizione che negli ultimi anni ha visti defilarsi la componente pacifista e non violenta, chiusa in giochi di autorappresentazione, come quello svoltosi sotto la benedizione di Alex Zanotelli, a Verona proprio il 25 aprile.

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25 aprile sulla spalletta di un ponte

DSCN0025 DSCN0021 DSCN0033La spalletta di un ponte su un canale che non c’è più da decenni è il luogo dove ogni anno ci si incontra per ricordare i partigiani che lottarono per le strade di Barriera di Milano nei giorni di aprile ormai lontano.
E’ un luogo fisico: qui è la lapide che ricorda Ilio Baroni, operaio delle Ferriere morto combattendo il 26 aprile del 1945. E’ anche un luogo simbolico di un quartiere cambiato tante volte da quei giorni a metà del secolo scorso, ma che mantiene nel profondo un’anima proletaria, che non tutti vogliono accettare come destino di sfruttamento, povertà, servitù salariata.
Quelli come Baroni combatterono per impedire che le truppe naziste e fasciste distruggessero le fabbriche, facessero saltare ponti e ferrovie per lasciare il deserto alle proprie spalle.
Quelli come Baroni certo non sono morti per riconsegnare le fabbriche ai padroni e la città e ai democristiani. Quelli come Baroni avevano nel cuore e nella testa il sogno concreto di riprendersele le fabbriche, come nel Venti, mandando a casa governanti e sfruttatori.
Ci siamo ritrovati come ogni anno alla lapide di Ilio con i fiori rossi, il vino, e la voglia di riallacciare le lotte di ieri con quelle di oggi. Quest’appuntamento, ormai tradizionale, non è mero esercizio di memoria ma occasione per rendere vivo il ricordo nel solo modo possibile, nel solo modo “autentico”. Non una fotografia sbiadita di quello che è stato ma l’immagine dinamica del filo tenace che tiene insieme la memoria nelle lotte di oggi.
Quest’anno il 25 aprile non poteva che porre al centro le storie delle lotte che attraversano la nostra città, che innervano le periferie e le valli. Dalla resistenza alla crisi all’opposizione al Tav, dalla lotta per la casa a quella contro la guerra. La guerra ai poveri, che ha sempre lo stesso volto. Qui, come in Afganistan, come nei CIE, come nel cantiere fortino di Chiomonte.
Eravamo una cinquantina: tanti altri si sono fermati per ascoltare, capire, scambiare le idee, le proposte, gli appuntamenti.
Il prossimo è per il Primo Maggio.

Giovedì Primo Maggio l’appuntamento per gli anarchici sociali è in piazza Vittorio dalle ore 8,30 alla distro.
Lo spezzone rosso e nero, costruito con compagni di Alessandria, Asti, Novara, Biella, sarà aperto dallo striscione:
“Terrorista è chi bombarda, sfrutta, opprime”

Al centro di questo primo maggio anarchico le lotte contro la guerra, il militarismo, la repressione. 
I confini tra guerra interna e guerra esterna sono sempre più labili.
I militari che fanno la guerra in Afganistan sono gli stessi che la fanno a Chiomonte.
Le basi della guerra sono accanto alle nostre case, le fabbriche di morte sono il fiore all’occhiello dell’industria piemontese.

Saremo in piazza contro la guerra, la militarizzazione dei territori, la violenza dello Stato, la ferocia dello sfruttamento.
Saremo in piazza contro le produzioni belliche, contro gli F35 e contro gli Eurofighter.
Saremo in piazza perché morire di lavoro non è un incidente, ma omicidio premeditato.
Saremo in piazza per la libertà di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, perché la loro libertà è la libertà di tutti e di tutte.

Ore 13 – Pranzo e festa del Primo Maggio in corso Palermo 46. Come sempre chi può da molto, chi non può da poco o anche pochissimo.
Il ricavato sarà benefit per le lotte antirazziste, antifasciste, no tav.

Ore 17,30 – Presidio a Eataly – il supermercato del gusto di Oscar Farinetti – dove si lavora tutti i giorni, compreso il Primo Maggio, dove la precarietà la norma, i contratti a tempo indeterminato tutti (finti) partime, dove 800 euro al mese sono lo stipendio media.
Renzi l’avrebbe voluto all’Economia, come modello dell’imprenditoria made in PD, salsa verde, eco business e sfruttamento del buon tempo antico.
Il Job Act è figlio degli scaffali di questo supermercato.
Il Primo Maggio è una giornata di lotta contro la servitù del lavoro, contro la schiavitù che ritorna.
In via Nizza 230/14.

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Gli anarchici contro il fascismo

AnarchiconellaresistenzaIn occasione del 25 aprile Anarres ha fatto una lunga chiacchierata con Massimo Ortalli dell’archivio storico della FAI di Imola.
Un’occasione per parlare degli anarchici nella resistenza al fascismo. Un’occasione per conoscere meglio l’impegno libertario per tutto il periodo del ventennio, dall’esperienza degli Arditi del Popolo alle formazioni partigiane, in Italia come nell’esilio e nella rivoluzione spagnola del 1936.
Dalla Toscana alla Lombardia, dalla Liguria all’Emilia e alla Romagna spesso il ruolo e il peso degli anarchici nella lotta al fascismo è stato misconosciuto se non cancellato dalla storiografia di impianto marxista che prevalse nel dopoguerra.
Da qualche anno nuovi studi, raccolta di testimonianze, ricerche negli archivi ci stanno raccontando una storia diversa, una storia cominciata negli anni Venti e andata ben oltre il 25 aprile del 1945.

Ascolta la diretta con Massimo Ortalli.

Prima parte

Seconda parte

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Sul orlo del cratere

Vulcano-Dubbi-EritreaVivere alla pendici di un vulcano attivo è un gioco pericoloso. Anno dopo anno, si rischia di perdere tutto quello che si ha, persino la vita. Tuttavia c’è sempre qualcuno che ci abita, perché i terreni sono più fertili, i materiali eruttivi hanno numerosi impieghi utili, l’energia geotermica è una buona fonte di riscaldamento.
Vivere ai tempi della crisi è un gioco pericoloso che nessuno sceglie volontariamente, tuttavia offre delle possibilità di sviluppo a pratiche di autonomia dall’istituito, che le politiche di welfare parevano aver mandato definitivamente in soffitta. Il welfare, strumento principe di ammortizzazione del conflitto sociale, rende più tranquillo e sicuro il cammino, ma incatena con lacci robusti chi ne beneficia.
D’altra parte la fine di tutele strappate con decenni di lotta ed erose da corsi politici via, via più impetuosi negli ultimi trent’anni, se rende più difficili le vite dei poveri, rischia tuttavia di innescare un’eruzione sociale, che non sempre le politiche disciplinari riescono a contenere.
Continued…

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